"Most movies are made as a corporation product. They're planned, and there's a corporation behind them, and they're turned out. What we did is we made a movie as a military operation. When you have a military operation you set out to take a given town, and your objective is to take that town and as you go forward all sorts of unforeseen contingencies arrive, and as they do you go around them, or through them, or under them. But the whole idea in a military operation is that you get a certain amount of force moving, and then you move with it, and then you discover what the reality of your attack is by attacking. So what we've been doing the last five days is making an attack on the nature of reality, on what is reality"
Norman Mailer, Maidstone, 1970
Dell'attività registica di Norman Mailer si conosce quasi esclusivamente un film: I duri non ballano del 1987, un dramma poliziesco con Ryan O'Neal e Isabella Rossellini, presentato a Cannes. Di tutt'altra specie sono i primi tre lungometraggi racconti da Criterion in un cofanetto della collana Eclipse: Wild 90, Beyond the Law e Maidstone. Opere estemporanee, autoprodotte, girate in pochissimi giorni e a budget ultra-ridotto, estenuanti nella loro evidente improvvisazione, annichilite dall'ingombrante onnipresenza dell'autore, e solo in parte salvate dalla bravura degli operatori (Leacock e Pennebaker, niente meno) che infondono alle immagini un senso di corrosiva immediatezza. L'ispirazione è evidente (Cassavetes, Warhol, Clarke, Greaves, Downey Sr.), ma rivisti oggi i tre film dicono poco del loro tempo, oscurati dalla personalità di chi li ha realizzati: l'autore di un capolavoro nella letteratura bellica, quel Nudo e il morto (1948) scritto a soli 24 anni, e di almeno altri due romanzi di rilievo, Le armate della notte (1968) e The Executioner's Song (1980), a metà strada tra il "new journalism" e la docufiction; ma soprattutto un intellettuale che ha sempre fatto della propria esposizione mediatica una necessità, oltre che un punto di forza, inimicandosi tanti e fregandosene altamente dell'opinione altrui (celeberrimo lo scambio di insulti in diretta TV con Gore Vidal e Janet Flenner durante una puntata del Dick Cavett Show nel 1971). Più che film di Norman Mailer, si tratta quindi di film su Norman Mailer: gigantografie in movimento di un ego spropositato e desideroso di mettersi in mostra.
Girato nell'arco di due notti nel 1967, Wild 90 sembra la parodia di un gangster movie scritta da Pinter sul tovagliolo di un bar ("from a script which did not ever necessarily exist", si legge sui titoli), con tre mafiosi chiusi in una stanza a bere e litigare senza tregua. La macchina da presa di Pennebaker (che compare brevemente nel ruolo di un poliziotto) vortica intorno al terzetto seduto a tavola, con Mailer – ovviamente il più refrattario dei tre al confinamento obbligato (non si sa da chi e per quale motivo) – che prende a pugni lampadine appese al soffitto e scalcia sedie, apostrofando gli altri (Buzz Farbar e il blacklisted Mickey Knox) in malo modo ("I could fuck a girl with my ears better than you can with your triple prick") e servendosi del termine "cunt" come fosse una virgola. Per il 90 per cento del film i tre non fanno che parlare a vanvera, con botta e risposta che paiono scimmiottature di dialoghi tra tough guys da romanzi pulp, e monologhi sganciati da qualunque parvenza di contestualizzazione. Mailer, quando non è impegnato ad abbaiare come uno scimmione intrappolato, infila improperi alla velocità della luce, in una pessima interpretazione di Hemingway che impersona Bogart (altri hanno parlato di un Jimmy Cagney velocizzato a 45 giri), lo sguardo torvo e l'atteggiamento indisponente e presuntuoso di un bullo che spadroneggia su tutti. L'immobilità della situazione viene saltuariamente interrotta dall'entrata in scena di ospiti attesi e non, e l'unico momento degno di nota è quello in cui si palesa il pugile José Torres, immediatamente sfidato (era inevitabile) da Mailer in una scazzottata a mani nude che anticipa il momento più sublime della sua filmografia: la rissa con Rip Thorne alla fine di Maidstone. Impossibile non pensare che James Toback si sia ricordato di questa scena in occasione del suo Black and White (Robert Downey jr. vs Mike Tyson, per chi non l'avesse visto), anche perché Toback presenziò sul set del film di Mailer in veste di giornalista per Esquire.
