Sgangherato e prevedibile, Incompresa lo è quasi ovviamente. Destinato a scontentare chi si aspetta da un film italiano le solite dosi calibrate di dramma e commedia, il nuovo film della Argento mescola continuamente e bruscamente i registri, confondendoli: così, ad esempio, gli sfoghi paterni che portano la bambina a finire più volte per strada coincidono con quelle che sono le scene più divertenti del film, con Garko che si tocca e la macchina da presa che senza alcun timore ne asseconda il gesto, ridendo ed esibendo una volgarità che ritorna altrove (la scena del vomito), liberatoria, dopo che decenni di cinema d’autore (si pensi a Bertolucci) hanno cercato di farne sterile provocazione, ammansirla o renderla lirica. La volgarità è un macigno con il quale da sempre il nostro cinema si confronta, spesso soccombendo. La rozzezza del personaggio Asia Argento, invece, passa intatta nel suo film, apparentemente più composto dei precedenti ma proprio perché con meno pretese più godibile e schietto. E poco c’entra, con questa schiettezza, il fatto che Incompresa sia ispirato alla biografia dell’attrice stessa (che compare qui in un piccolo e divertente cameo).
Incompresa non è un film “riuscito”, secondo un termine che piace molto ai critici col bilancino, ma è un film che sghignazza laddove il cinema italiano sembra volersi impegnare, falsamente e ipocriticamente. È un film che chiama le cose con il loro nome, attraverso soprattutto l’uso degli interpreti, in primis Garko, “attore cane” che qui fa tranquillamente, e con un’ironia di cui non lo credevamo capace, la parte di un “attore cane”. È un film che mostra il brutto della vita senza dare lezioni, così come mostra il brutto nel décor e negli abiti di un 1984 ricostruito con attenzione ma senza eccessi filologici. Per fortuna manca quella tendenza semidocumentaria, da pedinamento digitale, di molto cinema contemporaneo italiano. Nessun cascame psicologico né sospetti sociologismi: fatti messi in fila meccanicamente, prevedibilmente, a fare emergere un brutale ritratto dell’adolescenza raccontato con brutalità, un viaggio per tappe già viste verso una conclusione scontata.
Incompresa è dunque il cinema italiano di oggi (nei personaggi disfunzionali, nei temi, nella volontà di rifugiarsi spesso in un passato recente, etc.) realizzato però senza programmaticità, senza sovrastrutture e senza ruffianerie parapoetiche che inquinano anche opere dignitose come Le meraviglie. Basti pensare alla scelta del brano di Ambra che chiude il film della Rohrwacher, segno di un uso filtrato e intellettualistico del più becero gusto pop, nobilitato nel tentativo di restituirgli immediatezza, di collocarlo all’interno di un film che media continuamente tra la trasparenza dello sguardo infantile e una certa pesantezza metaforica. La Argento, paradossalmente, dimostra proprio quanto sia insincero e limitato il cinema che oggi siamo costretti a guardare. Ci dà una lezione di stile proprio andando nella direzione opposta, senza paura. Il ridicolo è più volte sfiorato, certo, ma la complicità con lo spettatore che il film instaura immediatamente, fin dalla prima scena (sorta di versione fotocopiata, tutta esteriore, del pasto in famiglia che apre I pugni in tasca di Bellocchio), è spiazzante e solo chi si pone in malafede può non accorgersi di cosa ha davanti. Dopo Incompresa, per fortuna, ci appaiono ancora più vecchi e ridicoli film come Io e te. Mostrando la sua protagonista guardare Incompreso di Comencini, alla fine, la Argento ci ribadisce ancora una volta che la sua storia è già stata raccontata, sicuramente meglio. Per fortuna ha voluto raccontarla di nuovo, per fortuna alla sua maniera.
INCOMPRESA, regia di Asia Argento, Italia/Francia, 2014, 103'