Lo storico dell'arte Ernst Gombrich ha detto che qualunque artista si confronta con questo problema. Che dipinga, componga musica o giri film, si confronta con una comunità preesistente di artisti e una lunga e ben definita tradizione di produzione artistica. Lavora con ciò che gli è dato, eredita tecnologie e materiali, ma anche idee e convenzioni, spesso abusate. Si sforza di ricavare una nicchia, ma nel farlo deve competere con altri. In altre parole, si trova ad aver a che fare con un ecosistema dotato di una storia propria e un preciso status quo. Come adeguare il proprio talento e il proprio carattere a tale ecosistema? E, più specificamente, come creare qualcosa di diverso?
La componente variorum
Potrebbe essere utile considerare la produzione commerciale cinematografica come un sistema, un'arena competitivo-cooperativa in cui registi, sceneggiatori, direttori della fotografia e altri artisti del settore si sfidano a innovare. Naturalmente l'innovazione non è l'unico obiettivo del fare cinema, e realizzare qualcosa di innovativo non significa necessariamente aver fatto qualcosa di buono. Non tutte le innovazioni, per altro, sono evidenti: l'abile utilizzo dello spazio nei film di Renoir degli anni '30 non strombazzava la propria originalità. L'innovazione può essere pacata, sottile.
Ma in quanto studiosi di cinema, siamo sempre attenti alle innovazioni: un incursione rigenerante in un genere prestabilito, un approccio inusuale nella caratterizzazione di un personaggio, una nuova applicazione di tecnologie consolidate. Se ci interessiamo al cinema mainstream, in particolare quello hollywoodiano, è lecito imparare dalla maniera in cui i registi brulicano intorno a qualcosa di nuovo, replicandolo, aggiustandolo, rivoltandolo. Fate un film su un'adolescente posseduta e nel giro di poco fioccheranno altri film su adolescenti possedute, cani posseduti, auto possedute e cosi via.
Chiamiamola la componente variorum della cultura popolare: la tendenza a esplorare, spesso in maniera esaustiva, tutte le possibilità insite in una singola premessa. I registi raccolgono un'idea e la sviluppano in ogni direzione possibile. Naturalmente si chiedono anche "Come possiamo fare soldi sfruttando questa tendenza?" ma per ottenere una risposta devo anche farsi un'altra domanda: "E se facessimo questo e quest'altro in maniera leggermente diversa?". Anche se si sforzano di fare soldi, devono comunque fare prima un film, e quel film deve possedere una qualità distintiva, seppur minima. La domanda che si pone il regista è, dunque, sempre quella: "Come posso dire la mia?".
Qualcosa di molto simile a questo processo sta avendo luogo sotto i nostri occhi. Paranormal Activity (2007), Paranormal Activity 2 (2010), Paranormal Activity 3 (2011) e Paranormal Activity 4 (2012) si sono affermati come una serie a basso costo ma estremamente fortunata al botteghino. Messi insieme, i quattro film hanno incassato nel mondo una cifra superiore ai 700 milioni di dollari. La loro popolarità è certamente un buon motivo per esaminarli, ma un motivo ancora migliore risiede nel fatto che esplicano la dinamica variorum in maniera estremamente chiara. L'ideatore e regista del primo episodio, Oren Peli, e i registi che l'hanno seguito (Tod Williams per il secondo, Henry Joost e Ariel Schulman per gli ultimi due, insieme allo sceneggiatore Christopher Landon che li ha scritti tutti) si sono trovati nella condizione di essere innovativi all'interno di condizioni lavorative molto limitate. E di film in film, hanno proposto soluzioni originali e inaspettate.
Non ci interessa qui valutare i film in questione, capire se siano capolavori o schifezze. Quello che interessa, nel valutare le innovazioni proposte nell'arco dei quattro film, ha a che fare con la maniera in cui si modifica lo storytelling cinematografico sulla base di "pressioni selettive" proprie del cinema commerciale americano. Più specificamente, la serie dei Paranormal Activity costituisce un caso abbastanza raro: è una serie popolare che allo stesso tempo si impone per l'uso specifico ed evidente di una particolare tecnica filmica. La suspense e i colpi ad effetto fatto certamente parte dell'attrattiva nei confronti del pubblico, ma c'è motivo di pensare che almeno qualche spettatore guardi con curiosità alla dinamica formale proposta da ogni nuovo capitolo in fatto di familiarità/variabilità. Il cinema si trasforma in una giocosa performance che ci fa domandare: come saranno le carte sul tavolo, stavolta?
