Riconoscibile per l'immagine del monte Fuji come logo che precede ogni film, la Shōchiku è una delle più antiche major giapponesi. Passata alla storia per essere stata la casa di produzione nel cui seno si è sviluppato tutto il cinema di Ozu ma anche, con Ōshima, la prima scintilla di quella nouvelle vague giapponese prontamente ripudiata, la Shōchiku tentò, nel 1967, di percorrere un sentiero che fino ad allora non aveva battuto: quello del cinema di genere fantascientifico e horror, in cui spopolavano le altre case di produzione, Toho in testa. L'esperimento durò poco e, dopo solo quattro film, che rimangono quindi un'anomalia nella storia della casa, si concluse.

Questi quattro film, tutti realizzati tra il 1967 e il 1968, testimoniano di una fantascienza ancora ingenua, da "B-movie", rimasta ferma agli anni Cinquanta, mentre proprio in quel momento in occidente il genere stava maturando ed entrando nella fase autoriale. Suona quindi come un'ironia involontaria il fatto che il primo di questi film, The X from Outer Space (Uchū daikaijū Girara, 1967), uscito in Italia dopo il 1968, e quindi dopo 2001: Odissea nello spazio, venne qui intitolato Odissea sulla terra per sfruttare il successo del film di Kubrick (del resto i distributori italiani furono capaci di far uscire il film Silent Running come 2002: la seconda odissea, ma sulle nefandezze dei titoli italiani torneremo più avanti). E per la verità questo film giapponese anticipa una scena del grande capolavoro, quella in cui un assopito astronauta, in viaggio su una navetta spaziale, si lascia sfuggire di mano una cartelletta che così galleggia nell'aria proprio come il vassoio del dottor Floyd. Quattro film che rimangono comunque lo specchio di un'epoca di fermento, pervasa di inquietudini e forti tensioni sociali. Ma soprattutto in ciascuno di questi è molto forte quell'imagerie del disastro di cui parla Susan Sontag, che trae linfa dall'incubo non ancora rimosso della bomba atomica, per arrivare alla Guerra fredda, al terrorismo interno e internazionale. Traumi collettivi che la fantascienza si fa carico di esorcizzare, come nella migliore tradizione di quella cinematografica nipponica, a partire da Gojira-Godzilla che veniva risvegliato dal suo letargo millenario proprio dall'esplosione dell'atomica, e da I misteriani (Chikyū Bōeigun, 1957) in cui gli alieni invadono la Terra perché il loro pianeta è ormai invivibile, contaminato da secoli di guerre nucleari. E così anche nel secondo film della Shōchiku, Goke, Body Snatcher from Hell (Kyuketsuki Gokemidoro, 1968) gli UFO appaiono sulla Terra attirati dalle esplosioni atomiche di Hiroshima e Nagasaki, segnali di un indebolimento della razza umana dilaniata da guerre intestine sempre più distruttive e quindi più facilmente conquistabile.
 
Il primo film della serie, The X from Outer Space di Nihonmatsu Kazui, poteva far pensare a una via Shōchiku alla science fiction. Se, dal punto di vista strettamente dei sottogeneri fantascientifici, il film mescola space opera, UFO e kaijū (i film di mostri come Gojira), si tratta in definitiva di una commedia, di più: una commediola romantica. Musica samba che accompagna la contemplazione dell'universo stellato, canzoncine scanzonate i viaggi spaziali. Quando gli astronauti, in rotta verso Marte, avvistano il primo UFO, lo paragonano subito a una omelette non troppo cotta (altro che archetipo junghiano!); basta una pezza per riparare una falla dell'astronave; gli astronauti sembrano ignorare il pericolo, vedono esplosioni e non fanno una piega, presi come sono dalle loro feste danzanti e bevute di brandy, sembrano in vacanza. Nessuna cupezza, nessuna drammaticità, almeno fino a un certo punto. Sembra un residuo di quella leggiadria dell'ultimo Ozu, di quella serena rassegnazione propria della filosofia nipponica. E poi gag macabre come quella dei due piloti d'aereo che guardano con stupore il mostro un istante prima di essere da questo prontamente inceneriti. Tutto ciò all'interno di una concezione positivista e progressista. Sono le donne a trovare l'antidoto per neutralizzare il mostro, insistendo contro gli uomini riluttanti. Sono una scienziata dai capelli corti, una tipica moga, parola (contrazione e traslitterazione dall'inglese “modern girl”) che indica le donne emancipate che vestono all'occidentale che nella società nipponica emergono negli anni Cinquanta e Sessanta, e la sua collega americana bionda (le donne americane sono una costante di questi film). Ancora un messaggio di amicizia nippo-americana (tra i due paesi vigeva un trattato di cooperazione) che viene espresso in un dialogo grottesco sulla bomba nucleare: i giapponesi vorrebbero che venisse sganciata contro il mostro ma gli americani si rifiutano, per non voler far esplodere più ordigni atomici su un paese ormai diventato amico.
 
