Presentato allo Slamdance Film Festival e poi nella sezione Filmmakers of the Present del Festival del film di Locarno, The Dirties prende spunto da un tema pressante come le sparatorie e gli eccidi nelle scuole, per analizzarlo attraverso una prospettiva inedita. Il giovane Matthew Johnson, al suo esordio nel lungometraggio dopo la web-serie sperimentale documentaria in 10 episodi Nirvana The Band The Show (2007-2009, http://nirvanathebandtheshow.com/), entra nella testa di un ragazzo destinato a compiere una strage: non si concentra sul gesto estremo, sulla violenza, sulle conseguenze, ma sulla loro genesi, raccontando un percorso di progressiva dissociazione. Il suo protagonista è un ragazzo come tanti, intriso di cultura pop e del sogno di diventare regista, preso di mira a scuola da un variopinto gruppo di bulli, che vessano lui e il suo migliore amico, Owen. Il messaggio di fondo è lampante: per comprendere e sanare le cosiddette “tragedie scolastiche”, il primo passo da fare è uscire dalla logica del mostro, della follia, e tornare a considerare gli assassini come esseri umani. Il dato interessante qui però non è tanto la morale – Johnson irride i toni pesanti da analisi sociologica disseminando la narrazione di battute e in-jokes che superano il confine del nerdismo e trasformano il film in una commedia quasi solare – quanto le scelte in fatto di messa in scena, con un apparato misto di riferimento che sfrutta le logiche low-budget per ingaggiare il pubblico in una riflessione attiva.
Per rappresentare lo sfondo di soprusi quotidiani, Johnson sceglie in effetti una tecnica di confine, già praticata nella precedente serie web: The Dirties è dichiaratamente un film di finzione, ma sfrutta modalità documentarie interpolate con riferimenti metacinematografici da film-nel-film e cortocircuiti con le reazioni reali delle persone nel mondo circostante, inconsapevoli di trovarsi riprese dalla mdp. I due protagonisti, due liceali che conservano i nomi dei due attori, Matt(hew) Johnson e Owen Williams, stanno girando un film autobiografico (per i protagonisti della storia, non per gli attori) su due ragazzi vittima di bullismo che decidono di vendicarsi dei loro aguzzini prendendo in mano la giustizia e trasformandola in vendetta. Le scene di finzione si mescolano così con quelle della realtà filmica, a sua volta ripresa come un documentario, con un cameraman che segue i due ragazzi ovunque, pur senza interazioni dirette (a esclusione di una scena in cui gli vengono offerti dei pop corn): a questo già irto sfondo di rimandi realtà-finzione, si aggiunge il fatto che la quasi totalità delle persone riprese a parte i due protagonisti non siano attori, quanto o comparse non professioniste non completamente informate sulla trama o addirittura passanti casuali, inquadrati di sfuggita con le loro reazioni reali. A proposito del film si è parlato spesso di mockumentary, ma il termine non racconta la totalità dell'impalcatura narrativa. The Dirties è più precisamente un quasi-mockumentary che incontra una candid-camera permanente, il cui scopo ultimo non è però sbeffeggiare gli ignari passanti, ma usarli come specchio per mettere in luce l'autoreferenzialità di chi opera lo “scherzo”, il protagonista-regista-narratore.
The Dirties non si posiziona nell'universo strettamente narrativo di Elephant (Gus Van Sant, 2003) o di …e ora parliamo di Kevin (Lynne Ramsay, 2011), e neanche negli accordi metacinematografici di Il cameraman e l'assassino (Belvaux-Bonzel-Poelvoorde, 1992), ma è piuttosto figlio dell'umorismo meta-cinefilo-citazionista di una sit-com come Community (creata da Dan Harmon nel 2009, giunta al traguardo della quinta stagione), in cui ogni episodio è strutturato come una rilettura di un genere o di un topos cinematografico. Matt in The Dirties è l'equivalente del personaggio di Abed Nadir (Danny Pudi) in Community, appassionato di documentari che non solo rilegge la realtà tramite la manipolazione di diversi stili narrativi (dall'animazione all'heroic bloodshed, dalla commedia sentimentale al mockumentary), ma da quelle manipolazioni viene influenzato fino a modificare la realtà stessa. Nei fragili interstizi di questo complesso gioco di rimandi risiede allora l'interesse per un film altrimenti non completamente riuscito (dalla recitazione esasperata di Johnson a qualche crepa di incoerenza nella scelta di passare a inquadrature fisse per l'esplosione di violenza finale). Da questo punto di vista The Dirties rimane un proficuo manifesto di intenti per l'analisi della realtà nell'età post-postmoderna, in cui siamo perennemente disconnessi e al contempo interconnessi dagli/con gli altri tramite un profluvio di intermediari mediali, ciascuno con le sue modalità e linguaggi specifici.
The Dirties, regia di Matthew Johnson, Canada 2013, 83'.