Nell'ultimo numero di Canyon Cinema News è apparsa una lettera aperta ai filmmaker in cui Nelson attacca la Creative Film Society ed altri distributori di film sperimentali – eccetto le cooperative NY e Canyon Cinema – in quanto organizzazioni commerciali “che fanno affari vendendo amore”. Il succo della lettera di Nelson era che soltanto le cooperative ci tengono al bene degli artisti mentre a tutti gli altri distributori frega soltanto dei soldi che si possono tirar fuori dalle loro opere. In più, Nelson cita estratti completamente fuori contesto da lettere ricevute dalla Creative Film Society così da fare intendere che la CFS è l'esempio tipico di organizzazione commerciale a sangue freddo.
Un attacco del genere è scorretto e falso, tipico di questa generazione di artisti che crede che la storia del cinema sia cominciata nel 1960 con il New American Cinema e le cooperative e che prima di loro non ci sia stato niente. Allo scopo di ridimensionare le cooperative e il New American Cinema una volta per tutte e di rendere giustizia agli altri distributori di cinema sperimentale, colgo volentieri l'occasione per rispondere obiettivamente alla lettera aperta.
Prima di tutto, mi pare che si dovrebbe esplorare la storia delle “cooperative” in relazione alla storia del cinema sperimentale americano; poiché, a differenza di quanto lascia intendere Nelson, le cooperative esistevano già prima che Jonas Mekas fondasse questa.
La prima distribuzione di cinema sperimentale a livello nazionale di una certa importanza è stata fatta dal MoMa di New York all'inizio degli anni Quaranta. È stata attraverso la loro distribuzione di film prodotti tra gli anni Venti e Trenta che Kenneth Anger, Curtis Harrington, Jordan Belson, Harry Smith, James Broughton, Sidney Peterson, Frank Stauffacher e altri hanno cominciato ad appassionarsi per la produzione, l'esibizione e la distribuzione di film sperimentali. Come conseguenza Anger ha fatto Fireworks, Harrington Fragment of Seeking, Broughton e Peterson The Potted Psalm, Belson Improvisation #1 e così via. A quel tempo Maya Deren e il marito, Alexander Hammid, stavano girando a Los Angeles Meshes of the Afternoon e At Land, per poi tornare a New York dove li finirono e li mostrarono con successo al Provincetown Playhouse.
Come conseguenza di queste attività, Anger e Harrington formarono la prima cooperativa di distribuzione, Creative Film Associated, attraverso la quale distribuivano i loro film e quelli di altri. Tuttavia, essendo più interessati alla produzione che alla distribuzione, la loro organizzazione durò poco. Nel frattempo, a New York, le proiezioni al Provincetown Playhouse erano talmente frequentate che furono affidate a Amos Vogel, il quale, come Jonas Mekas, era allora giunto in questo paese dall'estero, pieno di entusiasmo e di vitalità. Maya Deren riprese a produrre film e Vogel li faceva vedere. Poi fondò Cinema 16, la prima grande società americana di distribuzione specializzata in cinema sperimentale.
Nel frattempo, Frank Stauffacher aveva convinto il Museum of Art di San Francisco ad iniziare nel 1946 una serie di festival intitolati “Art in Cinema”. Questa serie, che esistette fino alla sua morte nel 1954, ai suoi tempi fu tanto influente e stimolante quanto le cooperative lo sono oggi. Attraverso il museo di San Francisco Stauffacher distribuiva anche film sperimentali. Quando morì, molti di questi film furono distribuiti da Kinesis a San Francisco, poi da Film Images a New York, che tuttora ne conserva la maggior parte.
Alla fine degli anni Cinquanta c'erano essenzialmente tre distributori americani per il cinema sperimentale: Cinema 16, Brandon Films e Film Images. Ognuno chiedeva una esclusiva per 5-11 anni in tutti i media e un deposito a spese del film-maker di 3-5 copie e dell'originale in cambio del 50% dei ricavati. Siccome queste condizioni erano difficili da accettare, nel 1957 venne fondata la Creative Film Society, che allora offriva le stesse condizioni varie e liberali che le cooperative offrono oggi, e in più offriva al filmmaker anche il solito 50% sui ricavati o in alternativa la possibilità di ricomprarsi le copie per il noleggio. La CFS divenne la società distributrice di John e James Whitney, Jordan Belson, Bruce Conner e tanti altri artisti della West Coast.