La stessa cosa, grazie, solo un poco differente
L'obiettivo che si è posto Peli quando ha cominciato a lavorare a Paranormal Activity era chiaro: come fare un film di possessione diabolica in maniera diversa dagli altri? All'epoca, e tutt'ora, si tratta di un sottogenere horror ben definito. E, se vogliamo essere onesti, l'operazione elaborata da Peli non è poi così originale: una coppia viene disturbata da rumori e accadimenti misteriosi nella propria casa. I due chiedono aiuto a un esperto e indagano le fonti del disturbo. La donna viene posseduta e uccide l'amante. A farla da padrone sono le convenzioni del filone soprannaturale: blackout improvvisi, entità fuoricampo che producono rumori da far saltare sulle sedie, personaggi che esplorano cantine e seminterrati, cassetti, cortili illuminati dalla luna, e altri luoghi spaventosi. Si chiamano in causa effetti speciali utili a far lievitare le vittime o farle trascinare da mani sconosciute. Come di consueto, la vita borghese della classe media americana viene sconvolta da forze soprannaturali. Gli accoglienti ambienti domestici e i beni di consumo che includono si trasformano in una minaccia. Buona parte di tutto ciò era già presente ne L'esorcista (1973), dunque si tratta di una tradizione vetusta.
Girando nell'arco di sette giorni e con un budget ridotto, Peli ha operato sulla base di un struttura formale presa in prestito da un altro genere, quello del documentario in prima persona o del falso documentario. Anche in questo caso la tradizione è di lunga data, da This Is Spinal Tap (1984) a Bob Roberts (1992), e prima ancora Georg di Stanton Kaye (1964), David Holzman's Diary di Jim McBride (1967) e No Lies di Mitchell Block (1972), ma anche Culloden (1964) e The War Game (1965) di Peter Watkins. Un predecessore più distante nel tempo potrebbe essere considerato Orson Welles con la trasmissione radio del 1938 La guerra dei mondi, o i falsi memoir che compaiono nei primi anni anni di storia della forma romanzo. Oggi, la modalità del falso documentario, utilizzata a fini comici o drammatici, è resa familiare al pubblico anche grazie a show televisivi come The Office, possiede convenzioni proprie, come le interviste in macchina, e tecniche di ripresa ricorrenti, come quando la macchina da presa cade a terra.
L'approccio del falso documentario è stato messo alla prova all'interno dell'horror già negli anni '80 ma ha attirato grande attenzione soprattutto verso la fine dei '90 con The Last Broadcast (1998) e The Blair Witch Project (1999). Non c'è da sorprendersi: gli horror tendono a essere prodotti a basso budget, e girare un film tutto giocato sull'efficacia di riprese a mano e sonoro era un modo di fare qualcosa di realistico ed economico al tempo stesso. Ne è venuto fuori un ciclo, esemplificato nel caso più clamoroso dal blockbuster Cloverfield (2008). Il problema del falso documentario è quello di fornire una motivazione al fatto che qualcuno stia filmando e al riguardo sono state elaborate varie soluzioni; altrimenti si fa finta che i soggetti filmati siano celebrità (This Is Spinal Tap) o che l'atto di filmare costituisca un tentativo di documentare qualcosa di drammatico. I registi devono affrontare anche un secondo problema: fornire una motivazione riguardo il fatto che il film venga reso pubblico. Anche in questo caso sono state elaborate diverse soluzioni: ad esempio si può lasciar intendere che il film sia stato scoperto successivamente.
Proprio a causa di quest'approccio il filone viene identificato con l'uso del "found footage" e chiamato, come fa Variety, il "faux found footage film". La definizione non mi è entusiasma particolarmente, dal momento che, per tanto tempo, il termine found footage è stato associato a film come A Movie di Bruce Conner o The Clock di Christian Marclay, assemblati a partire da materiale preesistente recuperato da fonti disparate. Ecco perché preferirei chiamare film come Blair Witch o Cloverfield "discovered footage film". Una ragione a sostegno di tale definizione è che questi film rimandano a una precedente tradizione letteraria, quella del manoscritto ritrovato, in cui un racconto presente su un vecchio manoscritto veniva recuperato e pubblicato da qualcun altro. Lo scopo, evidentemente, era quello di fornire un'aura di autenticità alla storia. Lo stesso intento prevale negli horror a base di "discovered footage" che si servono di questo palese artificio per lasciar intendere che gli eventi mostrati abbiano davvero avuto luogo. Nel caso di Paranornal Activity, è la Paramount stessa a garantire la veridicità di quanto stiamo per vedere (Bordwell si riferisce qui alla didascalia in apertura di film, ndr).
