In mezzo a un bosco, nascosti tra le siepi e i rami di alcuni alberi, scorgiamo la figura di due giovanissimi ragazzi, Samuele e Matteo. Vagano forse per trovare un po’ di refrigerio dal calore estivo, oppure alla ricerca di qualcosa. Dopo una breve incursione in un negozio di videogiochi, rientrano nella foresta: spaccano dei rami, tagliano alcune felci e canne e con tutto il materiale raccolto costruiscono un rifugio di fianco al fiume. Sotto il capanno conversano dei loro fidanzamenti estivi, piccole storie d’amore che sbocciano e appassiscono giusto la durata di una stagione. Samuele e Matteo si apprestano a vivere un’estate come tante altre. Un’estate che, loro malgrado, sembrerà offrire piccole rivelazioni.
I cormorani, opera prima di Fabio Bobbio, attivo già da anni come montatore, mostra l’identità mutevole di due ragazzi sospesi tra l’infanzia e l’adolescenza. Presentato nella sezione Regard Neuf dell’ultima edizione di Visions du Réel, il film non si inerpica però sui sentieri del Bildungsroman, operando piuttosto una scelta che antepone lo scorrere del tempo alla narrazione. La regia è infatti al servizio di quelle piccole mutazioni, apparentemente invisibili, che avvengono di riflesso nelle menti e nei cuori dei personaggi. Bobbio fa un voto di fedeltà a un cinema che attende di poter catturare i cambiamenti caratteriali inscritti nel corso naturale delle cose. A questo proposito, I cormorani, raccontando un momento come la preadolescenza, dove tutto è mutevole senza avere però margini chiari, si stabilisce ai confini tra documentario e finzione, in un campo aperto in cui il divenire si offre come unico parametro di riferimento possibile.
Il cineasta ora mette in scena, ora segue o semplicemente accompagna il vagare di Samuele e Matteo in un viaggio dove la geografia si fa di volta in volta scoperta. I corpi ancora imberbi si muovono liberamente, accettando il rischio di inciampare e riscontrare i propri limiti: nascosti dietro una siepe spiano una prostituta, oggetto di un desiderio, inconfessato tra i due, che misura la distanza tra la gioventù e un appetito ancora senza nome; poi visitano le giostre, prima di notte, poi durante una serata estiva, e la routine del gioco lascia spazio all’ambizione di misurare la propria virilità con la macchina tirapugni contesa da ragazzi più grandi di loro. Di fronte all’incedere lento, talvolta pigro, delle loro avventure, si manifesta progressivamente l’ombra di uno dei sintomi più dolorosi provocati dal cambiamento d’identità: la separazione. I due ragazzi, coppia indissolubile nel corso di tutto il film, si ritrovano improvvisamente attaccati da un gruppo di bulli. Dopo la fuga nei boschi, Samuele rimane da solo. Cerca l’amico tra le siepi, poi nel centro commerciale. Non sappiamo se Matteo abbia avuto la peggio, o se per paradosso si sia unito al gruppo degli aggressori. A comparire sul volto di Samuele è un solo interrogativo: cosa posso fare ora che il mio amico non c’è più?
I due si ritrovano infine per un bagno nel fiume, giocano di nuovo insieme sulle rive. Si picchiano, forse per gioco, forse no, si cercano e infine scappano. Di nuovo al luna park, prendono coraggio e fanno mostra della loro forza, non salendo più sui cavallini delle giostre ma su un toro in un simulacro di rodeo. Il viaggio di Samuele e Matteo non sarà indenne da dolori o conquiste, ma il loro percorso è appena cominciato.