Elementi inquietanti sono rappresentati dalla radioattività, reminiscenza della catastrofe nucleare in un film che ha come attore principale proprio quell'Okada Eiji, grande attore giapponese protagonista di Hiroshima, mon amour. E dopo una prima parte, spensierata, nello spazio dove i nemici sono i dischi volanti, il cui equipaggio non si vedrà mai – ma anche questo può succedere nella narrativa nipponica dove non tutto deve per forza essere chiaro, spiegato, mostrato – si passa alla fase kaijū con un bel mostrone di cui nemmeno la casa di produzione di Ozu poteva fare a meno: Guilala. A differenza dei suoi cugini, appartenenti a quel pantheon di mostri di gomma che popola tuttora il cinema nipponico e non, Guilala non farà più apparizioni sul grande schermo fino al 2008, riesumato da un film satirico dal titolo The Monster X Strikes Back: Attack the G8 Summit. E con Guilala arriva finalmente quell'estetica della distruzione cara alla Sontag: città a ferro e fuoco, palazzi di cartapesta schiacciati sotto le zampone della creatura, dighe distrutte, tralicci scagliati con rabbia. E tutto ciò con una gran profusione di plastici e modellini. Un'estetica che ha fatto scuola: la base lunare è stata ripresa da quella, sempre lunare, dei veghiani della celebre serie anime Atlas Ufo Robot. Un mostro che sembra indistruttibile, ma che è vulnerabile solo a una sua kryptonite, isolata dalla scienziata e chiamata “guilalanium”, che alla fine gli viene sparata addosso da dei jet (in un momento palesemente ripreso da King Kong) per ridurlo come "La cosa da un altro mondo", ibernata.
 
 
In Goke, Body Snatcher from Hell, di Satō Hajime, un aereo vola in un cielo rosso vermiglio, «come un mare di sangue» osserva un pilota. Nella cultura giapponese è un riferimento ai fondali rossi delle scenografie del teatro kabuki, dal significato demoniaco e apocalittico, riprese al cinema anche da Kaidan (1964) e dall'episodio "Fuji in rosso" di Sogni (1990) di Kurosawa. E il rosso torna insistentemente, nelle bevande di colore scarlatto che vengono servite ai passeggeri, nel sangue degli uccelli che si schiantano sugli oblò. Un'estasi surrealista richiamata dalle immagini di Salvador Dalì, trovate nella perquisizione della valigia del terrorista, che suscitano sospetto nell'equipaggio. Su quell'aereo viaggia un campionario di umanità, un potente senatore corrotto e un fabbricante d'armi bancarottiere che lo foraggia con una mazzetta in cui è compresa anche la propria moglie, un giovane terrorista suicida, un dirottatore bombarolo, una giovane donna americana che deve andare a riconoscere il cadavere del marito ucciso in Vietnam, uno psicologo che studia le reazioni di panico degli altri passeggeri. Anche in una situazione di pericolo esterno tutti agiscono secondo i propri schemi mentali, rimanendo se stessi. Il politico continua a pensare alle elezioni anche nei momenti di maggior panico. Di questi quattro film questo è quello in cui è più forte l'urgenza del reale, delle tensioni e della violenza che il mondo stava vivendo. Con un meccanismo che ricorda molto la struttura del cinema di Wakamatsu di quegli stessi anni, questa si concretizza in parentesi extradiegetiche fatte di fotogrammi o footage con un campionario di orrori dell'umanità, dai campi di concentramento nazisti, ai corpi martoriati e deformati dall'atomica, o dai napalm del Vietnam. Il messaggio è chiaro: ci stiamo già distruggendo da soli.
 
