In epoca di crisi economica la produzione di contenuti mediali distanti dal mainstream è sempre più a rischio: le industrie creative e culturali non hanno alcuna intenzione di investire capitali nella produzione di film, dischi, programmi, libri, oggetti di design, giornali, reportage fotografici, riviste che non garantiscano un solido ritorno economico immediato. Così, autori, designer, fotografi, giornalisti e in genere la “classe creativa” (Florida 2002), ricorrono sempre più spesso allo strumento del crowdfunding per farsi finanziare i propri progetti creativi. Al committente istituzionale si sostituisce il pubblico potenziale.
Ma cos’è il crowdfunding e come sta cambiando i modi di produzione, i contenuti dei prodotti creativi e il ruolo degli autori?
Facciamo prima un breve passo indietro. Il crowdfunding non è affatto un fenomeno nuovo né frutto delle tanto magnificate sorti progressive della Rete.
Il primo esempio di campagna di crowdfunding in senso moderno è probabilmente quella lanciata dal New York World di Joseph Pulitzer nel 1884 per raccogliere soldi per la costruzione di un piedistallo per la Statua della Libertà. In poco più di 5 mesi il giornale raccolse quasi 100.000 dollari (l’equivalente di 2,3 milioni di dollari di oggi). La risposta di massa della classe lavoratrice newyorkese alla chiamata all’azione di Pulitzer è dimostrata dal numero dei partecipanti e dal tipo del sostegno: 160.000 persone donarono meno di un dollaro (Pitts 2010).
Le riviste clandestine anarchiche dei primi anni del Novecento lanciavano continuamente campagne di sottoscrizione in sostegno dei propri compagni imprigionati. Tutte le società di mutuo soccorso nate in seno ai movimenti operai ottocenteschi facevano leva sulla raccolta collettiva di fondi per supportare i propri membri e le proprie cause (Kropotkin, 1902).
La pratica del crowdfunding non è aliena nemmeno ad altre industrie culturali, come la radio. Già nel 1923, Radio Sociedade di Rio de Janeiro veniva finanziata tramite una sottoscrizione collettiva. Nel 1946 poi, con la rete di stazioni Pacifica Network, nasceva negli Stati Uniti il modello della radio sostenuta dai propri ascoltatori, la cosiddetta listener supported radio: un'emittente radio totalmente finanziata dalla propria comunità. Il modello si estese a tutta la radiofonia alternativa e comunitaria degli USA e via via del resto del mondo. In Italia il modello più famoso è quello di Popolare Network, una radio comunitaria per vocazione (sebbene commerciale nella licenza) che dal 1990 ha inventato la forma dell’abbonamento fisso: una sorta di canone volontario che gli ascoltatori versano alla radio per supportarne le spese. Oggi il canone di Radio Popolare copre circa la metà delle spese della radio e ha permesso di sviluppare un modello di comunicazione democratica e partecipata (nella forma statuaria della cooperativa) con spazi propri e un auditorium di 100 posti per i concerti (Ferrentino, Gattuso, Bonini 2006).
Tutte queste forme di finanziamento collettivo, seppure ne rappresentino le fondamenta, sono però molto diverse da quello che oggi chiamiamo crowdfunding (per un approfondimento si veda Pais 2014). Una definizione di crowdfunding semplice e condivisa è la seguente: “è una pratica di finanziamento di un progetto o di un’impresa attraverso i contributi monetari di un ampio numero di persone, tipicamente raccolti via internet”.
La differenza sta tutta in quel corsivo: tipicamente raccolti via internet. È l’uso della Rete come piattaforma di scambio monetario e diffusione della campagna di crowdfunding che rende questi progetti completamente diversi dai suoi antenati. La rete permette, potenzialmente, una maggiore scalabilità del progetto (capacità di raggiungere più persone al di fuori delle proprie cerchie), una maggiore facilità di scambio monetario (un qualsiasi utente dotato di carta di credito può, con un semplice click, realizzare una donazione a favore di un progetto creativo) e una maggiore velocità nella comunicazione del proprio progetto (grazie all’intersezione tra piattaforme di crowdfunding e social media). Nel libro La ricchezza della Rete, Benkler descrive le dinamiche dell’emergente economia dell’informazione connessa come “un’economia in cui l’azione individuale decentralizzata – nello specifico, un’azione cooperativa e coordinata, compiuta attraverso meccanismi radicalmente distribuiti e non commerciali che non dipendono da strategie proprietarie – gioca un ruolo molto più importante di quello avuto nell’epoca dell’economia industriale dell’informazione” (2006, p. 3). Questo, argomenta Benkler, cambia il contesto e le premesse per la nostra comprensione dell’economia dei media. Benkler si sofferma sui potenziali benefici democratici e partecipativi sia per gli autori individuali che per le comunità peer-to-peer e immagina un’economia in cui la produzione sociale e di scambio giocheranno un ruolo molto più grande di quello avuto nelle democrazie moderne, affiancando i modelli tradizionali di produzione basata sul mercato e sulla proprietà. Il crowdfunding, i modelli di produzione e distribuzione peer-to-peer (Bauwens 2005) e altre forme di finanziamento online e distribuzione sono esempi di questo cambio paradigmatico che sta emergendo nell’economia dell’informazione, secondo Benkler.
