Desideravo fare un film che non fosse tanto una successione di fatti, quanto l'indagine su un personaggio. Per questo motivo ho scelto un uomo dai molti profili e dai molti aspetti. La mia idea era quella di mostrare come cinque o sei persone potessero avere opinioni divergenti riguardo la natura di un'unica personalità. Una trovata di questo tipo non avrebbe evidentemente funzionato, se l'avessi applicata a un cittadino americano qualunque.
Così ho subito deciso che il mio personaggio avrebbe dovuto essere una figura pubblica – un uomo decisamente in vista, estremamente importante. E ho deciso di convincere il mio pubblico della reale esistenza di quest'uomo attraverso un breve notiziario riguardante la sua carriera: prima d'incominciare a esaminare la vita privata di questo personaggio fittizio, occorreva essere pienamente al corrente della sua vita pubblica. Tuttavia, non m'interessava realizzare un film sulla sua vita pubblica, bensì far luce sui retroscena di quella vita attraverso le diverse opinioni che gli altri avevano di lui. Fin dall'inizio volevo che fosse un americano, e pensavo di farne il presidente degli Stati Uniti. Poi ho trovato che un editore di giornali fosse l'unica altra figura pubblica in grado di esercitare un autentico potere all'interno di una democrazia. Certo, un grande industriale può far pesare il proprio potere in alcune fasi di governo; così come è possibile farlo sembrare buono o cattivo a seconda del punto di vista di chi ne sta parlando; ma nessun industriale potrebbe mai acquisire l'ampio potere che intendevo attribuire al mio personaggio. Alla fine, l'unica soluzione mi è sembrata quella di mettere il mio uomo a capo di un qualche importante mezzo di comunicazione – la radio o la stampa. Era essenziale per la trama che il mio personaggio – Kane – avesse avuto una lunga vita, ma che fosse già morto all'inizio della narrazione. Questo ha escluso immediatamente la radio, pertanto ho dovuto fare di Kane un magnate della stampa – il proprietario di una grande catena di quotidiani. Kane doveva rappresentare il “nuovo” dell'industria editoriale del suo tempo: uno yellow journalist, un giornalista scandalistico.
Esistono parecchi film e romanzi che obbediscono rigorosamente alla formula della “storia di successo”, ma io ho cercato di fare qualcosa di diverso. Volevo realizzare quella che si potrebbe definire la “storia di un fallimento”. Non volevo ritrarre un industriale spietato e ricco di doti che, partito come semplice boscaiolo o tranviere, finisse per raggiungere una posizione di preminenza e di benessere economico. Le interpretazioni di un personaggio simile, da parte dei suoi conoscenti, sarebbero risultate troppo ovvie per lo scopo che mi ero prefissato. Quindi ho fatto in modo di dare al mio personaggio, fin dall'età di otto anni, oltre sessanta milioni di dollari: in questo modo non si sarebbe potuto sovrapporre alcun significato – sotto il profilo narrativo – alla creazione della sua ricchezza. La mia storia non era incentrata su come un uomo guadagna le proprie ricchezze, ma l'uso che ne fa lungo tutto l'arco della propria vita – e non solo durante la vecchiaia. Un uomo, se possiede denaro a sufficienza da non avere alcun interesse a farne altro, vorrà servirsene per esercitare potere, naturalmente. Ce ne sono molti, certo, nella “vita reale” che rappresentano un'eccezione a questa regola, ma un uomo intenzionato a imporre il proprio volere ai propri concittadini mi sembrava un protagonista migliore di un filantropo.
