AMERICAN AVANT-GARDE EXPERIMENTAL FILM 1920-1970 (Flicker Alley)
Come cominciare l’excursus tra le edizioni dvd internazionali più rilevanti dell’anno appena trascorso se non con la controstoria del cinema americano, dal primo dopoguerra all’alba dei Settanta, proposta da Flicker Alley? In apertura dei 4 dvd troviamo le copie restaurate di Manhatta (1920) di Charles Sheeler e Paul Strand e Ballet mecanique (1923-24) di Fernand Léger e Dudley Murphy, per proseguire con classici imprescindibili come Meshes of the Afternoon (1943) di Maya Deren e Eaux d’artifice (1953) di Kenneth Anger, e arrivare a Bruce Baille (Castro Street – The Coming of Consciousness, 1966) e Jonas Mekas (un estratto dal suo Walden – Diaries, Notes & Sketches, 1969). Non mancano le chicche: The Life and Death of 9413 – A Hollywood Extra (1927) di Robert Florey, poi approdato a Hollywood, Bells of Atlantis (1952-53) di Ian Hugo, marito di Anais Nin, e Transport (1970) di Amy Greenfield. Per un totale di 36 film e circa sette ore, con corti più recenti tra gli extra, come Seasons… (2002) di Phil Solomon e Stan Brakhage. Spina dorsale di un’ipotesi di cinema radicale e rivoluzionaria, compendio fondamentale per chiunque intenda avvicinarsi al mondo delle avanguardie sperimentali cinematografiche americane, il cofanetto include un booklet informativo con succinte informazioni sui film e i relativi autori.
THE FILMS OF JACK CHAMBERS 1956-1970 (Canadian Filmmakers Distribution Centre)
Nonostante Jack Chambers sia considerato uno dei più importanti pittori canadesi del secolo scorso, la sua breve ma cruciale parabola di regista sperimentale è sempre stata colpevolmente marginalizzata da parte del panorama critico cinematografico. Tuttavia, è proprio grazie al suo approccio pittorico che Chambers è stato rivoluzionario nel concepire un rapporto tra luce, tempo e visione in un orizzonte estetico definibile come “realismo percettivo”. A partire dai cortometraggi Mosaic (1965), lirica rappresentazione del ciclo continuo di vita e morte, Hybrid (1966), film di protesta sui bambini vietnamiti vittime del napalm, l’autobiografico R-34 (1967), sul pittore canadese Greg Curnoe, passando per Circle (1969), descritto da Gene Youngblood come un “haiku espanso” e girato per un anno ogni giorno dallo stesso punto di vista all’interno del cortile della casa di Chambers. Fino al suo ultimo lungometraggio, il monumentale The Hart of London (1970), definito da Stan Brakhage come “uno dei pochi veri grandi film della storia del cinema”: drammatica e totalizzante cosmogonia del rapporto intrinseco tra uomo e natura, nonché riflessione atemporale sulla produzione artistica stessa, così come sulla potenza infinita del cinema.
ALAN CLARKE ON BBC (BFI)
Pochi autori possono vantare l’impatto di Alan Clarke nella storia della televisione inglese. Artista politicamente impegnato e schierato al fianco di deboli e oppressi, nell’arco di oltre 30 anni di carriera ha realizzato alcuni tra i più potenti ritratti della working class, trascendendo quello che a lungo era stato considerato lo standard del prodotto televisivo nazionale. Nei due cofanetti, 23 film realizzati per la BBC: da The Hallelujah Handshake (1970) a Diane (1975), passando per l’incursione nel soprannaturale di Penda’s Fen (1973). Ma è negli anni ’80 che l’approccio sperimentale di Clarke dà i suoi frutti migliori: il claustrofobico Psy-Warriors (1981) e l’adattamento da Bertolt Brecht di Baal (1982), con David Bowie nel ruolo del protagonista, pongono le basi per un percorso i cui vertici saranno rappresentati da Contact (1985) e Elephant (1989): il primo racconta una guerra sul confine nord irlandese che provoca stragi su entrambi i fronti; il secondo, prodotto da Danny Boyle, forse il suo più disturbante in assoluto, è un’analisi clinica della violenza di stato e influenzerà l’omonimo film di Gus Van Sant. Dopo Peter Watkins, nessuno è stato altrettanto duro nel raccontare l’approccio repressivo della società britannica e delle sue istituzioni.