Lo sviluppo della serie dei Paranormal Activity ha dovuto fare i conti con un'agguerrita concorrenza. Parecchi horror dell'ultimo decennio hanno fatto ricorso alle tattiche del falso documentario o a quello del "discovered footage". Il successo del film ha fatto sì che nel giro di poco venissero prodotti un ripoff (Paranormal Entity, 2009) seguito da altri, compreso il più sottile pseudo-documentario The Last Exorcism (2010). Allo stesso modo, nel dare vita ai seguiti, Peli e gli altri registi hanno dovuto competere anche con se stessi, trovandosi costretti a rinnovare il plot di partenza: in Paranormal 2 non c'è una coppia ma un'intera famiglia; in Paranormal 3 una madre non sposata, il suo convivente e le sue due figlie; in Paranormal 4 ad essere posseduti sono i vicini dei protagonisti, madre e figlio.
È curioso notare che i film successivi al primo forniscono ben pochi retroscena ai fatti. Benché ci sia sempre qualche scena in cui i personaggi si mettono a compiere ricerche, il plot minimizza i "come" e i "perché" della possessione (in maniera ben diversa da L'esorcista). Ci vengono forniti indizi sufficienti a capire che c'è un demone che offre beni terreni alla donna in cambio delle anime di giovani innocenti, ma i film si concentrano sulle reazioni dei personaggi, in particolare sulle loro discussioni riguardo le cause più o meno soprannaturali degli strani accadimenti. In ogni film compare almeno un personaggio d'ostruzione, qualcuno che con il proprio scetticismo, la propria ostinazione o ignoranza fa sì che il plot proceda e impedisce a tutti di fuggire. Inoltre, da un film all'altro variano i protagonisti e i personaggi con i quali ci immedesimiamo. Nel primo episodio è Micah a far progredire l'intreccio con il suo desiderio di filmare gli eventi, mentre nel secondo Daniel e sua figlia Ali si alternano nell'investigare il mistero. Nel terzo è nuovamente un personaggio maschile a portare avanti la storia, mentre nell'ultimo le redini passano alla curiosa adolescente Alex.
Forse la maniera più interessante in cui i vari registi aggiornano la saga ha a che fare con le varie interrelazioni tra i film. Intanto, la cronologia formata da tutti e quattro gli episodi pone il primo al terzo posto in ordine temporale. Paranormal 2 ha luogo poco tempo prima e Paranormal 3 ben diciotto anni prima. Inoltre, alcuni elementi dell'intreccio vengono a sovrapporsi, e scene di un film si ripetono in un altro, proprio per suggerire la mescolanza temporale (si tratta di modalità prospettiche in uso anche altrove, ultimamente, come dimostra bene la saga di Jason Bourne). Ma soprattutto, i registi sono riusciti a ritagliarsi uno spazio autonomo in virtù delle scelte stilistiche operate da Peli nel primo episodio. Scelte efficaci ma anche assai limitanti. Realizzare ulteriori Paranormal significava fare i conti con una serie di problemi specifici: come rispettare le costrizioni del primo e allo stesso tempo rielaborarle in maniera originale?
Coordinamento mano/occhio
Cloverfield e The Blair Witch Project si servono del formato "discovered footage" per giustificare il loro aspetto amatoriale. Si tratta di registrazioni estemporanee di strani fenomeni. Diversamente, la serie dei Paranormal Activity non si limita al materiale filmato con la camera a mano: instaura una fertile dinamica tra quel tipo di riprese e quelle fisse e distaccate tipiche delle telecamere di sorveglianza. Le due alternative vengono esposte già nel primo film quando Micah, perplesso dai bizzarri avvenimenti, compra una videocamera e la piazza nella camera da letto che divide con Katie, pensando così di immortalare qualunque cosa accada durante il loro sonno. Altre volte la toglie dal treppiede e la porta con sé in giro per la casa, ottenendo il consueto stile mobile e soggettivo.
Il risultato sono un film e una serie caratterizzati da due segni stilistici estremamente differenti. Le riprese con la camera a mano sono pura soggettività e mostrano con esattezza ciò che vede "l'operatore", reagiscono con immediatezza agli impulsi dall'esterno, per mezzo di avanzamenti o panoramiche tese a cogliere elementi di interesse. Le inquadrature fisse, al contrario, sono totalmente oggettive, indifferenti a qualunque intenzione umana, registrano impassibilmente ciò che accade in una visuale ampia e distante, ben diversa da quella ravvicinata offerta dalle lenti della camera a mano.
