Nel corso degli ultimi decenni, la democratizzazione dei media, generata dalla rivoluzione digitale del Web 2.0, ha favorito l’emergere di una cultura partecipativa di “prosumer”. Questo passaggio epocale, riassumibile in aperture virtuali nella maglia di un Matrix impenetrabile attraverso piattaforme generate dagli utenti (come Youtube e Facebook), ha consentito al tradizionale utente passivo di entrare nel meccanismo di produzione di contenuti digitali. “Prosumer”, infatti, è un neologismo che racchiude in sé il concetto di un consumatore protagonista dell’esperienza di fruizione di un prodotto. In quest’ambiente virtuale ricco di promesse, emergono una serie di fenomeni singolari tra i quali il “crowdsourcing” e il “fansubbing”. Anche se a volte vengono erroneamente usati in maniera interscambiabile, questi due anglicismi si riferiscono a due realtà diametralmente opposte all’interno della rivoluzione digitale concepita dal Web 2.0.

Se da un lato il “crowdsourcing”, derivato dalla fusione dei termini inglesi “crowd” (massa) e “sourcing” (la pratica di esternalizzare un lavoro da parte di un’azienda), rispecchia un modello che parte dall’alto, il “fansubbing”, al contrario, nasce direttamente dal basso. Un caratteristico esempio di “crowdsourcing” ci viene proposto da Facebook e dalla sua Translation App: trovandosi davanti alla necessità di localizzare il sito in più di 70 lingue, si è pensato di creare un luogo virtuale nel quale consentire agli utenti di tradurre i contenuti nella propria lingua madre. I volenterosi che si cimentano nella traduzione del sito, sono in realtà impiegati in un vero e proprio lavoro mascherato da gioco il cui scopo è di accumulare il maggior numero di frasi tradotte per sbloccare livelli e ricevere premi virtuali come da fig.1.

Le traduzioni vengono poi messe al voto da una giuria di utenti che avrà l’ultima parola sulla versione finale da inserire nel sito. Apparentemente, si potrebbe pensare che anche il “crowdsourcing”, come il “fansubbing”, sia un fenomeno controllato interamente dall’utente. Tuttavia, a sentire le dichiarazioni ufficiali dei manager del social network che affermano di aver creato l’applicazione con l’unico intento di coinvolgere l’utente nell’esperienza del social network, viene quasi da sorridere. In realtà, l’intera operazione non è altro che uno specchietto per allodole: l’utente si sente parte di un meccanismo che lo include e lo sfrutta allo stesso tempo. Facebook ha risparmiato centinaia di migliaia di dollari da destinare a professionisti della traduzione, a discapito della qualità finale del lavoro che però non rientra nell’equazione.

Il “fansubbing”, al contrario, è la creatura di una “fanbase” che, senza generare o pretendere introiti, entra di prepotenza nella personalizzazione di contenuti multimediali caratteristica del web 2.0. Il neologismo, ottenuto dalla fusione di “fan” e “sub”, fu coniato negli anni ’80 per indicare l’attività di traduzione degli anime giapponesi da parte dei fan. In ambito italiano, nel 2005, un gruppo di “utenti esperti” ha rilanciato questo fenomeno in occasione della messa in onda della serie televisiva Lost, una serie innovativa, con una prospettiva narrativa polifonica, dalla trama complessa e non lineare che divaga nel tempo e nello spazio con ripetuti flashback e flashforward per seguire le vicende dei sopravvissuti al disastro aereo del volo oceanico 815 su un’isola deserta. Dopo il close-up finale su una celeberrima botola a conclusione della prima serie, i fan iniziarono a scalpitare all’idea di aspettare un intero anno perché la macchina del doppiaggio sfornasse la seconda serie della loro nuova forma di dipendenza. Nacquero così le prime community dedite alla traduzione delle serie TV a poche ore dalla trasmissione negli USA: Subsfactory e Itasa. Mentre un primo nucleo di Subsfactory aveva già mosso i primi passi intorno alla fine degli anni ‘90, con le traduzioni amatoriali di serie di stampo sci-fi legate all’universo di Star Trek, la nascita di Itasa coincide esattamente con il delirio originato da Lost. Sebbene mossi da un obiettivo comune, quello di rendere accessibili i prodotti stranieri a un’audience italiana assuefatta al doppiaggio e alle sue lunghe attese, i due gruppi non potrebbero essere più differenti fra loro. Itasa, fondata da Klonni, è la più popolare: la sua pagina Facebook conta oltre 50.000 utenti, grazie ad un sito ben confezionato e adatto a favorire la fidelizzazione degli utenti. Subsfactory, fondata da Superbiagi, è più piccola (con oltre 20.000 utenti), ma vanta una filosofia basata sull’accuratezza, l’etica e la professionalità, in contrasto con il principio della velocità di Itasa, originariamente tesa a rilasciare i sottotitoli prima di tutti. In effetti, nonostante le diversità di cui sopra, le due community nel tempo hanno raggiunto un grado di cura e precisione nel rilascio del prodotto finale che ha poco da invidiare a lavori professionali. Inoltre, si distinguono decisamente dalle nuove realtà amatoriali di fansubber di cui si parlerà in seguito.