LOUIS DELLUC BOXSET (Les documents c.)
Contemporaneo di Abel Gance, Germaine Dulac, Marcel L’Herbier e Jean Epstein, Louis Delluc ha consegnato ai posteri un considerevole corpus di opere che spazia dal teatro al cinema passando per la narrativa, la saggistica e la critica cinematografica. Nell’arco di un decennio, la sua attività creativa è stata febbrile, solo in parte rallentata dalla guerra, capace di produrre acute riflessioni intorno alla novità del mezzo cinematografico sulle pagine di diverse riviste, a volte contribuendo a fondarle, motivando i suoi interventi nei primi cineclub degni di tal nome nella capitale francese. Il suo studio su Chaplin (Charlot, 1921) è non solo il primo dedicato al regista americano ma anche il primo volume monografico dedicato a un regista tout court. E se come critico il suo nome è celebrato (in Francia c’è anche un premio a lui intitolato), è come regista che Delluc necessita ancora della giusta considerazione: il cofanetto propone l’integralità delle sue opere esistenti (alcune sono date per perdute), ovvero Le Chemin d’Ernoa (1921), Fièvre (1921), La Femme de nulle part (1922) e L’Inondation (1924), durante le riprese del quale contrasse una polmonite che lo uccise poco più che trentenne.
ROBERT FRANK FILM WORKS (Steidl)
Il costo è elevato (150 euro), ma il packaging è di quelli da acquolina in bocca: un’elegante cassetta in legno bianco all’interno della quale sono ordinatamente collocati 25 film del fotografo-filmmaker di origine svizzera in otto DVD, accompagnati da cinque volumetti cartacei. Di certo la più collezionabile tra le edizioni qui proposte, è anche quella “definitiva” dedicata a Frank, il cui lavoro è presentato in forma integrale, da Pull My Daisy (1959) a True Story (2004) e Tunnel (2005). The Sin of Jesus (1961) e OK End Here (1963) ne fanno uno dei più autorevoli rappresentanti del New American Cinema, mentre Conversations in Vermont (1969) è un film seminale per il documentario in prima persona. Gli anni ’70 sono parchi di proposte, ma lasciano il segno il toccante About Me: a Musical (1971) e Cocksucker Blues (1972), irriverente documentario sui Rolling Stones commissionato e poi ripudiato dai musicisti stessi per via dell’immagine poco glamour che offriva del gruppo. Ma è soprattutto l’opportunità di indagare la meno nota produzione degli anni ’80 e ’90 del cineasta a rendere questa release davvero preziosa, insieme ai fascicoli di accompagnamento, tra cui le “sceneggiature” di Me and My Brother (1965-68) e Pull My Daisy, quest’ultima a firma Jack Kerouac.
TUTTO IL CINEMA DI PAOLO GIOLI (Raro Video)
Pittore, fotografo, cineasta, da oltre quarant’anni inventore e sperimentatore di tecniche di vario tipo nel campo dell’immagine pittorica, serigrafica, fotografica e cinetica. Per la prima volta, grazie a RaroVideo, sono disponibili 14 dei suoi film più significativi, realizzati con diversi procedimenti (foro stenopeico, fotofinish, animazione a fasi, ecc.), raccolti in un doppio DVD. Un’occasione importante per fare la conoscenza di “una figura misteriosa, oscura, non tanto perché non ha mai fatto parte dell’ambiente dell’arte (come sistema), a causa della sua natura schiva e riservata di sperimentatore che preferisce tenersi lontano da salotti e gallerie, quanto perché il suo lavoro, da sempre intermediale, è troppo lontano dalle mode e dalle tendenze per essere davvero apprezzato dai critici e spesso sfugge – cosa ben più grave – anche agli storici” (Bruno Di Marino). I dischi sono accompagnati da un booklet con testi critici di approfondimento, illustrazioni in bianco e nero e a colori, alcuni scritti dell’artista e un’intervista. Tra gli extra anche una videointervista al filmmaker che parla del proprio lavoro e mostra le macchine da lui create nel suo studio di Lendinara.