Occupiamoci innanzitutto delle riprese a mano: esse esplicano principalmente una conoscenza limitata, come mi è già capitato di discutere in occasione di Cloverfield, qualcosa di assai funzionale nel caso di film basati sul mistero e la tensione. Nelle varie scene, non ci è dato modo di sapere di più di quanto sa colui che regge la macchina, ma tale fattore è limitante anche perché il regista non può creare suspense per mezzo degli stacchi. L'impostazione di base per qualunque film di finzione è l'ubiquità della macchina da presa, a significare che la macchina da presa può essere ovunque e mostrare tutto. Qualora non lo faccia, è necessaria una giustificazione. Nel caso dei thriller e degli horror, permette di mostrare passi che avanzano, mani pronte a serrare o ombre inquietanti perché sappiamo che quei generi incentivano le lacune nella consapevolezza dello spettatore. Diamo per ovvie e accettiamo le lacune nell'informazione.
Un'altra maniera di giustificare il fatto di non mostrare tutto ha a che fare con la condivisione del punto di vista di uno dei personaggi. Anche questa è una strategia tipica del thriller e dell'horror: la scelta restrittiva della condivisione del punto di vista sta all'opposto dell'ubiquità della macchina da presa. Hitchcock era un regista particolarmente desideroso di trovare la maniera più efficace di ricorrere al punto di vista del personaggio come stratagemma narrativo.
Servirsi della macchina da presa per veicolare un punto di vista soggettivo può rivelarsi un'utile soluzione per provocare spaventi improvvisi. Uno dei più riusciti all'interno della serie dei Paranormal ha luogo nel terzo episodio, quando Dennis si avvicina a Julia, che sta in cima alle scale. Dal suo punto di vista potrebbe sembrare la donna che stia in piedi ma quando le si fa incontro la prospettiva cambia e ci accorgiamo che in realtà è sospesa e i suoi piedi non toccano il suolo. Sempre in quel film, la scena del "Bloody Mary" nel bagno acquista potenza non solo a causa delle limitazioni del punto di vista di Randy ma grazie alla presenza di uno specchio che, al buio, riflette solo il puntino rosso dell'accensione della videocamera. Non abbiamo bisogno di vedere altro, in una scena in cui il sonoro di cose infrante e percosse soverchia l'immagine.
La macchina a mano e le riprese in soggettiva, dunque, fanno sì che i film di Paranormal Activity rinuncino all'ubiquità della macchina da presa. Questa scelta implica dei problemi ed è interessante scoprire come i vari registi li hanno aggirati. Come giustificare il fatto che qualcuno riprenda questi eventi? La giustificazione più tipica riguarda il fatto che qualcuno, per qualche motivo, ha deciso di fare un film su qualcosa, come in Spinal Tap o The Last Exorcism. Paranormal Activity si serve di due pretesti ulteriori. La videocamera è utilizzata per riprendere filmini di famiglia – motivazione rilevante in Paranormal 2; oppure per documentare gli strani accadimenti che stanno avendo luogo in un'abitazione posseduta dal demone – motivazione alla base delle riprese fisse di sorveglianza. L'operatore può essere il protagonista o quantomeno uno dei personaggi principali: come lo si mostra allo spettatore? Possibilità: far sì che a un certo punto riprenda se stesso riflesso in uno specchio (molto diffusa); far sì che si rivolga direttamente alla macchina da presa quando è a riposo; o lasciare la macchina da qualche parte mentre riprende, rischiando composizioni dell'immagine decentrare ma comunque chiare. A volte sarebbe necessaria l'ubiquità della macchina. Il montaggio campo/controcampo è particolarmente utile nell'enfatizzare le reazioni. Come si fa a ottenerlo nella ripresa in soggettiva? Imbrogliando un poco. Una ripresa ottenuta da una sola macchina può cogliere i botta e risposta di una conversazione solo includendo entrambi i colloquianti nell'inquadratura o realizzando una panoramica dall'uno all'altro. Se si vuole utilizzare un vero e proprio stacco di campo/controcampo è necessario montare il sonoro in maniera tale da coprire lo stacco.
