6 giugno 1981

(dopo le riprese, ma prima del montaggio)

Caro Andi,

mi chiedi di scrivere una pagina dove spieghiamo quale è stata la nostra “intenzione” o quello che vogliamo “esprimere” con questo film. È sempre stato difficile per noi, lo sai, affermare cose del genere riguardo ai nostri film e ci siamo quasi sempre rifiutati di farlo; ma in questo caso (Trop tôt, trop tard), tale impossibilità è ancora più grande, perché finora non c’era mai stato un altro nostro film in cui tutto fosse così aperto, così libero, fatto in modo che siano gli spettatori stessi (e noi due come primi spettatori) a dover stabilire i legami, le relazioni, i “rapporti”, e imparare a decifrare, fare connessioni, a “interpretare” la realtà, o meglio, le realtà! Inoltre, non si tratta di una “finzione”, ma di quello che si chiama un “documentario”, anche se questa maniera di documentare è, credo, nuova (ma ha degli antecedenti, ad esempio La Sorties des usines Lumière) – nessuna narrazione “costrittiva”, nessun interprete. Ciò che si racconta: lotte, rivolte, sconfitte, ritardi o anticipazioni, statistiche; ciò che si rappresenta: storia, topografia, geografia, geologia, luce, luci, venti e nuvole, terra (trasformata e lavorata dagli uomini), tracce – cancellate o ancora visibili – e cielo (molto cielo); si prova a trovare il punto di vista giusto (il più giusto), la giusta altezza, la giusta proporzione, tra il cielo e la terra, in modo da poter fare panoramiche senza dover modificare la linea d’orizzonte, anche a 360 gradi.

Si vedono molti teatri dell’oppressione, della ribellione, si sentono i rumori del presente, la storia di classe della Francia nei mesi che precedono il 1789 è raccontata tramite un testo di Friedrich Engels e una voce di donna (la mia! – in tedesco, in inglese, in italiano, con accento francese perché esista un legame tra i paesaggi e i nomi) e poi, da una voce d’uomo con accento arabo, la storia delle lotte contadine in Egitto e della liberazione dalla colonizzazione occidentale, ma non dell’oppressione di classe nel Paese stesso.

Le differenze tra il tempo storico e il tempo “eterno” (!), ciò che è identico, ciò che è completamente diverso, là dove lo spazio diviene tempo (che appartiene alla Storia, ma è anche l’ ”essenza” del cinema), fin dove si può condurre un’analisi con strumenti precisi come una cinepresa e un Nagra, che tuttavia non sono mai abbastanza precisi e neanche molto più precisi dei nostri sensi: anche tutto questo deve essere “espresso” in un modo o in un altro in questo film…

Oltre a ciò, posso anche raccontarti la storia della sua genesi: un po’ di anni fa (dopo Introduction à… Schonberg, credo, quindi nel 1972) Werner Dütsch ci chiese se volevamo girare, per la sua unità di programmazione in televisione, un film fatto unicamente di “immagini fisse”: Jean-Marie rispose che, primo, un film del genere esisteva già (La Jetée di Chris Marker), secundo, che, in fondo, detestava la fotografia.

Dopo girò Moses und Aron dove la scoperta della geologia mescolata alla Storia umana ha luogo nella grande panoramica della prima scena (“vocazione di Mosè”) e la scoperta dell’Egitto e dei suoi paesaggi nelle ultime due panoramiche del primo atto – e durante il viaggio di documentazione che abbiamo fatto nel 1972. Ed è in questi anni che Jean-Marie lesse un giorno la postfazione al libro di Mahmoud Hussein (in realtà erano due autori che sotto Nasser furono internati in un campo di concentramento e oggi vivono e lavorano a Parigi) Lotte sociali in Egitto[1], e ne restò colpito… Nacque allora l’idea di tornare in Egitto per girarvi qualcosa su e dentro l’Egitto.

Straub, amnistiato, poté rientrare in Francia – grazie all’esilio, al soggiorno in Italia (in Germania si impara la lotta di classe, ma in Italia si impara a vedere) e in Egitto (ovvero l’Africa e una cultura ancora contadina), scoprì il proprio Paese. E poi Straschek ci fece dono della corrispondenza di Marx ed Engels e un giorno io lessi questa lettera di Engels a Kautsky che piacque molto a Straub – era anche un mezzo per “correggere” la nostalgia e di riconnettere Parigi e la campagna.

E poi abbiamo girato Fortini/Cani, 1976, che contiene l’abbozzo di questo Trop tôt, trop tard: la lunga sequenza nelle Apuane e a Marzabotto (resistenza e massacro). E poi tutto, con un po’ di lavoro, si è combinato, riunito, strutturato – per rendere quello che è oggi…

Cordiali saluti, anche da parte di Straub.

D. H.

“Comment corriger la nostalgie”, l’originale perduto è una lettera scritta in tedesco da Danièle Huillet a un amico (Andi Engel distributore di Artificial Eye, Londra), che ha aiutato nell’acquisto dei diritti di Trop tôt, trop tard da parte della ARD (la prima rete della televisione tedesca). Tradotto dall’Italiano al Francese da Giorgio Passerone e Jeanne Revel e pubblicato in Jean-Marie Straub, Danièle Huillet, Écrits, Indipendencia Éditions, Paris 2012. Tradotto dal Francese da Tommaso Isabella.


[1] [rif. bibliografico corretto] Mahmoud Hussein (Baghat Einadi e Adel Rifaat), La lutte de classe en Egypte (1945-1968), Maspero, Parigi 1969 tr. it. La lotta di classe in Egitto (1945-1970), Einaudi, Torino 1973.