Il ricordo legato a una rappresentazione teatrale è unico, l'irripetibilità di ciò a cui stiamo assistendo ci porta a concentrarci sul singolo dettaglio, su ogni gesto, sull'emozione offerta da quell'esperienza. Quando il cinema si confronta con il teatro diventa proprio questo il punto di scontro: dover far i conti con la diversa posizione spettatoriale implicita nelle due forme d'arte. E proprio ragionando su questa dinamica che il cinema di Matias Piñeiro raggiunge il suo risultato più alto, nell'aver intuito come restituire la freschezza e la singolarità di una rappresentazione, anche quando è fissata per sempre nel tempo e reiterabile all'infinito.
Nel suo La princesa de Francia, presentato all'ultimo Festival del film Locarno, il giovane regista argentino parte dai limiti che i due diversi linguaggi devono tener presente: il campo di gioco è definito, c'è un palcoscenico in teatro così come al cinema ci sono i limiti dell'inquadratura, ci sono linee colorate e reti a marcare posizioni e ruoli. Ma anche quando tutto sembra impostato, qualcosa richiede una maggiore attenzione per saper leggere un gioco più complesso della semplice apparenza. La scena d'apertura, vera e propria ouverture del film, è una partita di calcio ripresa dall'alto di un terrazzo: in campo, i microscopici giocatori indossano magliette dai colori sgargianti che li dividono a colpo d'occhio in due squadre. Lo sport si trasforma in una danza sulle note di Schumann, dove anche la semplice contrapposizione in fazioni a poco a poco scompare, sfruttando il fuoricampo per cambiare una maglietta e distruggere quell'armonia che l'equità tra due team forma in un qualsiasi gioco di squadra. Girata in un piano unico, la scena si basa su una semplice performance che spinge lo sguardo verso quel campo cieco dove, nella vita come nel cinema, avvengono trasformazioni fondamentali – capaci di sovvertire gli equilibri e di infrangere le armonie – refrattarie ad essere raccontate nel loro divenire, ma pronte ad irrompere con toni tragici o comici.
Tutto il cinema di Pineiro, che si racchiude in un trittico teatrale (Rosalinda, Viola, La princesa de Francia) più qualche opera studentesca, insegue la leggerezza della commedia sofisticata, dove l'intreccio snoda un intricato coacervo di rapporti affettivi, vissuti da attori in stretto dialogo con i ruoli delle commedie degli equivoci shakespeariane. Dal campo da calcio ci si sposta verso il retro di un teatro in cui, nell'oscurità della piccola platea, si delineano i volti dei personaggi principali. Victor, insolita Principessa di Francia, è appena tornato da un lungo viaggio che lo ha tenuto lontano da Buenos Aires e dai rapporti difficili con la fidanzata Paula, la sua ex Nathalia, l'amante Ana, e infine Carla, una ragazza che ancora non conosce ma sarà forse il suo prossimo amore… La ronde è pronta a prendere il via in un continuo cambio di ambientazioni, che raccontano l'amore del cineasta per i tempi e i luoghi scanditi dalle quinte teatrali, dove Victor è irretito nella sempre più vorticosa danza di ninfe, capaci di condurre un sofisticato gioco di seduzione e inganno, come suggerisce la cartolina dell'enigmatico dipinto di William-Adolphe Bouguereau.
A dominare la scena è la parola, rapida e stordente, vero centro propulsore della narrazione ma anche della finzione che regna attorno ai desideri dei diversi personaggi; sono invece i loro corpi, giovani e pulsanti, a introdurre una tensione verso la ricerca di uno stato di seppur precario equilibrio, in cui lo scatto antagonistico possa trasformarsi in passo di danza. Un'utopia in questa repubblica dei giovani di cui il regista, seguendo una pratica eminentemente teatrale, fa parte: un gruppo di attori suoi coetanei che ritorna di film in film e restituisce sullo schermo una freschezza di rapporti e una comunanza di orizzonti, formando una “compagnia cinematografica” come sarebbe bello ce ne fossero tante. E proprio questa pratica rende unico il cinema di Piñeiro, lontano dalla fissità dell'autorialismo e, al contrario, aperto a infinite variabili, che rendono ogni sua sequenza passibile di innumerevoli e sorprendenti trasformazioni.