The Last Exorcism imita questo tipo di scorciatoia negli scambi in campo/controcampo, servendosi di ponti sonori per dare un'illusione di continuità. Paranormal Activity si serve di tale tattica solo nel primo episodio, e raramente. Chronicle (2012) offre un esempio interessante di come può essere risolto questo problema. All'inizio ci viene presentato Andrew, che riprendendosi a sua volta in uno specchio, spiega che ha deciso di riprendere tutto. In questa prima parte del film vediamo esclusivamente quello che vede lui attraverso l'obbiettivo. Ma poi incontriamo Casey, anche lei con una videocamera. Il campo/controcampo che ne risulta è giustificato dalla presenza dei due diversi punti di vista. Quando si arriva al climax finale, con i supereroi che combattono sopra la città, a riprendere la scena con i cellulari, le telecamere della TV e quelle di sorveglianza governativa, sono così tanti che l'azione è coperta da svariate angolazioni, ottenendo così l'agognata ubiquità della macchina da presa.
Visuale impersonale
Molti film horror si sono serviti della camera a mano, ma la principale innovazione della serie Paranormal credo sia proprio quella di controbilanciare l'uso delle riprese realizzate con la camera a mano con le inquadrature statiche della videocamera di sorveglianza. Anch'esse, infatti, sono di segno costrittivo e abdicano alla possibilità di rendere ubiqua la macchina da presa. Ma possiedono altri vantaggi.
Come abbiamo visto, l'inquadratura fissa è complementare rispetto a quella mobile: mostra tutto ciò che le sta davanti in maniera indiscriminata. In quanto occhio indiscreto che scruta i personaggi a loro insaputa – specie quando dormono – ci offre un sensazione più neutra dello spazio del filmato e delle cose che vi succedono. E, cosa altrettanto importante, risponde ad alcune convenzioni standard dell'horror. Ad esempio: all'interno del genere le minacce fuori campo rivestono particolare importanza e la macchina fissa fa sì che conservino il loro effetto. Spesso l'inquadratura fornita dalle macchine fisse in Paranormal Activity non mostrano tutto, non fanno che suggerire l'incombente presenza del demone. Nel terzo episodio, l'indemoniato Toby rimane fuori dall'inquadratura e anche nel secondo un'entità malefica sembra essere all'opera fuoricampo mentre cerca di attirare l'attenzione di Hunter.
Allo stesso modo, i rumori fuori scena nell'horror sono importanti, come ben sapevano Val Lewton e Jacques Tourneur. La macchina fissa è in grado di cogliere alla perfezione quel tipo di sonoro perché non vi è dietro alcun agente umano e non le è possibile spostarsi per coglierne la fonte. Le riprese di sorveglianza, benché visivamente limitate, forniscono informazioni negate alle inquadrature in soggettiva. Nel primo film, mentre Micah dorme, la videocamera in camera da letto mostra alcuni accadimenti di cui è ignaro, in particolare il fatto che Katie si alzi e rimanga in piedi accanto al letto per ore. Nei seguiti, la presenza di più videocamere di sorveglianza arricchiscono la narrazione per mezzo del montaggio alternato. Come in Chronicle, moltiplicare le riprese di sorveglianza porta a una più completa (e convenzionale) copertura dell'azione.
Cruciale per l'innovazione del film è il fatto che le inquadrature fisse sono anche distanti. Per essere produzioni contemporanee, questi film sono caratterizzati da un numero di inquadrature relativamente basso: circa 230 nel primo, 500 nel secondo (per via delle videocamere multiple), di nuovo 230 nel terzo e 320 nell'ultimo. Inquadrature di lunga durata sono comuni nei "film da festival" ma sostanzialmente assenti dal cinema mainstream hollywoodiano. In questo caso specifico, quindi, ci troviamo di fronte a film dai grandi incassi le cui lunghe e sostenute inquadrature fisse tengono gli spettatori con il fiato sospeso. Inutile dire, che queste inquadrature hanno la funzione di interrompere lunghi silenzi con improvvisi scoppi sonori. Il genere, potremmo dire, motiva lo stile. Lo stesso pubblico non sarebbe altrettanto indulgente nei confronti di riprese ugualmente lunghe all'interno di un film di Tarkovsky of Hou Hsiao-hsien.
