Ci sono film che si ricordano per i loro silenzi. Spazi illuminanti in cui vagare alla ricerca di sé e di una nuova idea di mondo, prese di coscienza sull’oggi e sull’eredità culturale che ci appartiene. Succede per tutta la prima parte del nuovo film di Mario Martone, in grado di trasportarci in un’altra Italia, dove il tempo è scandito dallo studio e dal suono (lontano) delle campane. La biblioteca di casa Leopardi, in cui crescono in modo diverso gli spiriti di tre fratelli, nella dicotomia tra libertà di lettura e rigidità di condotta. Il giovane favoloso è un film sul pensiero e sulla parola, prima ancora che un film su un personaggio, e proprio nel suo elevarsi a una dimensione astratta, quella appunto del silenzio, ci fa pensare all’oggi, figlio negletto di quella formazione, delle mille biblioteche che hanno cambiato l’Italia.
Il primo pensiero forte, alla 71esima Mostra d’arte cinematografica di Venezia, è stato offerto proprio dalla contrapposizione tra il “passato” di Martone e il “presente” di Maresco, con il suo Belluscone: due modi diversi di sollecitare riflessioni sull’eredità dell’Italia contemporanea. L’intellettuale non può che dissolversi di fronte alle riprese di folla festante su slogan para-elettorali trasformati in inni pop o alle parole ormai svuotate di ogni significato di uno degli spettri della politica berlusconiana (coincidenza curiosa che proprio lui abbia trasformato la biblioteca in collezione, esautorandola della sua possibilità di eversione).
Eppure qualcosa di quella voglia di esplorare il sapere e di condividerlo con gli altri, resta ancora oggi, seppur in maniera profondamente mutata. Certo: andiamo incontro alla perdita di fisicità, alla smaterializzazione di una cultura fatta di tomi e stanze dedicate ad accoglierli. Tutto torna in maniera diversa, eppure così simile, nelle comunità virtuali in cui si custodisce e diffonde il nuovo patrimonio della nostra cultura visiva. Giardini delle delizie per cinefili appassionati che obbligano a ripensare la trasmissione del sapere e che, in altre forme (crowdfunding, fansubbing), agiscono materialmente, e più a fondo di quanto non si pensi, sugli equilibri dell’industria.
Nel caos apparente di questo mondo dominato dal web, è auspicabile, come sostiene Assayas, che i festival si sforzino il più possibile di diventare sempre luoghi concreti di confronto e ricerca, capaci di esaminare e portare allo scoperto le aree emergenti, vitali del cinema contemporaneo. Ne è stato un ottimo esempio l’ultima edizione del Festival del Film Locarno, segnata da due opere radicali e potenti (From What Is Before di Lav Diaz e Cavalo Dinheiro di Pedro Costa) che indagano le ferite mai rimarginate di un passato coloniale e il futuro di un cinema che sembra non poter fare a meno di guardarsi indietro.
Daniela Persico / Alessandro Stellino