La scuola italiana, attraverso la sua ultima produzione e un nuovo regista, segue la formula che aveva proposto, sotto una pioggia eterna, l'inglese Robert Hamer: non c'è realismo che di domenica; e può bastare lo studio di un personaggio nelle sue distrazioni del week-end per scovare certe verità che non si possono trovare nei film “della settimana”.
Dei cittadini, in effetti, di cui il comportamento in spiaggia non è più influenzato dalle necessità della vita sociale, si può restituire la natura più vera. La verità che emerge dall'acqua in bikini, e l'uomo steso sulla sabbia, panciuto, con il pelo sul petto scoperto, evita facilmente di sembrare sofisticato. L'abbandono di un giorno di riposo permette all'osservatore di scegliere, con esattezza e verve, nella casualità di una passeggiata sui polpacci abbronzati, i mille e uno episodi dove si tradiscono gli stati d'animo sinceri di un contabile o di una cassiera. Per molto tempo, senza dubbio, Luciano Emmer ha percorso la spiaggia di Ostia, con la palpebra piegata più di una strizzatina d'occhio.
Senza avarizia, vuole procurare al pubblico lo stesso piacere; lo stile della recitazione rinnovato ad ogni inquadratura è il patto di questa complicità. Ingannato dalle continue ellissi, lo spettatore ha l'impressione di comprendere molto di più di quello che esprimono le sole immagini, e la certezza spesso illusoria d'avere previsto tutto quello che accade. (Rosetta respinge vivamente il suo ferro caldo…). Soggettiva, docile, la camera registra esattamente quello che vede il grasso napoletano, disteso alle terme, o il dottore, al ristorante, intravede, al di là di Vincenzo Perrone e la sua campagna, la sorridente madre di Graziella. Ma ciascuno di questi piani, ciascuna di queste inquadrature diventa subito come un pretesto per prendersi gioco dolcemente dei personaggi di cui Emmer ci offre il punto di vista. L'occhio del regista dietro la macchina da presa e il nostro davanti allo schermo si muovono in sincronia; e sentiamo un piacere sottile nel penetrare così nell'intimità dell'anima dei protagonisti per ironizzare su di loro senza malizia.
Queste indiscrezioni dello spettatore, che provoca l'esemplare discrezione del regista, rivelano a poco a poco il segreto del film. Per tutti i romani che ha scelto Sergio Amidei, che Emmer ha diretto casualmente verso le cabine della spiaggia, il ricordo di questa domenica d'agosto rimarrà per molto tempo, la vita quotidiana vista attraverso il prisma domenicale prenderà ormai tutt'altro colore. Al mattino, ciascuno dirà che andrà a divertirsi, forse a evadere, almeno a realizzare, grazie a una libertà molto provvisoria, i sogni pazientemente accarezzati nelle sere dei giorni lavorativi. Come negli intervalli scolastici la ricreazione settimanale dei grandi, giocando il ruolo dei loro eroi di finzione preferiti. Ma l'equivoco si risolve nell'arco della stessa giornata. Al tramonto, quando bisogna rientrare a Roma, riprendere il lavoro giornaliero, il grasso napoletano non è più mediatore in Borsa e la sua automobile si rivela un rottame, la zia bisbetica vanta meno le sue terre a Fallonica, Marcella confessa di essere figlia di un tassista e accetta i baci dal figlio di uno stagnino. Dei brevi incontri avvicinano alcuni, dei vecchi rancori che maturano al sole separano altri; a tutti le avventure di queste ventiquattro ore danno l'occasione genuina di scoprire la propria verità.
Così, l'illusione denunciata dal romanzesco, l'eleganza funambolica d'una danza amorosa che porta nell'avvenire dell'uno e dell'altro una vera felicità. Per alcuni, per un realismo più intimo e profondo, la giornata sarà decisiva: Luciana ed Enrico hanno coltivato l'amore che solo dai loro sentimenti s'impone come autentico; il padre di Cristiana, al contrario, segna sulla sua agenda il numero di telefono attraverso il quale potrà trovare una nuova vita. Nessuno rientra a mani vuote, tranne i bambini che sono gli unici a non essersi divertiti, e la notte che scende sarà bianca per coloro che tesseranno un bilancio.
Da René Clair, e questo è tutto dire, l'opera dovrebbe essere citata, l'influenza riconosciuta. Al di là dei suoi ricordi, il critico prova la gioia totalmente disinteressata di sentirsi inutile e disarmato. Costretto dall'autore, e questo è il criterio di riuscita dell'opera, a rinunciare per due ore alla sua capacità d'attenzione e sorveglianza, il critico spera prima di tutto di percorrere una spiaggia e di giocare, su un metro di sabbia, con i granchi addormentati. Una verità che s'impone fino a divenire il sogno che insegue il mio vicino, di cui posso sorridere ma per difendermi, questo potrebbe essere il trionfo del realismo.
(testo originariamente pubblicato su Raccords, n.6, dicembre 1950, pp. 26-27; traduzione di Alberto Beltrame)