Nel 1970, all’età di 44 anni, Roger Corman è un regista già compiuto e quasi alla fine della sua prolificissima parabola registica: con 51 film all'attivo, da lì in poi ne realizzerà soltanto cinque, spalmati nel ventennio successivo. La sua attività in veste di produttore, invece, continuerà ancora per diversi decenni, diventando di fatto la sua occupazione principale. Proprio al 1970 risale la nascita della New World Pictures, la sua società di distribuzione di cinema indipendente per pellicole low budget. In pochi anni, diventerà leader nel mercato americano, allargandosi in seguito anche alla distribuzione di film d’autore europei, come ad esempio Sussurri e grida di Ingmar Bergman; è proprio Corman, grazie a un contratto in esclusiva, a diffondere per primo il capolavoro del cineasta svedese negli Stati Uniti.
Come produttore, ha l’intuito di lanciare giovani registi che diventeranno colonne portanti di Hollywood nei decenni successivi, da Martin Scorsese, di cui produce America 1929: sterminateli senza pietà (1972), al suo concittadino Francis Ford Coppola, con Tonight for Sure (1963) e Terrore alla tredicesima ora (1964), da Joe Dante, con Hollywood Boulevard (1976) e Piranha (1978), a James Cameron, cui affida gli effetti speciali de I magnifici sette nello spazio (1980) – solo per citarne alcuni.
Miope e riduttiva, per una personalità complessa e poliedrica di questo calibro, è la definizione di “re del B-movie” che gli viene spesso affibbiata per le sue “scorazzate” in tutti i generi cinematografici, dall’horror al fantasy e al gangster movie.
Il clan dei Barker (Bloody Mama) appartiene proprio a quest’ultimo filone. Sceneggiato da Robert Thom, è uno spaccato di vita americana post Grande Depressione, epoca che ha dato vita a grandi miti – talvolta sfociati in leggende – e spunti di grande interesse per la letteratura e per il cinema dei decenni successivi. Perno della vicenda è la figura di Kate Ma Barker, interpretata da un’ottima Shelley Winters, madre possessiva e sanguinaria di quattro figli, schierati come timidi Edipo al cospetto di una Giocasta moderna che conosce solo l’uso del piombo come strumento educativo, alternato in rari momenti ricreativi a canti patriottici irlandesi. Un prototipo di matrigna plagiante e crudele che ha lasciato tracce abbondanti nel cinema – si pensi al personaggio di nonna Smurf di Animal Kingdom (2010). Da segnalare che, qualche anno dopo, la stessa Winters interpreterà un personaggio per alcuni tratti simile – pur in un contesto completamente diverso – in Gran bollito di Mauro Bolognini, segno evidente che l’attrice è particolarmente tagliata per impersonare questo complicato ruolo criptoincestuoso.
Completano il cast Bruce Dern, Don Stroud, Robert Walden, e un giovanissimo Robert De Niro alle prime armi, lanciato da Corman esattamente come accadde dodici anni prima per Charles Bronson ne La legge del mitra, a dimostrazione delle ottime doti di talent scout del regista di Detroit. De Niro interpreta Lloyd Barker, il figlio più debole della famiglia, che perirà di overdose dopo che la madre ha obbligato lui e i suoi fratelli a uccidere una ragazza di cui era innamorato perché ritenuta pericolosa testimone. La morte di Lloyd coinciderà con l’inizio dello sgretolamento della terribile famiglia, fino ad allora unita nella crudeltà.
I Barker sono sostanzialmente una famiglia americana di campagna, formata da quattro fratelli, una mamma e un padre; proprio quest'ultimo verrà abbandonato dalla propria famiglia in cerca di fortuna nel campo malavitoso. Siamo alle porte della crisi della borsa degli anni trenta; in quegli anni le rapine alle banche erano all'ordine del giorno, e proprio i Barker si specializzano in questo tipo di crimini, incluso il sequestro di persona con richiesta di riscatto a una ricca famiglia di industriali. “ Mamma siamo più famosi noi o Dillinger?” chiede ad un certo punto del film e con un candore quasi infantile il primogenito a Ma Barker; è proprio con quell'altro mito del male di quegli anni che essi entrano in competizione, nell'arraffare qualche “centone” qua e là.
Corman conduce il tutto in un percorso realistico, pur talvolta romanzandolo rispetto alla storia reale, ma non fa sconti ad alcun personaggio. Ciascuno descritto nella propria debolezza o presunta forza viene a cadere davanti all’ingombrante matriarca e solo il bloody end cruento e spietato fa trapelare una minima umanità – troncata, però, da un finale secco e chiuso (tipico peraltro di Corman), fatto apposta per concludere definitivamente una vicenda familiare che dopo la dipartita di tutti non può avere alcun futuro.