Neil Young: Ero a Vienna per la Viennale quando ho ricevuto una email da Sight & Sound che mi invitava a riflettere sul fatto che “il 2012 era stato l'anno in cui è davvero scomparsa la pellicola”, per un pezzo che ne avrebbe “sottolineato la perdita”. Anche tu eri alla Viennale, Gabe, e si tratta di un festival in cui ogni giorno è possibile assistere a numerose proiezioni in pellicola. Questo perché la Viennale è diretta da Hans Hurch, e dall'Austrian Film Museum (dove ha luogo la retrospettiva parallela) di Alex Howarth, ed entrambi sono convinti della necessità di mostrare i film nel loro formato originale, quando è possibile. Non tutti, naturalmente, possono andare alla Viennale, e per molti il 2012 può davvero essere l'ultimo momento in cui sono entrati in contatto con la celluloide, perché numerose sale di prima visione in Europa, nell'America del nord e altrove hanno intrapreso il passaggio decisivo dal 35mm al digitale. 

La considero una battaglia persa dopo una guerra simbolica, ma proclamare la “morte” della celluloide ritengo sia inutilmente apocalittico. Come ha fatto notare David Bordwell “le copie per la distribuzione in 35mm non sono a base di celluloide ormai da 15 anni: sono realizzate sul mylar, una sostanza a base di poliestere”. Dunque, in quanto devoto amante della pellicola, condividi il mio ottimismo?
 
Gabe Klinger: Il termine celluloide è simbolico. Stiamo pur sempre parlando di una striscia perforata di materiale pieghevole contenente singole immagini. L'altro giorno sono entrato in un deposito e mi sono accorto che avevano usato della pellicola per fare fiocchi intorno a dei pacchi regalo. Ho pensato fosse una cosa interessante. Parte del motivo per cui la pellicola è utilizzata in tal modo ha a che fare con la materialità cui noi attribuiamo un grande valore: riluce, è bella e ci ricorda l'esperienza comunitaria della visione cinematografica. Non le abbiamo ancora detto definitivamente addio nel 2012.
Forse la pellicola ha abbandonato i multiplex ma non è ancora scomparsa del tutto, tanto meno da quei posti in cui la gente ci tiene ancora (archivi, cineteche, etc). Non credo che il treno dei Lumiere abbia ancora raggiunto la sua ultima destinazione, insomma. In questo senso, festival come la Viennale e istituzioni come l'Austrian Film Museum si sono trasformate in organizzazioni attiviste, nel senso che si ribellano contro le corporazioni insistendo a proiettare film in pellicola (ad esempio la straordinaria performance di Peter Kubelka con l'uso del doppio proiettore in Arnulf Rainer e Antiphon alla Viennale di quest'anno). Sfortunatamente si tratta di piccole organizzazioni che non possono fare tutto da sole: come nella gran parte degli altri settori dell'industria, saranno le grandi corporazioni ad avere l'ultima parola.
 