THE HERSCHELL GORDON LEWIS FEAST (Arrow Video)
“Impara a vedere i film peggiori” ha scritto Ado Kyrou in Surrealism in the Cinema “perché a volte possono essere sublimi”. E tra i migliori peggiori registi di sempre è lecito annoverare Herschell Gordon Lewis, il “godfather of gore” scomparso nel settembre scorso: autore di culto per i fan del cinema bis, ha infestato i ridenti anni ’60 con scene di bassa macelleria e un sadico cinismo moralista, ritagliandosi un posto di tutto rispetto nella storia dell’exploitation. Blood Feast (1963) e Two Thousand Maniacs! (1964) sono le obbligate visioni iniziatiche per chiunque intenda affrontare l’universo rosso sangue di Lewis (e Color Me Blood Red un altro dei suoi titoli cardine): il primo è un sanguinolento banchetto ordito da un macellaio di origine egiziana votato alla dea Ishtar, il secondo un delirante remake di Brigadoon. Lo splatter origina qui, e Lewis continuerà a esserne l’anticipatore fino ai primi anni ’70, con The Wizard of Gore (1970) e The Gore Gore Girls (1972), prima di passare il testimone a Hooper & Co. 14 dei suoi film sono distribuiti sui 17 dischi della collezione, con riversamenti non sempre eccellenti (in alcuni casi gli elementi d’origine sono perduti) ma talvolta i difetti e le graffiature non fanno che rendere più accattivante la visione.
THE JACQUES RIVETTE COLLECTION (Arrow Video)
Viaggio nel cuore magico del cinema di Rivette. Concepita come miniserie televisiva, Out 1: Noli me tangere (1971) è il vertice della carriera del regista francese, un complesso intreccio di intrighi a base di cospirazioni e ricatti che vedono coinvolte due troupe teatrali nel corso di otto episodi della durata complessiva di circa tredici ore. Dopo la prima proiezione il film viene rimontato in una visione più breve (255’) con il titolo alternativo di Out 1: Spectre, variante fantasmatica della precedente. Ma la compagnia di produzione fallisce, relegando a lungo il film nell’oblio. Da vedere in maniera speculare anche Duelle (une quarantine) e Noroît (une vengeance), entrambi del 1976: il primo vede sfidarsi Bulle Ogier (la Regina del Sole) e Juliet Berto (la Regina della Notte) nella caccia a un diamante dai poteri magici nella Parigi contemporanea; nel secondo, libero adattamento di The Revenger’s Tragedy, la piratessa Geraldine Chaplin cerca vendetta contro Bernadette Lafont che le ha ucciso il fratello. A completare il pacchetto anche Merry-Go-Round (1983) con Joe Dallessandro e Maria Schneider. Tiratura limitata a 3000 copie, tra gli extra i documentari The Mysteries of Paris: Jacques Rivette’s Out 1 Revisited e Scenes from a Parallel Life: Jacques Rivette Remembers, con una lunga intervista al regista.
