A distanza di quasi dieci anni da The Last Days of Disco (1998), con Love & Friendship, adattamento del romanzo epistolare di Jane Austen Lady Susan, Whit Stillman ricongiunge la coppia Kate Beckinsale e Chloë Sevigny, ma a ruoli invertiti. Spetta alla Beckinsale il ruolo di protagonista, mentre a farle da spalla è la Sevigny nel ruolo di Alicia Johnson, confidente scelta, il cui unico errore a detta di Susan è quello di aver sposato «un uomo troppo vecchio per essere guidato e troppo giovane per morire», Mr. Johnson, che minaccia continuamente di rispedire sua moglie in Connecticut se non la smette di appoggiare con la sua lingua pungente l’indole compromettente di Susan. Invischiata tra le dicerie della gentry inglese, la donna è infatti impegnata a sistemare la situazione incerta di Frederica, adolescente troppo silenziosa a detta della madre che vede nel carattere della figlia quasi una vendetta divina alla sua condotta. Vorrebbe assicurarle un futuro dignitoso con un matrimonio conveniente, ma in realtà ambisce, divertendosi a recitare la parte della vedova squattrinata, a sbarazzarsi della figlia e a trovare un uomo che le garantisca, grazie a un’unione fruttuosa, di usufruire senza scrupoli del suo patrimonio.
L’intensità del film risiede innanzitutto nella direzione degli attori, interpreti brillanti di una sceneggiatura che è una raffica di fulminei botta e risposta, come se a vegliare dietro le pagine del copione ci fossero il genio di Shakespeare e l’ombra provocatrice di Oscar Wilde, autori di una riscrittura a quattro mani del romanzo. L’ironia, acuta e vivace, rimane un elemento spesso trascurato dalla maggior parte dei film ispirati ai romanzi della Austen, sebbene rappresenti uno dei tratti distintivi del suo stile. A titolo esemplare si pensi al più recente Pride & Prejudice (2005) di Joe Wright, mélange di sentimentalismo e banalità del genere romance. Stillman, al contrario, si serve pienamente di quest’ironia, facendone l’ingrediente principale del film, come soprattutto dimostrano gli scambi di battute tra Susan e Alicia, vero e proprio concentrato di sagacia e malizia, il cui obiettivo è, inevitabilmente, di raggirare il prossimo secondo il proprio tornaconto.
Nel costruire i suoi personaggi femminili, Stillman si allontana dalla rappresentazione classica della donna e dal male gaze, secondo il modello individuato da Laura Mulvey. Già nel precedente Damsels in Distress (2011), grazie all’interpretazione di Greta Gerwig, Stillman si mostrava capace di dare nuova vita al prototipo della liceale americana, superando così l’esame del Bechdel test. Con Love & Friendship, l’autore raddoppia la promozione: quando Christine commenta la bellezza di Frederica, Reginald risponde che al giorno d’oggi gli uomini in una donna cercano spirito e intelligenza, allusione implicita a Susan, che non tarderà a raggirarlo a suo piacimento. Sarebbe tuttavia riduttivo considerare Love & Friendship una rappresentazione anacronistica, e altrettanto fuorviante scorgere dietro i costumi d’epoca uno scorcio della società contemporanea. Liberandosi da una lunga tradizione cinematografica e dai canoni del film in costume, più di quanto non abbia trasgredito Sofia Coppola con la sua Marie Antoinette (2006) dall’allure new-wave, l’autore ha dimostrato di saper innovare il genere, rinunciando all’ennesima messa in scena naturalistica per far emergere i personaggi in tutta la loro artificiosità.
Particolarmente efficace è la scena in cui Susan rivela per filo e per segno a Mrs. Cross, amica vedova e sprovveduta ma a tutti gli effetti dama di compagnia che «sarebbe offensivo retribuire in virtù dell’“amicizia” che le unisce», come si comporterà con la famiglia Vernon. «Sarò una zia affettuosa, con una predilezione per Frederick, il figlio maschio»: così Susan costruisce il suo personaggio nel minimo dettaglio, un gioco pronto a essere stravolto secondo le sue necessità. Mrs. Cross, spettatrice privilegiata di queste macchinazioni, l’assiste esibendo un’affettazione opposta, consistente in un elenco di frasi fatte, prive di naturalezza e che potrebbero essere tratte da un qualunque libretto di una qualunque commedia del repertorio classico. Da qui l’ilarità della situazione: da un lato Susan che auto-denuncia consapevolmente il suo personaggio, dall’altro Mrs. Cross che risponde all’articolato fraseggiare della Lady, incosciente della sua maschera di servo sciocco pronto a dar ragione a priori al padrone.
Queste maschere viventi suscitano sì un riso indulgente, ma mettono lo spettatore soprattutto nella condizione di ridere di sé. Quasi che intenzione del regista fosse quella di canzonare il pubblico e la sua capacità troppo facile a lasciarsi abbindolare da espedienti cinematografici ormai poco credibili e molto noiosi. Un’idea che emerge quando Reginald, percependo uno strano lamento dalla stanza accanto all’appartamento di Mrs. Johnson, chiede: «Avete un animale ferito?». E Mrs. Johnson «No. Una recita privata. Medea. Vanno in scena la settimana prossima ma preferiscono non essere visti mentre provano». L’unica a capire le trame di Susan è Christine, che riconosce la sua «prodigiosa conoscenza della natura maschile», definendola «donna d’ingegno», maligna quanto il serpente dell’Eden. Se tutti sono contro Susan e lei è obiettivamente diabolica, non si può rimanere incolumi al suo fascino anche quando si diverte ad autocommiserarsi e definirsi «stanca di essere vittima dei capricci degli altri», o quando demistificando i luoghi comuni sulla maternità confessa: «quando i bambini sono piccolissimi c’è una sorta di dolcezza che compensa solo in parte l’orrore che verrà di seguito».
Stillman condivide con Susan la stessa indole ironica che si riconferma essere il tratto distintivo del suo cinema, impegnato in una critica della società e dei suoi tabù. Cimentandosi per la prima volta nell’adattamento cinematografico di un romanzo, il regista mostra ugualmente di saper rispettare e omaggiare la scrittura di Jane Austen, come si evince dalla scelta di inserire l’incipit dell’ottava lettera del romanzo – una delle scene più spassose – in sovrimpressione sullo schermo.