Agli inizi degli anni Sessanta, le cooperative iniziarono a formarsi, offrendo ai registi la quota senza precedenti del 75% sui ricavati, mentre le più giovani Aardvark Films e la Canadian Film Co-op offrivano rispettivamente il 66,6% e il più realistico 50%.
A causa dell'impressionante interesse verso il New American Cinema, dovuto principalmente al martellamento di Jonas Mekas e al successo di film quali Flaming Creatures, Scorpio Rising, Cosmic Ray e The Chelsea Girls, i cineasti si fecero l'idea che grazie ai loro film tutti si stavano arricchendo tranne loro stessi. Purtroppo non era per niente così. Qualche esercente ci stava guadagnando qualcosa. Qualche distributore ci stava guadagnando qualcosa. E persino qualche film-maker ci stava guadagnando qualcosa. Ma i profitti, in relazione alle spese, erano troppo pochi per essere veramente emozionanti. Io non conosco nessun esercente o distributore specializzato in cinema sperimentale, incluse le cooperative e la Film-makers Cinematheque, che stanno guadagnando abbastanza da poter assicurare sussidi, anche a livelli modesti, ai film sperimentali. E credetemi, se ci fossero stati guadagni, sarebbe stato nell'interesse di esercenti e distributori finanziare progetti del genere.
Nei casi migliori si riusciva a dare qualcosa per aiutare gli artisti a completare i loro film. Scorpio Rising è stato completato con i mezzi tecnici della CFS e l'aiuto finanziario della CFS e della NY Co-op… e senza condizioni. Bruce Baillie, uno dei capi della Canyon Cinema, ha ringraziato Willard Morrison dell'Audio Film Center, uno dei maggiori distributori “commerciali” che ha a che fare con film sperimentali, perché Morrison ha offerto un munifico contributo quando nessun altro voleva prestare il proprio aiuto.
Se le accuse di Nelson fossero fondate, se tutti i distributori a parte le cooperative fossero dei vampiri che succhiano via la vita ai film-maker che rappresentano, allora un film-maker non avrebbe nessuna ragione per avere a che fare con loro, visto che le cooperative offrono il 25% in più e condizioni meno rigide. Ma guardiamo la situazione attuale: Stan Vanderbeek, Ed Ernshwiller e Robert Breer sono tre esponenti di spicco della NY Co-op, eppure ognuno di loro è rappresentato da Cinema 16. Vanderbeek è rappresentato per una certa percentuale dalla CFS, Ernshwiller sta pensando di fare altrettanto e Breer vuole vendere qualche copia di noleggio alla CFS. Robert Nelson, Bruce Baillie, Larry Jordan e Ben Van Meter sono tra gli esponenti di spicco della Canyon Cinema Co-op, eppure Nelson, Baillie, Jordan e Van Meter sono rappresentati anche dall'Audio Film Centere – un competitivo distributore “commerciale” della stessa città! Nelson, Van Meter e Jordan hanno anche venduto copie di noleggio alla CFS. E Nelson ha venduto copie anche alla Aardvark Films. Tra i loro supporter le cooperative possono contare anche su Carl Linder, Stan Brakhage e Kenneth Anger. Eppure Linder lavora su base percentuale anche con la CFS, e Brakhage e Anger hanno venduto copie di noleggio alla CFS.
Se in teoria è vero che offrendo condizioni contrattuali più flessibili e il 75% dei ricavati le cooperative sono la più grossa tentazione per chi vuole essere distribuito, allora pure gli altri distributori, quelli “commerciali”, devono offrire qualcosa di buono se rappresentano ancora i migliori film-maker di questo paese al 50%.
Cosa possono offrire questi distributori “commerciali” per far sì che Emshwiller, Venderbeek, Conner, Breer, Nelson, Van Meter, Anger e tanti altri vogliano dividersi tra loro e le cooperative? Potrebbe mai essere che questi distributori “commerciali” siano tanto spietati come dice Nelson? Che forse siano interessati al bene dei film-maker tanto quanto le cooperative ma si comportino soltanto in una maniera più professionale? Che forse offrano ai loro clienti servizi più efficienti? Qualunque siano le ragioni, i migliori artisti del paese sono convinti che queste ragioni sono valide.