Il bianco e nero sgranato del primo film impronta anche quello successivo, che ne riprende temi e tattiche di messe in scena: Beyond the Law ha luogo in una sola notte all'interno di un commissariato di polizia e, nelle intenzioni del regista, i lunghi interrogatori
condotti da una manciata di sadici poliziotti ai danni di papponi, prostitute e delinquenti di strada (tra cui nuovamente il boxeur Torres), dovevano mostrare la sostanziale equivalenza tra chi spalleggia la legge e chi le si oppone. Continuando l'opera di sovversione nei confronti del "cinema verità", Mailer si serve di tecniche documentaristiche per inscenare una struttura finzionale per dimostrare che ciascuno, consapevole o no, interpreta un ruolo sociale caratterizzato da regole ben definite. Ancora una volta l'azione è in larghissima parte improvvisata, il plot ridotto ai minimi termini, nient'altro che "uno strumento utile a esternare condizioni e processi psichici degli interpreti, un catalizzatore in grado di rendere visibile e udibile la loro interiorità" (Michael Chaiken). Il cast è decisamente più folto: accanto a Mailer ci sono anche il fondatore della Paris Review George Plimpton e il beat Michael McClure, ma anche una manciata di attori professionisti. Più articolato e vario del precedente, potrebbe davvero costituire un imprevedibile ponte tra Cassavetes e Warhol, peccato che non sia in grado di trovare l'adesione ai personaggi del primo né la distanza da essi del secondo, finendo per ripiegare sugli stessi cliché che non permettevano a Wild 90 di elevarsi al di sopra del vezzo sperimentale.
Con Maidstone, Mailer finalmente comprende che non deve far altro che recitare se stesso. Quello che ha sempre fatto, in qualche modo, ma senza più fingere di essere un mafioso o un poliziotto. Nei panni di Norman Kingsley (la prosopopea anche nei nomi: "Kingsley", dopo i "Prince" e "Pope" dei due film precedenti), è un regista candidato alle presidenziali, e non va dimenticato che nell'arco temporale intercorso tra il secondo e il terzo film Mailer si candidò a sindaco di New York. Il film, a colori, è in gran parte incentrato sul casting di giovani donne, belle e disinibite, in fila per ottenere una parte in un lungometraggio ambientato in un bordello maschile. Nelle parole dell'autore la realizzazione fu "un incrocio tra un circo, una campagna militare, un incubo, un'orgia e un viaggio allucinogeno" ed effettivamente c'è dentro di tutto, da un'attempata presentatrice televisiva che introduce le scene, a un convitato di critici e intellettuali che disserta su Kingsley, paragonandolo volta per volta a Truffaut o ad Antonioni, passando per languide scene di sesso fino alla brutale colluttazione tra Mailer e Rip Torn. Stando alla leggenda si tratta di una lite vera, con i due che finiscono alle mani dopo una discussione riguardante la moglie dello scrittore, Beverly Bentley (anche lei impegnata sul set) e rappresenta l'ultimo, bruciante cortocircuito tra finzione e realtà: Torn si avventa su Mailer con un martello, i due finiscono a terra sul prato e Mailer addenta un orecchio dell'altro che a sua volta cerca di strozzarlo. Come a dire che se nella scrittura Mailer è quasi sempre riuscito a trovare una disciplina in grado di arginare la propria, esuberante personalità, al cinema era necessario che qualcuno lo mettesse in riga. A forza di botte. "You know it woundn't have sense without this", sottolinea Torn, puntando il dito contro l'autore.
Per Mailer, i primi tre film rappresentano "il momento più entusiasmante della mia vita, perché non mi sono mai sentito così vicino a essere un generale. Una cosa che ho sempre desiderato essere". Per chiunque altro non costituiscono che un approccio frontale, grezzo e diretto, all'ingombrante personalità di un intellettuale incapace di indossare travestimenti (ma il miglior film in questo senso l'ha firmato un altro: Will the Real Norman Mailer Please Stand up di Dick Fontaine). E anche se il Generale Mailer con ogni probabilità lo considererebbe un gravissimo affronto, c'è da credere che il vero interesse di queste tre opere sia un altro: sarebbe meglio, infatti, considerarle parte della filmografia di Pennebaker, la cui cinepresa documenta lo sforzo di uno scrittore, titanico e inutile, di trasformarsi in regista.
MAIDSTONE AND OTHER FILMS BY NORMAN MAILER (Criterion Collection – Eclipse series)
Wild 90, regia di Norman Mailer, USA 1968, 81'
Beyond the Law, regia di Norman Mailer, USA 1968, 97'
Maidstone, regia di Norman Mailer, USA 1970, 105'