Al centro di Something Must Break, ultimo film del trentaduenne svedese Ester Martin Bergsmark, è una storia d'amore adolescenziale, verrebbe da dire, “come tante”. L'elemento di novità è dato dal fatto che quella che sembra la più classicamente eteronormativa delle storie – che inizia con un eroe che salva una donzella in difficoltà, prosegue con i sogni ad occhi aperti della seconda e infine evolve in un sodalizio profondo e complice tra i due, fino all'inevitabile rottura -, è in realtà una relazione tra due ragazzi: l'eterosessuale Andreas e l'androgino Sebastian.
Il giochetto straniante si esaurisce presto, quando la tematica dell'identità di genere inizia a prendere sempre più spazio all'interno della narrazione. L'irruzione del mondo esterno nella simbiosi con Sebastian fa vacillare le convinzioni di Andreas, innamorato ma non disposto a mettere in discussione il suo ruolo di maschio alfa per paura del giudizio altrui. Ma anche per Sebastian la storia d'amore con Andreas è più una chiave per comprendere se stesso che non un autentico incontro con l'altro. La riflessione sull'identità che ne emerge, però, è molto più sfaccettata e complessa di quanto non sembri a un primo sguardo. Inizialmente, infatti, Sebastian sembra identificarsi sempre di più con Ellie, il suo alter ego femminile, al punto da confessare anche a Sebastian questo suo personaggio – che lo spettatore conosce già dall'inizio e che viene mostrato soprattutto attraverso il suo rapporto con la coinquilina Lea. L'equilibrio che sembrerebbe raggiunto nell'identificazione dei due all'interno dell logica binaria maschio/femmina si rompe quando Andreas, non pago, chiede a Sebastian di farsi operare. È proprio questa incapacità da parte di Andreas di accettare l'altro per ciò che è, nella sua fluidità, a deludere Sebastian e a far concludere, con rabbia e malinconia, la relazione tra i due.
In questo, il film rivela un'intelligenza non scontata nel trattare il tema delle differenze e suggerisce una tesi impopolare e persino provocatoria in tempi in cui si parla molto dei diritti dei transgender: ovvero che in alcuni casi la necessità di far coincidere a un'identità sessuale interna un aspetto fisico esteriore definibile è legata soprattutto ai pregiudizi e al contesto culturale, e perfettamente in linea con il diktat secondo cui è sempre il singolo a doversi adattare, perché ogni speranza che le circostanze sociali cambino è per definizione destinata allo scacco.
La trama fa sì che nel film melodramma e realismo si intreccino e, stilisticamente, l'esagerazione della fotografia, dei costumi e della regia frenetica è costantemente contrappuntata da pause e sequenze di toccante intimismo poetico dedicate alla registrazione minuziosa e sottile degli sguardi e dei gesti dei personaggi. Proprio attraverso quest'indagine dei due ragazzi, nei momenti migliori il film raggiunge un respiro universale, offrendo il ritratto di un'adolescenza timida ma ribelle, affascinante nella sua ostinazione a volte infantile. Andreas e Sebastian nelle loro scorribande cercano a tutti i costi lo scontro con degli adulti in realtà completamente assenti. Così anche il regista sembra voler velleitariamente puntare allo scandalo: le sequenze degli amplessi hard-core di Sebastian con sconosciuti appaiono gratuite. Non perché l'attività sessuale “estrema” del protagonista non andasse indagata, anzi. Bensì perché per mostrarla il regista sceglie di farne dei tableaux vivants ironici e sgradevolmente compiaciuti.
A parte questo limite, la macchina da presa di Bergsmark sa trasfigurare una collina di rifiuti in un bosco incantato, e un torrente di periferia a bordo della tangenziale nello scenario perfetto per un bagno romantico. Proprio come fanno i ragazzini alle prese con il primo amore.