Per tornare alle lamentele di Robert Nelson, egli sostiene che dopo aver venduto alla CFS le copie di noleggio, noi ci rifiutammo di rivendergliele quando, un anno dopo, decidette di riaverle indietro. Per quanto mi riguarda, questo dipende soltanto dalla volontà di Nelson di avere la torta tutta per sé e mangiarsela da solo. Egli ha avuto la possibilità di vendere le copie alla CFS o di depositarle su base percentuale. Ha preferito il ricavo veloce e facile, quindi la vendita immediata. Un anno dopo, quando quei ricavi se n'erano andati da un pezzo, Nelson ha realizzato che le copie della CFS sulle quali egli non stava guadagnando alcunché erano in competizione diretta con quella della Canyon Cinema, sulle quali aveva il 75%. Così, per eliminare ogni competizione ha provato a ricomprarsi le copie della CFS. Una ragione semplicemente affaristica, secondo noi, e per la stessa ragione abbiamo rifiutato.
Se Nelson avesse avuto ragioni che non siano state fondate sul mero business, se per esempio avesse dovuto ritirare le copie dalla circolazione per ragioni legali o per rivenderle ad un unico compratore, noi saremmo stati felici di cooperare. In passato abbiamo rivenduto le loro rispettive copie a Bruce Conner e John Schmitz per le stesse ragioni, nessuno ci ha forzato a farlo. Ma Nelson era dell'idea che fosse una richiesta legittima domandarci di vendergli le nostre copie ed eliminarci da soli dalla competizione commerciale con la Canyon Cinema. Per noi non era legittima, e infatti rifiutammo.
Ritengo sia giunto il tempo di discutere dei vantaggi e degli svantaggi della vendità di copie di noleggio a beneficio dei giovani filmmaker. Se volete guadagnarci subito, o se non siete sicuri di rientrare da soli con il noleggio, o se avete bisogno di soldi, allora vendete le vostre copie ad un distributore come la CFS su base non esclusiva. In questo modo potrete essere rappresentati dalle cooperative o da altri distributori su base percentuale. Al contrario, se credete che i vostri film renderanno bene sul lungo termine e saranno molto noleggiati, depositate le copie a più distributori allo stesso tempo, visto che ognuno di loro ha una propria fetta di fedeli clienti, e così vi garantirete di essere noleggiati a quanta più gente possibile.
Un'altra lamentela di Nelson riguarda il noleggio di un fotogramma di un suo film a “Playboy”, che a sua volta ha rifiutato di pagargli lo stesso fotogramma che egli gli aveva inviato. Da qui, Nelson insiste che la politica della CFS riguardo al noleggio di fotogrammi è il tipico esempio di spirito commerciale senza scrupoli. Forse sì, forse no: dipende da quanto si è realistici. Ogni distributore ha tra i suoi compiti principali la promozione dei film che rappresentate. Affinché la promozione funzioni, di solito si hanno a disposizione un gruppo di fotogrammi per ogni film. Questi fotogrammi sono usati per soddisfare le richieste di riviste ed editori, ma anche di clienti regolari che potrebbero averne bisogno per locandine o brochure pubblicitarie. Il distributore sceglie allora di inviare i fotogrammi dietro un compenso o no. Visto che il distributore comunque paga i costi di duplicazione, mi sembra ragionevole che lo facciano anche i clienti. Altrimenti, se i fotogrammi fossero offerti gratuitamente ad ogni persona ne faccia richiesta, il distributore sarebbe preso d'assedio, come succederebbe se facesse circolare i film gratuitamente.
Il caso di “Playboy” è stato piuttosto inusuale per la CFS: se Nelson ci avesse informato di star inviando alla rivista i propri fotogrammi, noi non ci saremmo certo immischiati. Invece egli ha preferito scrivere una lettera aperta senza nemmeno prendersi il disturbo di renderci partecipi della situazione.
L'ultima lamentela di Nelson è la più curiosa ed è quella che riflette meglio lo spirito della lettera aperta. In una delle citazioni fuori contesto che riporta, tratta da una lettera inviata dalla CFS, Nelson mi cita come segue: “Riguardo ai suoi film, in ogni caso mi pare che ci voglia la mano pesante di un buon montatore per eliminare le parti eccessivamente ripetitive e le sequenze troppo lunghe. In futuro, a mio parere, non verrebbero ricordate come opere raffinate.”
Presumibilmente, citando questo stralcio, Nelson voleva lasciare intuire che la CBS non fosse un buon distributore perché riteneva i suoi film tutt'altro che perfetti. Ovviamente, rispetto alle cooperative le politiche di distribuzione della CFS sono molto differenti su questo punto. Se crediamo che un film sperimentali non raggiunga i nostri standard di qualità, noi non lo rappresentiamo. Le cooperative ritengono che un giudizio sulla qualità debbano esprimerlo i loro clienti e quindi sono disposti a distribuire qualunque film venga loro offerto. Non vedo niente di male in nessuna delle due scelte, anzi mi pare abbiano i loro vantaggi. Nelson sembrerebbe non essere d'accordo.