Ciò non significa che sia giusto liquidarle come puri e semplici stratagemmi. La loro immobilità ci incoraggia a esaminare lo spazio interno all'inquadratura a caccia di indizi riguardo ciò che sta per accadere. L'occhio impersonale indugia sovente su ambienti vuoti, e quando accade qualcosa di interessante non stacca per mostrarlo nel dettaglio. Talvolta l'evento cruciale semplicemente avviene, in maniera "pacata". Potremmo dire che l'inquadratura distante riporta in vita antiche tecniche cinematografiche ormai dimenticate. Al posto del consueto fuoco di fila di primi piani e dettagli tipici del montaggio serrato contemporaneo ci viene presentato uno stile intensamente continuativo, una serie di immagini statiche, lunghe, spesso indiscernibili, all'interno delle quali rovistiamo a caccia di indizi.
A volte questi indizi ci vengono segnalati da piccoli movimenti, come nel caso dell'inquietante roteare del ragno giocattolo sospeso sulla culla di Hunter. Altre volte è ciò che sta al centro a richiamare l'attenzione, oppure è uno dei personaggi a indicare qualcosa di importante all'interno del campo visivo. In generale, queste inquadrature statiche presentano composizioni dense e profonde, reminiscenti dei tableau cinematografici degli anni '10 del '900. Nel secondo film, ad esempio, minuscoli frammenti d'azione vengono spinti a enorme distanza o isolati all'interno di aperture, come quando la videocamera che filma in cucina rende appena percettibile la faccia di Ali che fa capolino sopra il divano. Diversamente dalla maggior parte dei film moderni, l'informazione visiva presente in queste opere si perde sul piccolo schermo.
In sostanza, sia la soggettiva della macchina a mano che le lunghe e distanti inquadrature fisse rispondono alle necessità del film horror, in cui è importante che i segreti siano nascosti ai personaggi ma svelati allo spettatore. Al di là delle convenzioni di genere, tuttavia, si tratta di film che potrebbero addestrare il pubblico giovane a una maggiore pazienza e abituarlo a inquadrature che si rivelano poco alla volta e non espongono il proprio significato immediatamente (è sempre lecito sognare, no?).
Forzare le regole
Finora ho parlato di questi film in termini generali, ma ciò che rende la serie particolarmente interessante, dal mio punto di vista, è la progressione tra i vari capitoli. Come ho detto in principio, i sequel rielaborano la struttura del primo, non solo espandendo le linee narrative ma anche variando i parametri stilistici. Questo crea nuovi problemi, e implica la ricerca di nuove soluzioni.
Il primo Paranormal Activity pone le premesse stilistiche per il prosieguo della serie: l'uso di specchi per presentare la macchina da presa e l'operatore, l'idea che chi svolge le indagini sugli accadimenti guarderà i filmati ripresi dalle videocamere di sorveglianza (filmandoli dunque con la camera a mano), e la presenza di almeno un personaggio scettico e refrattario a fare luce sugli accadimenti. Nel primo film Micah ha una sola videocamera: la porta con sé nel corso della giornata e la notte la lascia sul treppiede. L'evento finale del film ha luogo direttamente in campo, con Micah che di notte si alza dal letto per seguire Katie e, dopo una lunga pausa, viene scaraventato contro la videocamera, facendola cadere. Le ultime inquadrature sbilenche mostrano Katie che avanza ghignante verso l'obbiettivo – la sua vendetta nei confronti della volontà di riprendere cui si era opposta fin dall'inizio.
Paranormal Activity 2 è un prequel che ha luogo circa un anno prima. La videocamera che riprende è inizialmente gestita da Daniel, padre di famiglia che registra la nascita di Hunter, la neonata figlia della sorella di Katie, Kristi. Spesso passa in mano a Ali, la sorella maggiore nata dal precedente matrimonio di Daniel: è lei a condurre le indagini, in principio con un senso di eccitazione più che di paura (si domanda anche se il fantasma non sia quello di sua madre). La situazione cambia, dunque: al posto di una coppia di conviventi, c'è un nucleo familiare felice, con un passaggio da uno stile di vita medio a uno decisamente benestante.
Dopo che l'abitazione viene misteriosamente vandalizzata, Daniel installa un sistema di sorveglianza: sei videocamere poste a svariate altezze coprono tutti gli ambienti (l'ingresso, la piscina sul retro, la cucina, il salotto, la stanza di Hunter e la camera da letto dei genitori). In più c'è la videocamera di Daniel, abilitata anche alla visione notturna, che rivestirà un ruolo importante nel finale, rivelando fugaci apparizioni del demone in risposta al tentativo di esorcizzare Kristi. Evidentemente tutte queste fonti di ripresa offrono uno spettro di conoscenza molto più ampio. Possiamo vedere ciò che accade in quasi ogni parte della casa e il montaggio visivo stacca costantemente tra i vari ambienti. La ridotta durata delle riprese, però, fa sì che si debba indagare più rapidamente la presenza di possibili pericoli.