 
NY: Penso che sia proprio il punto di vista di queste grandi corporazioni ad aver spinto tanti a considerare il 2012 come la fine del viaggio del treno dei Lumiere, come l'hai ben definito tu. Macchinari antiquati, roba da rottamare. A quanto pare il 2011 è stato l'anno in cui è stata realizzata l'ultima macchina da presa per 35mm (anche se il passato ci insegna che potrebbe durare un secolo), e nel 2012 sia Kodak che Fuji hanno annunciato di aver smesso o di essere in procinto di smettere di produrre pellicola. E poi ci sono le grandi organizzazioni commerciali , come quelle a capo degli Studios cinematografici, il cui atteggiamento nei confronti della celluloide è ben riassunto dall'inattendibile voce secondo la quale la Paramount ha rovinato l'unico negativo esistente in 70mm di I giorni del cielo dopo averlo mescolato con quello di Giorni di tuono
Ciò che è certo è che è diventato impossibile avere un film di Kubrick in 35mm, per non dire in 70mm, dato che la Warner sembra preferire che siano accessibili esclusivamente le copie digitali. Di conseguenza, il mio atteggiamento è quello di fregarmene di quello che fanno gli Studios per dedicarmi a incentivare, sostenere e promuovere gli archivi a disposizione altrove: cineteche, musei, istituzioni, collezioni private. Perché sono diventati i depositari di una grande eredità cinematografica, se le generazioni future avranno mai la possibilità di vedere i film nel loro formato originale. E naturalmente va sostenuta anche l'arte della proiezione, in modo che le pellicole possano essere conservate nella migliore maniera possibile ed essere accessibili a chiunque ne fosse interessato.
A Vienna sono rimasto impressionato dalla qualità della copia di La strada scarlatta di Lang, vecchia di 67 anni, tanto nell'immagine che nel suono, con qualche occasionale difetto qui e là che certo non rende l'esperienza più scadente. Molti fan del digitale sostengono che il pubblico non è in grado di riconoscere la differenza, o che il DCP sia preferibile, ma non ho mai assistito a nessun test in cui i due formati siano stati messi a confronto per il pubblico.
Certo, esprimersi a favore della celluloide in un'era in cui così tanti aspetti della vita stanno evolvendo verso nuovi stadi di digitalizzazione può essere considerato reazionario, ma onestamente non credo di essere un rappresentante del tradizionalismo a tutti i costi.
 
GK: Più che un tradizionalista, mi ritengo un pratico: le mie visioni in 35mm, quest'anno, sono state molto meno problematiche di quelle in DCP, Blu-ray e altri formati digitali. Molti sostengono che si tratti di difficoltà momentanee che verranno risolte. Ma soprattutto i festival stanno lottando per acquisire un ambiente ideale in cui il proiezionista non deve fare altro che inserire una chiave d'accesso e premere "play". I server possono andare in crash, i file si possono corrompere, molte sono le variabili d'errore.
 
NY: L'addestramento dei proiezionisti è vitale, devono saper gestire tanto la pellicola quanto il digitale. Ero stupito dal fatto che l'unica copia in 70mm di The Master in circolazione in Gran Bretagna avesse un primo rullo già graffiato dopo pochi giorni di proiezione. Ma questa è un'altra faccenda. I proiezionisti sono figure eroiche.
 
GK: Lasciando da parte la faccenda della proiezione, parte del problema riguarda il meccanismo che permette – o meglio, non permette – che venga realizzato un master digitale. In alcuni angoli del globo, scarseggiano i tecnici del digitale. Le ottime compagnie che possono realizzare impeccabili DCP non sono generalmente accessibili da cineasti che si confrontano con budget ridotti. Dieci anni fa, se facevi un piccolo film in 16mm c'erano domanda e richiesta a sufficienza per convincere un laboratorio a processare il tuo materiale rapidamente e a costo contenuto. Oggi questo non è più possibile.
 
 
NY: E questo in parte spiega come mai James Benning nel 2007 sia passato dalla pellicola al digitale, realizzando RR e Casting a Glance come una sorta di addio al 16mm. Non mi pare di aver sentito nessuno gridargli "Giuda!" in occasione del suo debutto in digitale con Ruhr tre anni fa al Duisburg Film Week! Anche Benning era a Vienna e mi ha detto di aver fatto 18 film negli ultimi tre anni! Ad ogni modo, molti suoi amici della comunità dell'avanguardia gli stanno dando filo da torcere per aver abbandonato la pellicola.
Ma invece volevo chiederti della tua esperienza come curatore di quest'anno, in cui hai procurato pellicole in 35mm per diversi festival. Ad esempio per la retrospettiva sul cinema brasiliano a Rotterdam l'anno scorso. Se ricordo bene erano tutte pellicole, no? Quali sono state le principali problematiche che hai dovuto superare?
 