Se avessi deciso di fare un film sulla vita di un grande fabbricante di automobili, durante la stesura avrei ben presto dovuto tener conto che la sua invenzione si sarebbe intrecciata con la Storia. La stessa cosa è accaduta con il mio editore fittizio. Era un giornalista scandalistico, vissuto nei giorni esaltanti in cui lo yellow journalism era al suo apice: non potevo ignorare la Storia degli Stati Uniti. Mi sono rifiutato di dare al mio giornalista scandalistico reazioni psicologiche false o impossibili agli eventi dell'epoca. Il comportamento dei giornalisti a caccia di scandali – e di tutti gli editori, in realtà – di fronte alle guerre, alle ingiustizie sociali, eccetera, è stato, per lungo tempo, sempre lo stesso. Alcuni in particolare avranno legato il proprio nome a certi eventi, ma tutti sono stati coinvolti in qualche modo. Il mio personaggio non poteva rimanere indifferente. Il film non poteva raccontare la carriera di uomo che inizia nel 1890 e si conclude nel 1940 senza porre quell'uomo a confronto con problemi che le persone reali vivevano in quegli anni. Il suo modo di trattare quegli eventi è determinato da regole drammaturgiche e psicologiche che io considero assolute: esse non sono influenzate o colorite dai concreti fatti storici. I capricci nella Storia sono determinati dalle stesse leggi che io impiego come sceneggiatore.
L'idea di base era quella di mettersi alla ricerca dell'autentico significato delle ultime parole, apparentemente senza senso, di un uomo morente. Kane è stato cresciuto senza famiglia, strappato alle braccia della madre nella prima infanzia. Le banche sono state i suoi genitori. Dal punto di vista di uno psicologo, non ha mai conosciuto il cosiddetto transfert dalla figura materna: di qui il fallimento dei suoi matrimoni. Nel rendere chiaro tutto ciò nel corso del film, ho provato a condurre gli spettatori sempre più vicino alla soluzione dell'enigma di quell'ultima parola: “Rosebud”. Il dispositivo che mette in moto la narrazione è un giornalista (che non conosceva Kane) incaricato di intervistare alcune persone che invece lo conoscevano molto bene. Nessuna di loro ha mai sentito parlare di “Rosebud”, che, come risulterà, è la marca dello slittino con il quale Kane stava giocando il giorno che venne portato via da casa e dalla mamma. Nel suo subconscio esso rappresenta la semplicità, il benessere, l'assenza di responsabilità, l'amore nei confronti della madre che egli non ha mai smarrito.
A livello consapevole, Kane ha sicuramente dimenticato la slitta e il nome che vi era dipinto sopra: gli schedari degli psichiatri sono pieni di storie come questa. Era importante spiegare al pubblico, nel modo più efficace, che cosa questo significasse davvero. Ovvio, sarebbe risultato deludente e antidrammatico se un personaggio qualunque fosse saltato fuori a rivelare quest'informazione. La soluzione migliore era la slitta stessa. Ora: come avrebbe potuto esistere ancora una slitta costruita nel 1880? Occorreva dunque che il mio personaggio fosse un collezionista – uno di quelli che non buttano via mai niente. Nel finale del film volevo utilizzare come simbolo questa grande distesa di oggetti, a migliaia – e una di queste sarebbe stata Rosebud. Volevo che la macchina da presa mostrasse cose belle, brutte e anche inutili – insomma, tutto quanto può rappresentare vita privata e carriera pubblica. Volevo opere d'arte, ricordi, oggetti a cui il personaggio era sentimentalmente affezionato e cose da nulla. Ho dovuto fare del mio personaggio un collezionista, e dargli una casa enorme in cui stipare le sue collezioni. Una casa che fosse l'illustrazione letterale del concetto di “Torre d'avorio”, poiché il protagonista della mia “storia di un fallimento” doveva ritirarsi da una democrazia che il suo denaro non era riuscito a comprare e il suo potere a controllare. Esistevano due modi per farlo: la morte o il ventre materno. La casa è appunto il ventre materno: qui il mio uomo poteva trovare tutta la grandeur, il dispotismo che non riusciva a imporre nel mondo di fuori. Ed è in questa proprietà, deposito di una collezione tanto immensa, che si trova il piccolo giocattolo appartenuto al passato di un grande uomo.
(Dichiarazione di Welles diffusa dall'ufficio stampa della RKO il 15 gennaio 1941. Traduzione di Gabriele Gimmelli. Testo originale disponibile su wellesnet.com)