La scelta va dunque in direzione dell'ubiquità della macchina da presa, ma evidenzia anche l'intento di giocare con le attese dello spettatore. Si veda ad esempio l'inquietante inquadratura della piscina di notte con il pulitore meccanico che scivola sull'acqua. Kristi fa notare che al mattino lo trova sempre sul bordo della piscina, ma le videocamere di sorveglianza non ce lo mostrano se non alla fine del film, quando la vediamo emergere dall'acqua. Ancora più fuorviante è la tendenza del footage notturno di distrarci rispetto a ciò che è veramente importante. Quasi tutte le sequenze in notturna cominciano mostrando il davanti della casa, ma in Paranormal 2 queste riprese non rivelano niente, mentre in Paranormal 4 ripagano l'attesa mostrando Katie che abbandona la casa portando in braccio Hunter. Queste inquadrature ricorrenti servono sempre ad annunciare una nuova sequenza di misteriosi accadimenti, ma possiedono anche un sottofondo beffardo: nel mostrare la tranquillità dell'esterno ci ricorda che il demone è già all'interno della casa.
Paranormal Activity 3 è un prequel molto più distante nel tempo e illustra l'infanzia delle due sorelle, Katie e Kristi. La novità, qui, è l'uso del VHS per registrare gli eventi. Come nel film precedente, anche in questo caso tutto comincia con la volontà del padre di filmare i bambini: Dennis riprende la festa per gli otto anni di Katie e poi l'amplesso con Julie. Quando cominciano ad avere luogo le solite stranezze, decide di investigare. Diversamente da Micah, però, Dennis è un videomaker e possiede tre videocamere: ne userà una a mano (talvolta piazzandola nella propria camera da letto) e posizionerà le altre due una al piano di sotto e l'altra nella cameretta delle bambine. Ridurre il "panopticon" del film precedente da sette a tre videocamere potrà sembrare un passo indietro, ma i realizzatori avevano un'altra carta da giocare. La videocamera posta nella camera della figlie, infatti, non copre lo spazio adeguatamente, quindi il padre costruisce un meccanismo che le permette di ruotare, dando vita a una ripresa che si muove lateralmente in un senso e nell'altro. La soluzione elabora ulteriormente la possibilità date dall'inquadratura impersonale, conservando l'importanza del fuori campo. La videocamera rivela progressivamente piccole porzioni di spazio, spostandosi impercettibilmente anche qualora succeda qualcosa di rilevante all'interno dell'inquadratura.
Ambientato nel 2011, Paranormal Activity 4 è il primo sequel cronologico della serie rispetto al primo episodio, con diversi nuovi personaggi inseriti nell'azione, a grande distanza di tempo dall'originaria manifestazione demoniaca. Fare di un'adolescente la protagonista del film è, in un certo senso, più convenzionale rispetto alla scelta di mettere delle coppie al centro dei precedenti capitoli. Nell'ottica di dover competere con quanto fatto fino a quel momento, i realizzatori si sono trovati nella necessità di rielaborare anche le premesse stilistiche. Potrebbe sembrare che si siano chiesti: chi, oggi, usa questo tipo di dispositivi di ripresa? In base alla risposta, il quarto film si serve di cellulari e computer per inscenare la consueta alternanza di riprese con la camera a mano e filmati di sorveglianza.
Benché qualche ripresa possa dare a intendere che si stia utilizzando una videocamera, ciò non riguarda la maggior parte dei filmati. Alex e il suo ragazzo Ben piazzano quattro portatili in giro per la casa e registrano quanto accade nei vari ambienti. Questo causa un lieve cambiamento rispetto all'uso delle riprese di sorveglianza: poiché i portatili sono poggiati su tavoli e credenze, gli angoli di ripresa sono più bassi rispetto a quelli di Paranormal 2. Inoltre, cambiano anche le inquadrature. Il portatile nella stanza di Wyatt è spesso parzialmente oscurato da masse di vestiti o coperte. Quello in cucina viene sovente spostato dalla madre di Alex che se ne serve per consultare le ricette.