Potenzialmente, secondo questa analisi, se ci soffermiamo ad esempio sulla produzione di film, grazie alla diffusione delle pratiche di crowdfunding aumenterà il numero degli autori di film che riusciranno a produrre il proprio contenuto audiovisivo, perché i tradizionali gatekeeper (televisioni, produttori cinematografici, festival del cinema) non saranno più gli unici filtri all’accesso alla produzione. Il crowdfunding, in questo senso, è una bypass technology, una tecnologia che aiuta a bypassare i centri istituzionali tradizionali che fungevano da porta d’accesso obbligata al finanziamento, produzione e distribuzione di prodotti audiovisivi.
Questo in teoria. Nella pratica però accade che molti progetti di crowdfunding non raggiungano gli obiettivi monetari fissati, e non solo perché il film non ha una trama attraente, ma soprattutto perché il successo delle campagne di finanziamenteo è decretato più dalla rete di contatti che gli autori riescono a mobilitare che dall’effettiva qualità della propria idea creativa (Kuppuswamy e Bayus 2013; Mollick 2014). In un’economia basata su reti sociali, a parità di idee, il successo arride alla rete più estesa e solidale. Un tipico caso di successo è rappresentato dal recente finanziamento del film documentario Io sto con la sposa, che dopo aver raccolto 98.000 euro dei 75.000 prefissati è anche stato selezionato al Festival di Venezia. Il documentario, oltre ad avere una storia molto potente (un finto corteo nuziale per beffare i confini europei, la Fortezza Europa), è riuscito a mobilitare una rete di persone estremamente solidali in tutto il mondo, con uno stile di comunicazione innovativo e provocatorio. Mai nella storia del crowdfunding italiano un progetto audiovisivo aveva ottenuto un così ampio supporto economico.
In Italia, la patria di una delle piattaforme di crowdfunding più antiche della storia di Internet, Produzioni dal Basso, nata nel 2005 e dedicata in particolare al finanziamento di progetti audiovisivi e artistici, il crowdfunding fa fatica a diffondersi. Nonostante ciò, esistono ormai circa 22 piattaforme di crowdfunding (AA.VV., 2013), tra le quali alcune, come Cineama, dedicate esclusivamente alla produzione di film indipendenti «un laboratorio e una community aperta ai professionisti, ai creativi e agli appassionati di cinema e dintorni». La piattaforma, fondata da Tania Innamorati e Federico Bo nel 2011, unisce crowdsourcing e crowdfunding, coinvolgendo direttamente i cineamatori nel processo di creazione del film che verrà poi finanziato tramite il pubblico.
Tecnicamente, esistono almeno due modelli di di crowdfunding (Lambert e Schwienbacher 2010):
1) reward-based (basato su una ricompensa): gli imprenditori mettono in pre-vendita un prodotto o servizio (la ricompensa) per lanciare la propria impresa (il proprio film, il proprio oggetto di design, o la propria società che produce un servizio/prodotto innovativo) senza dover chiedere prestiti in banca, fare debiti o dover sacrificare le azioni o i dividendi della propria impresa.
All’interno di questo modello ci sono due sotto insiemi:
a) "'Keep-it-All' (KIA), in cui l’imprenditore fissa una cifra da raggiungere ma porta a casa qualsiasi cifra raccolta, anche se la cifra non raggiunge il tetto stabilito e necessario per la sua impresa.
b) 'All-or-Nothing' (AON, come ad esempio Kickstarter), dove l’imprenditore fissa una cifra da raggiungere ma ottiene i finanziamenti collettivi solo se questi raggiungono la cifra esatta richiesta. Una ricerca pubblicata nel 2014 da Cumming, Leboeuf e Schwienbacher dimostra che i progetti di tipo AON hanno maggiore probabilità di successo, grazie alla convinzione da parte del pubblico dei finanziatori che un’impresa sotto-finanziata abbia meno credenziali.
2) equity-based (basato sulle azioni): chi sostiene l’imprenditore e la sua idea riceve in cambio non un prodotto/servizio ma una porzione delle azioni della società.
I prodotti audiovisivi e artistici più in generale di solito si affidano al modello basato su ricompensa, che prevede diverse forme di scambio tra produttori e sostenitori: dal semplice accesso al download del film alla spedizione di gadget fino a forme partecipative dei sostenitori all’interno del film (in cambio di sostanziosi contributi economici, quasi una forma di sponsorship). L’economia in gioco nel crowdfunding non è quella del dono maussiano (dono per creare un legame sociale, Aime e Cossetta, 2010) ma una vera economia di scambio di servizi: si “dona” per investire e ottenere un servizio/prodotto e per desiderio di partecipazione, per sentirsi parte di qualcosa, per stimolo identitario.