Citando la mia lettera fuori contesto, comunque, Nelson omette parecchi punti di rilievo. Primo, non menziona il fatto che nonostante la mia critica egli era comunque disponibile a venderci i suoi film a qualunque condizione. A me sembrò che la critica fu accettata nello stesso spirito con la quale era stata avanzata. Secondo, sebbene la citazione sia stata accuratamente riportata parola per parola, non si può avere un'impressione corretta dello scambio complessivo di idee, che andò come segue:
(CFS) “La mia reazione ai suoi film, purtroppo, è quella che lei si aspettava. O io sono troppo arretrato, o lei è troppo innovativo, o il nostro tempo permette una grande varietà di punti di vista su ciò che si può considerare un film concluso. Qualunque sia la risposta, lasci che mi congratuli con lei per l'entusiasmo con cui il suo lavoro sta venendo accolto e il continuo successo dei suoi sforzi. Anche quando possono non essere d'accordo con l'approccio di un artista verso il proprio medium, io supporto sempre i suoi sforzi fintanto che il suo lavoro è realizzato con sincerità. Per questa ragione, se posso esserle utile in qualche modo in futuro, non esiti a chiamarmi.”
(NELSON) “Se non le piacciono i miei film, beh, certamente non è l'unico. È vero, ho ricevuto un gran numero di reazioni entusiastiche e i film sono andati abbastanza bene… ma ci sono comunque un mucchio di persone come lei a cui non sono piaciuti… Il fatto che questi film abbiano un appeal “popolare” non li rende necessariamente “buoni” film. Anzi, come sappiamo entrambi, può essere vero il contrario. Ai film veramente buoni non è mai facile reagire, non sono mai “popolari” per nessun tipo di pubblico. Lei parla di “sincerità”, ed è qui che forse va cercata la chiave per capire la sua critica ai film, perché questi sono, per molti aspetti, falsi. Da principio sono stati concepiti senza sincerità e molti sono diventati sempre più falsi via via che li realizzavo fino a quando, una volta conclusi, non sono stati totalmente falsi (questo varia da film a film, certo… ma solo leggermente)”
(CFS) “Riguardo ai suoi film, devo dire che ognuno ha qualche momento o idea memorabile. Io toglierei la ragazza sull'altalena e le sequenze con Ron Davis in Oiley Peloso; Oh Dem Watermelons potenzialmente è una grande idea; e Plastic Haircut potrebbe essere stato una bel pezzo d'avanguardia. Ma in ogni caso mi pare che ci voglia la mano pesante di un buon montatore per eliminare le parti eccessivamente ripetitive e le sequenze troppo lunghe. Se Oiley Peloso e Plastic Haircut fossero ridotti ai 7-8 minuti migliori e Watermelons a 5 minuti, credo potrebbero diventare dei classici comparabili a The Lead Shoes anziché scioccare soltanto quel New American Cinema che oggi va tanto di moda – in futuro, a mio parere, non verrebbero ricordate come opere raffinate.”
(NELSON) “Penso che stavolta avete colpito nel segno con questa idea di essere ricordati nel tempo. Se posso insistere, direi che i miei film hanno un buon punteggio su una scala quotidiana… o al massimo a medio termine. Ma da qui al lungo termine, i miei film falliranno. È come per quei gran cialtroni che la sanno lunga ma che alla resa dei conti non hanno proprio niente da dire. Poi ci sono quelli che non si fila nessuno all'inizio ma che raccontano una verità più forte delle chiacchiere di cento cialtroni. Tra cinque anni, chiunque ricorderà Watermelons lo farà con un sogghigno.”
Nelson era sincero con queste lettere o voleva soltanto fare scena? Allo stesso modo, era sincero con la sua lettera aperta o anche con questa voleva soltanto fare scena? Non conta proprio niente. Quel che conta è che l'accusa di Nelson che i distributori, a parte le cooperative, non sono altro che “persone che fanno affari vendendo l'amore” non è né vera né corretta. Se la sua lettera aperta fosse soltanto un modo per fare scena, bisognerebbe chiudere il sipario.
(testo tratto dal volume Canyon Cinema, a cura di Scott MacDonald; traduzione di Carlo Mezzasoma)