Presentato in anteprima allo scorso Festival di Roma e a Milano in apertura del Filmmaker Festival, l’esordio nella fiction di Alina Marazzi ha da qualche giorno raggiunto le sale cinematografiche italiane. Tutto parla di te è un’opera liminale e una vera e propria sfida, sia dal punto di vista formale che contenutistico. Attraverso la storia di Emma (Elena Radonicich) e Pauline (Charlotte Rampling), la regista si addentra in un territorio proibito, quello dell’ambivalenza dell’essere madri e figlie, cercando di fare luce là dove i modelli idealizzati imposti dalla società hanno reso indicibile il disagio e la difficoltà che segnano la maternità. La precedente esperienza documentaristica della Marazzi non è stata tuttavia messa da parte ma, al contrario, integrata in un percorso che cerca di connettere la memoria dei personaggi finzionali a quella delle persone reali intervistate, in un gioco di riflessi e rispecchiamenti via via più intricato. Accanto agli home movies in Super 8, la struttura a collage del film è arricchita anche da performance di danza contemporanea, frammenti di animazione a passo uno – opera di Beatrice Pucci – e dalle fotografie di Simona Ghizzoni. Un mélange di linguaggi differenti messo a punto quasi a voler stabilire un codice universalmente comprensibile e comunicabile, che si discosti da quello finora impiegato dai mass media per trattare questi temi.
Abbiamo incontrato Alina Marazzi per capire cosa significhi accostarsi al cinema di finzione a partire da un percorso differente e per indagare la continuità di questo lavoro con i suoi precedenti.