Nonostante una breve collaborazione, i due gruppi restano i protagonisti di una competizione quasi calcistica all’interno di un fenomeno di nicchia che con l’andare del tempo sta acquisendo sempre più consensi. L’organizzazione dei traduttori amatoriali è un orologio dagli ingranaggi praticamente perfetti: la gerarchizzazione dei ruoli, i protocolli collaudati, la standardizzazione delle norme e il flusso lavorativo non hanno niente da invidiare alle agenzie di traduzione professionali. Prima della messa in onda dell’episodio negli USA, il revisore costituisce un team di 5-6 subber. Una volta reperiti il video e il file dei dialoghi originali da dividere fra i membri del team e fissata la scadenza di consegna, il subber si occupa dell’aspetto più tecnico della sottotitolazione: la sincronizzazione dei sottotitoli, un processo svolto mediante l’utilizzo di software open source, come ad esempio VSS, Media Subtitler o Subtitle Workshop. Una volta preparata la base, il sottotitolatore amatoriale può quindi dedicarsi al processo di traduzione vero e proprio, un’attività apparentemente solitaria, ma che in realtà avviene in pieno spirito cooperativo attraverso il forum o in tempo reale tramite Skype. L’aspetto collaborativo, infatti, è alla base del lavoro del fansubber, divenuto tale dopo un periodo di prova in cui ha dimostrato di avere sia una buona conoscenza dell’inglese che dell’italiano, ha imparato la sincronizzazione dei sottotitoli e studiato a fondo una serie di norme traduttive da seguire con precisione millimetrica. A completamento del processo, le varie parti vengono caricate in uno spazio riservato del forum per poi passare al setaccio del revisore che si occuperà di ricomporle in un testo fluido, coerente e accurato da mettere a disposizione in un’aerea pubblica in cui chiunque, gratuitamente, potrà usufruirne. Il prodotto finito è un file di sottotitoli associabile a un video e leggibile da un qualsiasi riproduttore multimediale. La scelta di lavorare con i soft sub (file di sottotitoli separati dal materiale audiovisivo) anziché con gli hard sub (sottotitoli impressi nel video) è di fatto una soluzione intelligente tesa a ovviare alle conseguenze di naturale legale associate all’uso di materiale audiovisivo coperto da copyright. Tuttavia, l’attività dei fansubber si pone comunque ai confini della legalità poiché non si possiedono le autorizzazioni necessarie a tradurre i dialoghi originali di proprietà dell’autore.

Nonostante o forse a causa dell’ambiguità delle leggi vigenti in materia di copyright, fino ad ora non si è mai assistito ad alcuna azione legale nei confronti di queste community, e le motivazioni sono piuttosto curiose. Mettiamo il caso che la prima stagione “fansubbata” di una serie TV ottenga un discreto successo tra gli appassionati: con tutta probabilità verrà acquistata dai canali ufficiali pubblici o privati l’anno seguente. La pubblicità gratuita derivante dalla promozione indiretta delle serie televisive è chiaramente sottesa all’attività del fansubbing: il lancio di una serie via fansubbing contribuisce ad aumentare la visibilità e la circolazione di un prodotto audiovisivo e rappresenta un vero e proprio banco di prova per un programma televisivo all’interno di un mercato frenetico dal “mordi e fuggi” imperante. Di fatto, è come se esistesse una sorta di tacito accordo tra fansubber e produttori, racchiuso nel concetto del “laissez-faire”. A conti fatti, i fansubber, non solo non percepiscono una ricompensa economica dal frutto della loro passione, ma la loro etica, volta alla totale gratuità e alla condivisione, vieta anche di occuparsi di materiale già tradotto ufficialmente: si sottotitola unicamente ciò che non è ancora accessibile al pubblico in lingua italiana.