GK: La retrospettiva era dedicata a film a basso budget e dalla dubbia reputazione degli anni '60, '70 e '80. Sono stato lieto di poter produrre nuove copie in 35mm di molti film non più in distribuzione, piuttosto che intraprendere il lungo e dispendioso processo di elaborazione dei materiali originali per creare nuovi elementi digitali. Se il negativo è in buone condizioni, un laboratorio può realizzarne un positivo nell'arco di pochi giorni. Passare da pellicola a pellicola è abbastanza semplice – dopo tutto si tratta di un processo che esiste da oltre un secolo. Per quanto riguarda Rotterdam avevamo 12 nuove copie realizzate appositamente nel giro di due mesi con l'aiuto della Cineteca Brasialiana. Passare dalla pellicola al digitale, in ogni caso, può diventare un incubo per quanto riguarda la correzione della grana, del colore e della nitidezza, così come per altri fattori. Possono volerci anche sei mesi per rendere presentabile un master.
Ma quando mi sono trovato impegnato a organizzare un festival della preservazione in pellicola per il MoMA lo scorso autunno, mi sono trovato spiazzato ogni qualvolta uno dei principali archivi mondiali si offriva di farci avere un DCP del loro film restaurato anziché spingere verso la preservazione delle copie su pellicola (ovvero di copie fatte apposta per essere conservate in una camera di sicurezza per le generazioni future). E tieni presente che in quel caso il richiedente era il MoMA, ovvero tra i primi a stabilire lo standard per un'archiviazione responsabile nella cultura filmica! Se i musei si rifiutano di fornire alle organizzazioni parallele i materiali originali, eventi come questo, dedicati alla preservazione, diventano insignificanti. In alcuni casi, gli elementi digitali erano cosi costosi che gli archivi non disponevano di un budget adeguato a produrre una copia.
Alla scorsa edizione del Cinema Ritrovato di Bologna – pur sempre il principale evento mondiale dedicato alla preservazione cinematografica – lo studioso tedesco Heide Schlupmann ha appassionatamente sostenuto che l'unica maniera in cui il contenuto di un film può essere compreso è attraverso la sua materialità. Ciò non significa che non c'è modo di capirlo se è stato convertito in DCP ma che lo comprendiamo in maniera diversa da come faremmo se fosse in pellicola.
 
NY: Il paragone che faccio di solito è quello con la pittura. Se anche si può fare una riproduzione di The Flaying of Marsays, esatta in ogni dettaglio, non potresti comunque esporla in una galleria e sostenere che è "buona quanto l'originale". Ti si rivolterebbero contro. Forse il cinema è un'arte inferiore. Se pago per vedere La strada scarlatta all'Austrian Film Museum, dovessi scoprire che hanno avuto il coraggio di mostrarlo in DCP richiederei indietro i soldi.
Ho visto The Master in 70mm a Venezia e ieri il DCP inglese al Tyneside di Newcastle. Il secondo era ok ma in fondo era come guardarlo in un enorme schermo televisivo. E quando la gente possiede enormi schermi televisivi alle pareti, dove vedere blu-ray dalle immagini ultradefinite, di certo poi non hanno interesse a uscire sotto la neve per andare al cinema.
Così come migliora la tecnologia del "cinema casalingo", voglio sperare che il 35mm riemerga come un prezioso frammento di autenticità – e sono incoraggiato a pensarlo dal fatto che molte proiezioni di questo tipo vengono promosse su Internet, con riferimento specifico al formato. Ho fatto una ricerca su Twitter per "35mm" e il risultato mi ha straordinariamente rallegrato. Il Prince Charles di Londra aveva twittato: "Solo 9 biglietti disponibili per la maratona in 35mm sulla trilogia The Dark Knight". L'Anthology Film Archives di New York: "Fernando Arrabal presenta Viva la muerte in 35mm alle 7:30 stasera!". E da The Quietus: "A volte morto è meglio…@CigaretteBurns_presenta una proiezione in 35mm di Pet Sematary venerdì a Dalston". Le ho prese a caso, davvero, dai primi risultati. Ma forse contengono un messaggio. La celluloide è morta – e a volte morto è meglio.