In aggiunta alle riprese funzionali a svelare il mistero del trambusto notturno, il portatile di Alex viene usato per le videochat con il fidanzatino Ben. Nei primi film della serie comparivano saltuariamente monologhi in macchina dei protagonisti; qui assistiamo a lunghe inquadrature di Alex che si rivolge in macchina, parlando a noi. Vediamo quello che vede Ben, e a volte vediamo lui sullo schermo di lei, in una sorta di campo/controcampo virtuale. Nei momenti cruciali, Alex si porta dietro il portatile, ottenendo riprese più tipicamente convenzionali della protagonista in movimento nello spazio circostante. Nei film precedenti le reazioni dell'operatore venivano date dalle riprese in soggettiva e dai commenti fuoricampo. Qui, quando Alex si affretta verso la casa di Robbie, l'inquietante bambino che vive dall'altra parte della strada, non vediamo che la sua faccia. Ariel Schulman ha rilevato che il dispositivo del portatile aderisce perfettamente alle "regole" della serie e del genere, producendo per la prima volta primi piani convenzionali dell'operatore.
Infine, un'altra innovazione stilistica parallela alla visione notturna del 2 e alla videocamera di sorveglianza in movimento del 3 è qui l'utilizzo della tecnologia Kinect della Xbox. Il gadget proietta una miriade di puntini verdi nel salotto che vengono colti dalla modalità notturna del video, rendendo la presenza di Robbie ancora più macabra. Contestualmente alle lunghe riprese presenti nei primi film, l'effetto Kinect rivela la presenza del demone per mezzo di sagome impercettibili. Se nei capitoli precedenti ci si serviva della polvere per evidenziare le tracce del demone, Paranormal 4 si serve di particelle decisamente più hi-tech. Anche in questo caso, quindi, i realizzatori non si sono sforzati solo di ideare nuove svolte nell'intreccio ma anche di creare varianti rispetto alle premesse stilistiche date.
Chi è là?
Finora non ho fatto menzione di uno dei principali problemi creativi legati al filone del "discovered footage". Chi è responsabile di ciò che vediamo?
I film della serie Paranormal sono evidentemente assemblati. A volte ci sono didascalie o titoli sovrimposti, in qualche caso a lasciare intendere che qualcosa di terribile succederà ai protagonisti, altrimenti perché chiedere alle loro famiglie il permesso di mostrare i filmati? Per di più alcuni effetti e gli stacchi di montaggio rivelano la mano di un'intelligenza coordinatrice. Alcune scene cominciano e altre finiscono con una dissolvenza. In alcuni casi le riprese di sorveglianza vengono fatte scorrere con il fast-forward. Ci sono stacchi tra le riprese effettuate nelle varie stanze e montaggi alternati al fine di creare suspense, come quando Julie e Katie discutono dabbasso mentre al piano di sopra la piccola Katie è terrorizzata da Tobie. L'uso della videocamera multipla tradisce un perverso senso dell'umorismo: si stacca dalla terrorizzata babysitter Lisa che scappa dalla stanza delle ragazze a un'inquadratura, di un'ora dopo, con lei che aspetta ansiosamente il ritorno dei genitori accanto alla porta d'ingresso.
A volte il susseguirsi di inquadrature è consapevolmente fuorviante: insiste su ambienti vuoti e non ci mostra ciò che di importante stanno facendo i personaggi. Chiunque volesse convogliare nel filmato finale informazioni più rilevanti sceglierebbe estratti differenti. Quello all'opera qui, invece, vuole creare suspense.
Cloverfield si presenta con un documento filmato governativo, in teoria raccolto e montato da degli analisti. Ma Chronichle e The Last Exorcism non si prendono la briga di spiegare come sia stato recuperato il filmato, tanto meno chi l'abbia assemblato. Come se, arrivati a questo punto si sviluppo del ciclo, si possano omettere tali marchi di autenticità. Come sempre, i Paranormal sono più guardinghi: le didascalie iniziali lasciano intendere che i filmati siano in mani ufficiali ma anche il possibile procedere di un'indagine da parte dei familiari di Katie.
Ad ogni modo, il porsi dei problemi e delle loro soluzioni rimane. I realizzatori si sono confrontati con le implicazioni legate a una serie di scelte stilistiche, prendendosi dei rischi, e sono stati premiati. Altri potranno raccogliere la sfida e andare oltre i risultati raggiunti da questa serie: una sperimentazione limitata ma genuina a partire dalle convenzioni del cinema mainstream. Nel competere con i risultati ottenuti da altri e con quelli propri, i registi sono spinti a scoprire nuove nicchie, anche se ridotte, nell'ecosistema hollywoodiano.
(Testo pubblicato per gentile concessione dell'autore, traduzione di Alessandro Stellino)