E il film rifugge pure dall'happy end, mostrando un'ultima immagine con un nugolo di dischi volanti che si appresta a invadere la Terra, che non può così avere speranza. Un'apocalisse prossima ventura, senza via d'uscita, non nuova nel cinema di genere nipponico basta pensare al film Pianeta Terra: anno zero (Nihon chinbotsu, 1973). Non assolve quindi a quella funzione di esorcizzare le ansie collettive con la classica soluzione dell'ultimo minuto. Poco approfondita anche la spiegazione fantascientifica. Gli extraterrestri, i gokemidoro, devono sterminare la razza umana tanto per gradire, non è chiaro per quale motivo. La concezione narratologica orientale, come si è detto, è più refrattaria a quelli che noi chiameremmo buchi di sceneggiatura. Ribattezzato scherzosamente “Vagina-Face Apocalypse”, per la fessura sul volto degli uomini impossessati, Goke, Body Snatcher from Hell è uno psycho-horror incentrato sul tema della possessione corporea e della contaminazione, e ricalca dunque L'invasione degli ultracorpi, Assalto dallo spazio, La cosa  da un altro mondo, e in generale il mito del vampiro.
Disonore al merito agli adattatori italiani che hanno fatto uscire il film con l'oscuro titolo Distruggete DC 59, da base spaziale a Hong Kong, mostrando peraltro di non sapere distinguere il paese del sol levante dall'allora colonia britannica.
 
Il terzo film è The Living Skeleton (Kyûketsu dokuro-sen, 1968) di Matsuno Hiroshi, mai uscito in Italia e l'unico ad essere in bianco e nero. Si tratta di un horror d'atmosfera, baviano (con cadute alla William Castle) fatto di tempeste, lampi e fulmini, cigolii, porte sbattute, pipistrelli, croci, armature medievali. Una nave fantasma, scheletri incatenati nelle profondità marine per un film che si gioca tra terra e mare. Ma anche balletti sexy in un night, una deriva verso lo stile Shintoho, e musichette da spaghetti western, con armoniche e chitarre. Una storia di fantasmi giapponesi con protagonista una sposa fantasma in nero che miete vittime per vendetta. Tipica della tradizione delle storie di kaidan del teatro tradizionale giapponese che molta eco ha avuto anche al cinema, come per esempio in Yabu no naka no kuroneko (1968). Alla fine però il film vira verso una storia di mad doctor, con il dubbio che, scomodando una sorella gemella, i fatti soprannaturali possano avere una spiegazione razionale fantascientifica, ma l'ambiguità rimane. 
 
L'ultimo film della serie, Genocide (Konchū daisensō, 1968) ancora di Nihonmatsu Kazui, che aveva diretto il primo film, in Italia fu distribuito come L'allucinante fine dell'umanità. Qui siamo tra The Swarm e Gli uccelli, dove ai pennuti si sostituiscono insetti pronti a distruggere il genere umano. Torna l'incubo del nucleare che si concretizza nella perdita di una bomba H trasportata da un aereo militare americano. Tra spie sovietiche, immagini di repertorio dei campi di concentramento, spuntano ancora un'americana bionda, un'entomologa mantide, una scienziata pazza e una dark lady, che porta su di sé il segno indelebile dell'essere stata internata in un lager, il numero di serie tatuato (su una tetta anziché sul braccio!). Nihonmatsu non ha più quella  fiducia nell'umanità che aveva mostrato in The X from Outer Space e gli americani alla fine diventano cattivi e fanno quello che non hanno voluto fare nell'altro film: lasciare esplodere la bomba H sul Giappone, sacrificando l'intero paese per quello che loro reputano il bene superiore dell'umanità. Ancora un finale senza speranza, l'immagine del fungo atomico che si staglia all'orizzonte sul mare, seguita da quella di un sole bianco luminoso in un cielo rosso, immagine a colori invertiti della bandiera del Giappone. La breve avventura nel genere della Shōchiku si conclude così con un'altra immagine del disastro. We'll meet again?
 

 

WHEN HORROR CAME TO SHŌCHIKU (Criterion)
ODISSEA SULLA TERRA/THE X FROM OUTER SPACE (Uchū daikaijū Girara), regia di Nihonmatsu Kazui, Giappone, 1967,  89'
DISTRUGGETE DC 59, DA BASE SPAZIALE A HONG KONG/GOKE, BODY SNATCHER FROM HELL (Kyuketsuki Gokemidoro), regia di Hajime Sato, Giappone, 1968, 84' 
THE LIVING SKELETON Kyûketsu dokuro-sen), regia di Matsuno Hiroshi, Giappone, 1968, 81' 
L'ALLUCINANTE FINE DELL'UMANITÀ/GENOCIDE (Konchū daisensō), regia di Nihonmatsu Kazui, Giappone, 1968, 84'