1. So che ci sono miliardi di persone che possono fare nuovi filmati con i mezzi ora a disposizione. Bisogna però trovare nuove vie di distribuzione e avere il coraggio di sperimentare nuove strade. Non importa il tipo di supporto, siate fedeli alla vostra visione. Che filmiate su 35 mm o col cellulare è la stessa cosa. L'evoluzione degli strumenti è stata vigorosa e libera dal denaro che è vigliacco e stupido. Oggi con 10.000 euro si può fare un cortometraggio. Perciò non voglio sentire più lamentele, è finita l'epoca delle scuse.
2. La cosa più importante per un regista è avere sempre il controllo del set. Il centro di tutto è il punto dove sta la telecamera. Sui miei set pretendo che la gente che deve telefonare stia ad almeno 100 metri dalla macchina da presa. Non voglio essere invaso da walkie talkie, cellulari e quant'altro. Sui set americani è tutto un parlare continuo. Anche vedere le riprese sul monitor per me è dannoso. Tutti vedono quello che è stato girato, è questo provoca una sensazione di falsa sicurezza. Io voglio essere l'ultimo ad allontanarsi dall'attore, voglio essere il tramite tra gli interpreti e la troupe. Quando giravamo Il cattivo tenente mi chiedevano di fare delle inquadrature di copertura, dall'alto, dal basso, da tutte le parti. Io dicevo l'unica copertura che ho è quella assicurativa della mia macchina. Io so cosa devo girare e non vado oltre le tre del pomeriggio, non faccio mai straordinari.
3. A un incontro parlavano del cinema verità, dicendo che bisogna essere come mosche sui muri e io sono saltato su gridando: "No!". Bisogna essere vespe, pungere come calabroni! Non siete la telecamera di sicurezza di una banca che registra una parete vuota finché qualcuno un giorno non fa una rapina che magari va anche male. Ragionare così è da sfigati! Bisogna conoscere il cuore degli uomini, avere la saggezza di un serpente nel far parlare le persone e fargli quella domanda, l'unica che possa far crollare il muro di certezze e lasciar emergere la fragilità. Mi è accaduto con Messner in The Dark Glow of the Mountains, quando nel chiedergli come avesse detto alla madre della morte del fratello usai un tono solenne, biblico, che lo fece piangere. E in Into the Abyss con il cappellano del carcere: l'avevo portato nel cimitero dove venivano seppelliti i detenuti per cui la famiglia non aveva richiesto sepoltura. Lui parlava come un predicatore televisivo, della natura, della bellezza divina, degli scoiattoli. Gli chiesi "Mi racconti l'incontro con uno scoiattolo" e lui crollò, si aprì e arrivai a ottenere questo momento. Non so come ebbi quell'intuizione, è una cosa che nessuna scuola di cinema potrà mai insegnare.
4. Non dovete mai smettere di riprendere, dovete avere la massima fiducia nel cameraman. Perché ci sono cose che vanno colte solo sul momento, non si possono organizzare prima. Di colpo un silenzio può diventare potente. Una volta mentre un poliziotto raccontava del ritrovamento di una ragazzina seviziata, una cosa orribile che aveva sconvolto lui e altri agenti, abituati a vedere cadaveri di ogni tipo, fece una lunga pausa per riprendersi dall'emozione. Io continuai a filmare e lasciai questi 25 secondi di silenzio che sullo schermo sembrano lunghissimi. La produzione voleva che tagliassi ma gli risposi "Se taglio questo silenzio sarò vissuto invano".
5. In My son, My Son, What Have Ye Done c'è una scena di totale immobilità. Viene dopo che Michael Shannon si è chiuso in casa con gli ostaggi, i pink flamingos, e parte un flashback sulle note della canzone di Caetano Veloso. Una scena che non c'entra nulla col film ma io ero ossessionato dall'immagine di un cavallo piccolissimo e di un gallo enorme, il più alto al mondo. Volevo metterli insieme in una scena ma il proprietario del cavallo non mi diede il permesso perché diceva che sarebbe stato ridicolizzato. Rimase la foto del cavallo, mostrata dal personaggio. Parte la canzone di Veloso e finché non finisce tutto resta immobile, è una visione molto forte anche se non rientra nella trama del film. Quando avete una storia che vi ossessiona dovete insistere per realizzarla, non cedere alle pressioni esterne.
6. Non scelgo i soggetti, le idee mi vengono nei momenti più inaspettati. Le cose si presentano incontrollabili, scelgo quelli che si presentano in maniera più travolgente. Ricordo che inciampai letteralmente in Grizzly Man, il giorno in cui andai a parlare con un produttore per tutte altre faccende. Prima di congedarmi mi misi a cercare le chiavi della macchina e lui credette che fossi rimasto colpito da un testo sulla sua scrivania. Mi diede questo articolo da leggere sulla morte di Timothy Treadwell e una volta tornato a casa mi misi a leggere. Tornai immediatamente da lui e gli chiesi se ci fosse già un regista per il film. Lui mi rispose "credo che lo girerò io". "Credo? Siamo pazzi?" gli dissi in un inglese che, per l'emozione, aveva un accento tedesco fortissimo. "Dirigerò io questo film".
7. L'ultimo progetto in cui mi sono impegnato è un documentario sui terribili incidenti provocati da persone che scrivono sms alla guida. From one second to next, sponsorizzato dalla compagnia telefonica americana AT&T. L'hanno già visto oltre un milione di persone. C'è una trasformazione in atto nella società, che non si può ignorare: nei ristoranti le famiglie non si parlano, tutti scrivono separatamente al telefono, lo stesso nei cortili delle scuole fra gli studenti. Un fenomeno di proporzioni così smisurate merita di essere raccontato.
(Estratti dalla matserclass tenuta da Herzog al Festival del Film Locarno 2013)