Presentato a Venezia nella sezione Orizzonti ed uscito nelle sale italiane in un periodo, quello natalizio, di solito riservato ad atri generi La bicicletta verde è risultata una piacevole sorpresa. Innanzitutto un caso singolare: la regista Haifaa Al-Mansour (sua anche la sceneggiatura), evidentemente una ribelle come la protagonista della sua pellicola, è la prima donna a girare un film in Arabia Saudita, precisamente nelle periferie della capitale Riyadh. Ribelle perché nel Regno Saudita il cinema è bandito, la donna non può votare, non può guidare un’auto e non può nemmeno andare in bicicletta. Tutti temi cari alla Al-Mansour già considerati nel precedente medio metraggio Women Without Shadows.

Wadjda (Waad Mohammed) è una ragazzina dodicenne che frequenta una scuola rigorosamente femminile, in cui vige una ferrea educazione religiosa. Anche solo fermarsi a giocare in presenza di alcuni operai maschi, non è moralmente consentito. L’ambigua e bigotta (pare abbia l’amante) direttrice della scuola incarna le contraddizioni di quella rigidità culturale. In questa situazione opprimente in cui, per una donna il futuro è già scritto, Wadjda è un animo libero che non regge ad alcuna prepotenza morale. Ragazzina intelligente, furba e ben determinata a raggiungere il suo scopo: risparmiare denaro per potersi comprare una bicicletta e poter quindi, attraverso quell’essenziale gesto della pedalata, sentirsi alla pari con i maschi, semplicemente libera.
 
Wadjda rappresenta l’umanità, dimensione che sfugge praticamente a tutti gli altri protagonisti della vicenda, ad eccezione solo del suo simpaticissimo amico e della madre (interpretata da Reem  Abdullah, attrice molto attiva nel paese saudita sotto il profilo dei diritti civili della donna). Tutto il resto è dominato da interessi economici, politici o religiosi. Il film ha una caratteristica fondamentale: la leggerezza, intesa qui nell’accezione americana di Calvino. La regista gira con questo tocco leggero e parsimonioso, costruisce ambienti e personaggi lentamente, con pazienza, ma in maniera solida e robusta. L’ironia semplice della ragazzina gradualmente diventa accattivante e spiazzante. Ironia mai arrogante o insolente perché comunque, tra le righe, si percepisce il rispetto per una civiltà e per una storia. Lo si percepisce nella sobrietà con cui vengono sapientemente presentate situazioni che a noi occidentali potrebbero far facilmente sorridere – la storia del cinema, soprattutto quella dei giorni nostri, quella che si considera più evoluta, ne è piena di tali esempi, di facili e supponenti scontri di cultura  – come la gara di Corano oppure l’imposizione alle ragazzine, durante i giorni del loro ciclo, di voltare le pagine del libro sacro con un fazzoletto in quanto “impure” o, (peggio) ancora, il padre che ripudia la moglie non per amore di un’altra donna, ma solamente perché la moglie non è più in grado di dargli il “fondamentale” figlio maschio: le femmine infatti non sono degne di appartenere all’albero genealogico della famiglia. Tutti temi considerevoli che, lo ribadiamo, non vengono rappresentati semplicisticamente. Un Male assoluto non esiste: le scarpe che indossa Wadjda, simbolo del consumismo nel nostro Occidente, sono ancora simbolo di ribellione nel Regno Saudita e allo stesso tempo il vecchio e rigido commerciante del piccolo bazar, in cui la ragazzina va spesso ad ammirare la bicicletta, scoppia in una risata liberatoria quando la vede, finalmente, sfrecciare in sella.
 
Qualcuno una volta disse che la soluzione ai numerosi conflitti tra il mondo islamico e l’Occidente, che si palesano nel conflitto mediorientale, si potranno risolvere non con le bombe o le guerra (la gara di Corano si risolve con un finanziamento alla causa palestinese), bensì attraverso l’ingresso non tanto in politica quanto nella società civile, della figura femminile emancipata, genuina, razionale e diplomatica. Questo film infatti sembra dirci che forse la soluzione naturale di parecchi problemi è chiaramente sotto gli occhi di tutti: è una bambina che pedala sulla sua bicicletta verde ed una donna saudita che ne fa un film.
 
 
La bicicletta verde (Wadjda), regia di Haifaa Al-Mansour, Arabia Saudita 2012, 98'.