Il crowdfunding modifica il rapporto produttore-spettatore, trasformando lo spettatore/pubblico in potenziale committente/produttore e aiutando l’autore a costruirsi già un pubblico potenziale ben prima che il prodotto sia finito. Il medium crowdfunding, nel senso intimo di strumento di mediazione e di comunicazione tra autore e pubblico, modifica anche il ruolo dell’autore, non solo quello del pubblico. Franny Armstrong, una nota regista britannica di documentari che ha raccolto tramite crowdfunding circa 900.000 sterline per il suo The Age of Stupid, afferma che non è più soltanto una filmmaker, ma che per riuscire a fare i suoi film ha dovuto trasformarsi in esperta di pubbliche relazioni, in venditrice, in fundraiser, in oratrice pubblica e distributrice. Non tutti i registi di talento hanno le competenze, la reputazione, il tempo o il senso per gli affari, qualità tutte insieme necessarie per riuscire in una campagna di crowdfunding. Gli autori devono formarsi non più soltanto come ideatori di visioni, come fabbricanti di immagini, ma anche come venditori e comunicatori. Questo cambio di paradigma, in un momento storico in cui diminuiscono i finanziamenti tradizionali, avrà una ricaduta sui tipi di contenuti audiovisivi che vedranno la luce. Sorensen (2012) sostiene che il declino dei budget per la produzione di documentari in Gran Bretagna spinga gli autori a cercare sempre più la via del crowdfunding, ma che a beneficiarne sono non tanto gli autori di talento quanto quelli capaci di promuovere la loro idea o con i mezzi per pagarsi una campagna di comunicazione.
La folla non è saggia in sé (come non lo erano/sono i produttori televisivi e cinematografici) e non sceglierà sempre il miglior prodotto possibile. Spesso sceglierà semplicemente quello promosso meglio. Il crowdfunding rimane uno strumento con un grande potenziale democratico e partecipativo, ma che non risolve del tutto i problemi del gatekeeping (un autore africano che non vive in occidente non riuscirà mai a fare il suo film con il crowdfunding) e giocherà un ruolo sempre più importante nel filtro alla produzione di contenuti. Se a decidere cosa è meglio produrre non è più una commissione di esperti ma il pubblico, questa soluzione è sì in sé più democratica ma non per forza migliore. D'ora in avanti, gli autori non dovranno convincere un solo produttore ma studiare ogni mezzo possibile per convincerne mille.
Bibliografia:
Aime M. e Cossetta A. (2010) Il dono al tempo di Internet. Torino, Einaudi.
AA.VV. (2013) The future of crowdfunding. Report. Cfr. http://www.slideshare.net/crowdfuture/ebook-crowdfuture
Bauwens M. (2005) “The political economy of peer production”. CTheory, 1.
Benkler J. (2006) La ricchezza della rete, Milano, Egea.
Cumming, D. J., Leboeuf, G., & Schwienbacher, A. (2014). “Crowdfunding Models: Keep-it-All vs. All-or-Nothing”. Working paper (June 2, 2014). Disponibile su SSRN: http://ssrn.com/abstract=2447567 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.2447567
Ferrentino S., Gattuso L, Bonini T. (a cura di) (2006) Vedi alla voce Radio Popolare. Milano, Garzanti ed.
Florida R. (2002) The Rise of the Creative class. New York, Basic Books.
Kropotkin P. (1902) Mutual Aid, Londra, Penguin.
Kuppuswamy, V., and B. Bayus (2013) "Crowdfunding creative ideas: the dynamics of project backers in Kickstarter." SSRN Electronic Journal, 1-37. Accessed April 14, 2014. http://funginstitute.berkeley.edu/sites/default/files/V.Kuppuswamy_Crowdfunding%20-%20UCBerkeley.pdf.
Lambert, T.; Schwienbacher, A. (2010) "An empirical analysis of crowdfunding." SSRN Working Paper, 1-23. Accessed October 15, 2013. http://www.crowdsourcing.org/document/an-empirical-analysis-of-crowdfunding-/2458
Mollick E.R. (2014) “The Dynamics of Crowdfunding: Determinants of Success and Failure”, Journal of Business Venturing 29, 1-16.
Pais, I. (2014). Crowdfunding. La via collaborativa all'imprenditorialità.
Pitts, J.B. (2010) "Pulitzer Crowdfunded the Statue of Liberty?" The Daily Crowdsource, October 20, 2010. Accessed January 2, 2014.
Sørensen, I. E. (2012) "Crowdsourcing and outsourcing: the impact of online funding and distribution on the documentary film industry in the UK." Media, Culture & Society, 34(6), 726-743.