Perfidia: un termine così carico da dare immediatamente una direzione allo sguardo del pubblico, rendendolo giudicante e cupo, perfino (morbosamente) curioso. Quale azione meriterà un tale appellativo, quale scelta, quali conseguenze?
Angelino vive in uno spazio immobile: potrebbe essere un qualsiasi luogo anonimo del mondo, e solo l’accento suo, del padre Peppino e del branco di conoscenti immersi in un grigio deserto suburbano rivela l'appartenenza alla Sardegna. L’unico sentimento vibrante che tutti sembrano condividere è l’inadeguatezza: dentro casa (uno di quei piccoli mausolei di paese, in cui hanno più spazio le bomboniere che le persone), nel bar fermo agli anni Settanta, nelle piazze senza un filo d’erba e negli uffici asettici. Solo il tempo scorre, senza che nulla cambi, portando con sé un carico di angoscia che Angelino, ormai più che trentenne, vive senza opporvi alcuna resistenza. Neanche la morte della madre sembra scuoterlo: deambula oscillando tra il riprovevole modello del padre – che tenta, tardivamente, di costruire un dialogo col figlio – e il desolante nulla esistenziale dei suoi “amici”. Nonostante i poco leciti tentativi di Peppino di sistemarlo, Angelino persiste nella sua catatonica inerzia. La situazione peggiora all’improvviso e il (non)protagonista di questa storia se ne lascia sopraffare, come un tronco ammuffito sul bordo di una cascata.
Il categorico pessimismo di cui Angius – che con Perfidia è stato l'unico italiano in concorso a Locarno 2014, vincendo il premio della giuria dei giovani – vuole farsi portavoce sembra a momenti sfuggirgli di mano: le rappresentazioni iperrealistiche finiscono per smascherare la finzione e una cornice sociale così frustrante può far sorgere il dubbio che, in fondo, vi si nasconda qualche pregiudizio. Eppure il quadro rinvia senza dubbio e con forza ai tempi che viviamo, a quell’acre senso di inutilità tipico di quest'epoca che fa sentire tutti smarriti, mal collocati, nudi sotto le intemperie. La stessa rappresentazione di Angelino (e di tutto il mondo di cui è simulacro) oscilla tra l’incapacità di trovare un proprio spazio di realizzazione e una vera e propria patologia comportamentale, figlia dell’assenza di comunicazione di cui il rapporto col padre è manifesto. Non basta quel poco di nenia religiosa che filtra ipocritamente dalla radio e neppure il fugace miraggio dell’amore, che si rivela presto solo un guizzo di follia, una sorta di cinico diversivo. In questo deprimente purgatorio, la bellezza fa capolino solo nello scorcio di una scogliera in tempesta, le cui immagini sprigionano insieme potenza e pace ma in cui, non a caso, ha luogo l'apice tragico della vicenda.
Perfidia è una di quelle opere lente e silenziose che concedono il tempo di porsi quesiti faticosi: sul senso di colpa, sul proprio ruolo nella società, sulla forza di volontà, sulla dipendenza dagli altri. Resta infine il terribile dubbio che ci sia un confine oltre il quale le difficoltà in cui versano Angelino e quelli come lui non siano solo l’insormontabile frutto di un fato avverso, ma la meritata rivalsa del mondo contro la loro colpevole accidia. È chissà che la vera perfidia non si nasconda proprio nell’umore nero e nel senso di impotenza che il film lascia addosso.
PERFIDIA, regia di Bonifacio Angius, Italia 2014, 103'.