Il potere dei fansubber, tuttavia, non si è limitato unicamente alla scelta indiretta dei prodotti audiovisivi da lanciare in televisione, è andato ben oltre. Prendiamo il caso di The Big Bang Theory, una sitcom che narra le vicende di quattro nerd, ricercatori del California Institute of Technology. Nel 2008 Mediaset acquistò i diritti della serie, doppiata da Post in Europe (PIE) a Roma e trasmessa sul canale a pagamento Steel. Quando la programmazione fu avviata, i fan, che conoscevano già la serie grazie ai fansubber, si accorsero che l’adattamento italiano aveva annientato il contenuto umoristico-nerd dei dialoghi originali, appiattendo il linguaggio a tal punto da rendere il prodotto irriconoscibile. Fu così che in rete scoppiò una rivoluzione sedata soltanto quando la produzione decise di sostituire il direttore del doppiaggio e l’intero team. A causa del malcontento e delle richieste pressanti dei fan, la serie venne, infatti, interamente ritradotta riportando la versione italiana a un grado di fedeltà più consono all’originale. Il caso è clamoroso, tuttavia non si tratta dell’unico esempio dell’influenza che il fansubbing collaborativo ha esercitato sulle dinamiche traduttive attuali. Riferendoci sempre a Lost, bisogna ricordare che l’ultima stagione della serie, andata in onda nel 2010, è stata protagonista di trasformazioni radicali. Se una volta era necessario attendere un anno intero dall’uscita negli Stati Uniti per vedere una serie doppiata in italiano, dal 2010 in poi le tempistiche in ambito traduttivo hanno subito un forte scossone: il 24 maggio di quell’anno, l’episodio conclusivo di Lost è stato trasmesso dalla NBC negli USA, da SKY1 in Inghilterra, da Fox Italia e da altri canali di vari paesi europei simultaneamente. In Italia, l’episodio in questione è andato in onda alle 6 del mattino dello stesso giorno in lingua originale e poi è stato “fansubbato” da ItasA e Subsfactory poche ore dopo.

A ventiquattrore di distanza è uscita la versione ufficiale sottotitolata e infine, la versione doppiata il 31 maggio. Per la prima volta nella storia della traduzione audiovisiva italiana, le tempistiche sono state drasticamente ridotte e il merito è da ricercarsi indubbiamente nell’influenza delle pratiche sotterranee del fansubbing. Tuttavia, in controtendenza, di recente si è assistito all’emergere di piccoli sottofenomeni derivati, come Angels and Demons (www.italiansubtitles.blogspot.it), Myitsubs (http://myitsubtitles.weebly.com), Nowaysubs (http://nowaysubs.blogfree.net), Subsfamily (http://subsfamily-subs.weebly.com) e Subspedia (http://subspedia.weebly.com), solo per citarne alcuni. Questi gruppi di recente conio, sono accomunati dalla smania di pubblicare i sottotitoli alla velocità della luce: per placare la sete dell’utente ansioso, che non vede l’ora di seguire la sua serie preferita, farebbero di tutto. È una competizione all’ultimo respiro, basata sulla velocità di rilascio a discapito della qualità della traduzione, che ha finito per “sporcare” l’ambiente del fansubbing. Sembra che questo fenomeno sia il frutto di un “effetto spora” per il quale, gli aspiranti subber che non superano il test di accesso a Itasa e Subsfactory, creerebbero nuove entità meno esigenti e più accessibili. Infatti, l’etica di cui si è parlato sopra nel descrivere le due pietre miliari del fenomeno, è stata marginalizzata a tal punto che, di frequente, le traduzioni proposte dai nuovi gruppi, non solo fanno mostra di una scarsa capacità d’interpretazione del testo originale, ma mettono anche in luce la presenza di gravi lacune di carattere grammaticale per quanto concerne la lingua italiana. Ciononostante, la stragrande maggioranza dei fan sembra non riuscire ad attendere qualche ora in più per usufruire delle versioni accurate rilasciate dai gruppi veterani, causando loro un danno inconsapevole, perché se non si pubblica per primi, in pochi scaricheranno i sottotitoli dal sito e il lavoro svolto sarà pressoché nullo. Nonostante il fansubbing sia "dei fan per i fan" e non aspiri a competere con le pratiche professionali, ha sempre presentato canoni ben definiti che le nuove generazioni di fanbase sembrano non voler rispettare, sbaragliando la concorrenza a colpi di Google Translate e simili. L’utente disattento pare non accorgersi degli errori diffusi di queste versioni e finisce per accontentarsi di un prodotto oggettivamente scadente. In fin dei conti, come la luce di un fiammifero non può illuminare una stanza a giorno, allo stesso modo, una traduzione frettolosa non può offrire se non una vaga idea della trama originale. C’è da augurarsi che si tratti di una fase primigenia, seguita da un allineamento con la tradizione del fansubbing precedentemente avviata: visto il seguito che il fenomeno va acquisendo nel tempo, ne andrebbe dell’alfabetizzazione delle nuove generazioni.

(Serenella Massidda è ricercatrice indipendente, contrattista presso l'Università degli Studi di Sassari e sottotitolatrice freelance per due aziende londinesi. Specializzata in traduzione Medico-Scientifica con Tecnologie Traduttive all'Imperial College di Londra, ha ottenuto il dottorato europeo [European PhD] in Traduzione audiovisiva nel 2013)