Mary Bee Cuddy è una donna sola con un animo forte. Vive nelle inospitali pianure del Nebraska, uno di quei posti di frontiera dove i coloni coltivano la speranza di una vita migliore attraverso stenti e sofferenze. Cuddy non si è mai sposata e con modi spicci cerca ancora di trovare marito. Il suo atteggiamento, pio e autoritario al tempo stesso, spaventa i potenziali pretendenti senza però minare il suo spirito. Quando tre donne perdono il senno laggiù, abbattute dalla perdita di figli e di speranze, piegate da un futuro che mostra la sua faccia più truce, sarà lei ad accettare di riportarle ad Est – back to civilisation – dopo che i loro mariti si sono tirati indietro accampando scuse e mostrando fragilità d’animo. Per accompagnarle – perché quello non è un viaggio per donne sole – trova un uomo solitario, in odor di impiccagione e portatore di un passato da disertore. Un uomo brusco e diffidente che si avventura con un gruppo di donne (proprio come in Meek’s Cutoff di Kelly Reichardt) attraverso le sterminate pianure del West per risalire la frontiera contromano – non da Ovest a Est a colonizzare un ipotetico futuro, ma da Est a Ovest, a cercare consolazione e riparo – fino a ritrovare i pettinati ed accoglienti giardini del civile Iowa.
The Homesman, opera seconda di Tommy Lee Jones che già nel suo film d’esordio mescolava suggestioni classiche con il postmodernismo narrativo di Guillermo Arriaga, è un film che si esprime attraverso dicotomie, estetiche e tematiche. Il campo di battaglia è quello geografico: i territori al di qua e al di là della frontiera sono le due facce di una medaglia – complementari e opposte – e rappresentano due idee di società (di civiltà, di popolo) che sembrano inconciliabili. I volti dei coloni che hanno lasciato le città ordinate per cercare fortuna nelle distese pietrose del West sono segnati da rughe, lutti e fatica. Le facce dei borghesi di città che si vedono alla fine del viaggio – così come quelle dei ricchi imprenditori che nel West basano i loro affari tenendo i piedi ben saldi a oriente – sono distese, piene una compassione che possono permettersi, compite nell’offerta solidale di umanità. Ma sotto questa mappa geografica e antropologica si nascondono divisioni altrettanto profonde: gli uomini e le donne, i sani e i pazzi, i singoli e la collettività. La società americana dell’Ottocento si presenta maschile prima ancora che maschilista: gli uomini badano al lavoro e determinano le scelte ma non sanno assumersi le responsabilità e affrontarne le conseguenze. Sarà una donna, non a caso senza marito, a porre rimedio al danno derivato dalle loro azioni, a sobbarcarsi il peso di un corpo sociale espulso a causa di un fallimento generale, di uno spezzarsi a un dolore bigger than life.
Gli uomini decidono ma non sanno proteggere, le donne – a cui il decisionismo è precluso – si mostrano capaci di un atto di inclusione sociale e affettiva, piene di una generosità che non si impara lavorando la scorza dura di una terra desolata. Solo una donna si offre di proteggere le sue simili indebolite dalla pazzia, metafora innominabile di una sconfitta collettiva, e lo fa aiutata da un disertore, un eremita che ha fuggito le convenzioni. Uomini e donne soli che sanno ridare senso all’integrazione, a percorrere, più o meno consapevolmente, i territori dell’accoglienza. Jones filma il tutto con sguardo classico, ritaglia personaggi di contorno capaci di definire e sottolineare il genere (indiani compresi), cita stili e forme che hanno segnato la storia del cinema Western (da Ford al Porter di La grande rapina al treno, in un’inquadratura che ne rovescia e modernizza il senso), ritrae la natura senza ridimensionare mai il paesaggio umano, alterna esplosioni drammatiche a momenti quasi buffoneschi.
Ma sotto la smagliante messa in scena, The Homesman racconta la dolente epopea minimale dei sommersi: donne impazzite, abbandonate in un deserto di senso da una mascolinità monocorde e vigliacca e costrette ad attraversare un paese ancora senz’anima in compagnia di un loser disposto a superare le preclusioni iniziali (culturali, sociali, sessuali) per ipotizzare finalmente una nuova e più giusta forma di convivenza.
THE HOMESMAN, regia di Tommy Lee Jones, USA, 2014, 122'