MARIO RUSPOLI (Montparnasse)
Prende il via da una caccia alla balena l’arte di questo regista tanto sconosciuto ai più quanto adorato dai cultori: la sua opera è tutta raccolta tra Les Hommes de la baleine (1956) e Vive la baleine (1972), in collaborazione con Chris Marker. Ma è soprattutto con i tre film girati nel Lozère tra il 1961 e il 1962, Les Inconnus de la terre, Regard sur la folie e La Fête prisonnière, che il cineasta di origine italiana si ritaglia un posto di rilievo tra gli iniziatori del cinema diretto. In un’area rurale degradata e soggetta a spopolamento per via dell’industrializzazione, i contadini sono alle prese con la vita stentata di tutti i giorni, decisi a non darsi per vinti nella lotta contro il rigore della terra. Chi non ce la fa finisce in ospedale psichiatrico. In Regard sur la folie l’intento etnografico si mescola a uno sguardo umanista e, quando la macchina da presa attraversa lo spazio di reclusione, le stanze sono deserte, nella consapevolezza che “mostrare la follia è impossibile”. Il film diventa così una riflessione sugli effetti della malattia che lentamente erode la consapevolezza, la memoria e la capacità di esprimersi; ma anche il tentativo di restituire la parola a chi ne soffre, come spiega la voce narrante di Michel Bouquet che legge il testo scritto dal regista con Antonin Artaud.
PAUL VECCHIALI – RÉTROSPECTIVE (Shellac)
Franco tiratore e regista fuori dagli schemi come pochi altri, Paul Vecchiali merita molta più attenzione di quanta gliene sia stata data finora, soprattutto in Italia, dove il suo cinema è pressoché sconosciuto. Un buon punto di partenza per ravvedersi sono questi due cofanetti editi da Shellac e contenenti 8 film realizzati tra il 1972 e il 1989: L’étrangleur, Femmes femmes, Corps à cœur e Once More sul primo; En Haut des Marches, Rosa la rose, Fille publique, Change pas de main e Le Café des Jules sul secondo. Il capolavoro del gruppo è Femmes femmesm, del 1974, molto amato da Pasolini, con il quale aveva in mente di girare un film (progetto stroncato dalla morte del regista italiano l’anno seguente). Fare ingresso nell’immaginario di questo cineasta significa perdersi nei meandri di un gioco passionale fatto di affetti e desideri, oscillare tra la lucidità della veglia e l’irrazionalità del sogno, lontano dalle convenzioni del realismo verso la sensualità dell’immaginario. Al contrario di altri autori, intenti ad apporre la propria firma riconoscibile alle proprie opere, Vecchiali scarta le attese e non è mai riducibile a una maniera: ogni film è un progetto aperto, una ricerca di toni, forme e personaggi, in un movimento costante di condivisione e scoperta.
FREDERICK WISEMAN INTÉGRALE (Blaq Out)
In tre cofanetti per un totale di 40 dvd, l’opera completa del massimo documentarista americano vivente. Nel primo i 13 film da Tititcut Folies (1967) a Manoeuvre (1979); nel secondo, altrettanti da Model (1980) a High School II (1994); l’ultimo da Ballet (1995) a National Gallery (2014). A partire dal memorabile esordio nell’istituto psichiatrico del Massachusetts, Wiseman si è servito di un dispositivo tanto rivoluzionario quanto immediatamente classico – l’elaborazione drammaturgica del cinema diretto – che gli ha permesso di tracciare con impareggiabile costanza una cartografia degli Stati Uniti per mezzo delle istituzioni che li rappresentano: dagli ospedali (Hospital, Near Death) ai centri assistenziali (Welfare), dai licei (High School I e II) ai tribunali per minori (Juvenile Court), dal monastero (Essene) al centro di addestramento militare (Basic Training). Affrontare l’opus monumentale del regista di Boston significa compiere un viaggio non solo attraverso l’America e la sua idea di democrazia ma anche e soprattutto incontro agli uomini che la popolano e sono in grado di dare un senso e un’utilità alle sovrastrutture sociali che la regolano. Un’analisi capace di rifuggire qualunque tipo di ideologia senza per questo restare inerte sui soggetti filmati; anzi, un cinema che chiama in causa lo sguardo e la posizione nel mondo come pochi altri.
(a cura di Alessandro Stellino, con la collaborazione di Giuseppe Canonico)