Ho incontrato Jess Franco per la prima volta nel 2005, a Livorno, in occasione di una retrospettiva amatoriale da me organizzata all’interno del Joe D’Amato Film Festival. Dico “amatoriale” perché non proiettavamo pellicole ma dvd, in un potenziale flusso continuo di visioni che solo molto parzialmente replicava la bulimia del regista più prolifico della storia del cinema. Lui stesso, prima di accettare l’invito a presenziare all’evento, si era sincerato di sapere quanti dei suoi film avessi visto e chiese che gli facessi avere un elenco di quelli che possedevo, così come di quelli che avrei voluto mostrare. Accettò, senza troppi problemi, e quando gli chiesi come mai era venuto proprio a Livorno, invitato da un gruppo di ragazzi appassionati ma sprovvisti di qualunque credenziale, rispose che gli eravamo sembrati seri e simpatici, affidabili. Non aveva bisogno di sapere altro.
Quando arrivò all’aeroporto, accompagnato dall’immancabile Lina Romay, annunciò che nel cambio di volo era andata smarrita la valigia. Immaginai che non avere i cambi di biancheria e il necessaire per il bagno potesse essere un problema. Ma lui scosse la testa: “c’erano tutte le mie sigarette!”, esclamò. Jess fumava come una ciminiera, in continuazione, incurante della tosse incessante, e nonostante la tosse, in quei pochi giorni trascorsi insieme, non smetteva mai di raccontare dei suoi film, dei suoi incontri, di parlare di cinema e di tante altre cose, in un italiano dalla cadenza ispanica ma assai preciso sia grammaticamente che nell’uso del lessico. Per cinque giorni non lo persi di vista un solo istante: mi presentavo al tavolo della colazione in albergo, la mattina, e lo abbandonavo solo a sera inoltrata, tanto che a un certo punto decise di chiamarmi Morpho – e chi ha visto i suoi film è in grado di capirne il motivo. Non avevo un registratore e non prendevo appunti nel corso delle nostre chiacchierate, così alla fine gli chiesi se fosse disponibile a riprendere le conversazioni telefonicamente. Accettò, e nei mesi seguenti lo chiamai con una cadenza piuttosto tenue, una volta al mese, non di più, perseguendo la folle idea di scrivere un libro intervista comprensivo di tutta la sua filmografia. Decisi che l’aspetto più interessante sarebbe stato saperne di più sui film “minori” (esistono film minori di Jess Franco? forse no) e questo spiega come mai nel lungo testo qui sotto riportato ci si soffermi assai poco se non per niente su titoli come Il diabolico dottor Satana, Exorcisme, Vampyros Lesbos, Venus in Furs, La comtesse noire, etc. Pensavo di lasciare per ultimi i film più noti, dei quali era già stato scritto tanto e sui quali esistevano già numerose fonti.
L’intervista andò avanti con la consueta cadenza per qualche mese, poi una serie di vicissitudini mi costrinsero ad abbandonarla finché, intenzionato a riprenderla in mano una volta per tutte, composi nuovamente il numero telefonico della casa di Torremolinos e, dopo pochi squilli rispose Lina (anche lei parlava un buon italiano). Mi disse che Jess era sul set di un film e che non sarebbe tornato prima di 5, 6 settimane. Ovviamente, accolsi la notizia con grande piacere, ma anche con un pizzico di disappunto, perché significava attendere ulteriormente e lasciar passare altro tempo, che dato l’impegno e la salute cagionevole di Jess, era più che prezioso. Chiusi la chiamata in preda a un lieve malumore, con l’impressione che non sarei mai riuscito a portare a termine l’assurda impresa. E così è stato. Ciò che rimane va a comporre quella che è probabilmente la più lunga intervista rilasciata dal regista madrileno in lingua italiana, in cui si parla della follia di Kinski (e di Herzog) e della paella di Orson Welles, del magnetismo di Soledad Miranda e della stupidità di Romina Power, e dell’esistenza del Necronomicon.
Resta il dispiacere per non aver potuto parlare oltre e sapere di più, ma anche l’intenso piacere di aver incontrato un uomo semplice e colto, ironico e amante della vita, un regista che amava il cinema molto più del cinema che lui stesso aveva fatto, un autore che forse non sarà ricordato tra i più grandi della storia ma che ha lasciato un corpus di opere unico e imprescindibile per chiunque ami il cinema in tutto il suo multiforme e sempre cangiante aspetto.
Perché, come sostengono i suoi numerosi aficionados, non hai visto un film di Jess Franco finché non li hai visti tutti.
Quanti film ha girato?
A oggi 203.
E se li ricorda tutti?
Uno per uno.
Allora potrei chiederle di qualunque film e lei sarebbe in grado di parlarmene?
Certo.
Le capita di rivedere i suoi film?
A volte. Qualche sera chiedo a mia moglie se ha voglia di guardarne uno ma lei risponde sempre di no.
Quelli che avete fatto insieme o i suoi in generale?
Soprattutto quelli che abbiamo fatto insieme.
E al cinema andate spesso?
Sì, spesso.
Cosa ne pensa del nuovo cinema spagnolo?
Che non esiste. È un’invenzione.
Anche Amenabar è un’invenzione? Cosa pensa dei suoi film?
Sono delle copie fatte bene. The Others, ad esempio: non è paragonabile all’originale di Jack Clayton. Deborah Kerr era fantastica, mentre la Kidman anche se non è una cattiva attrice è troppo fredda, accademica. Anche Il mare dentro è una copia. Tre anni prima è uscito un documentario sulla stessa storia. Con i veri protagonisti della vicenda intervistati. E non se lo ricorda nessuno, nemmeno in Spagna.
Degli altri registi giovani cosa ne pensa? Balaguero, de la Iglesia…
Balaguero non mi piace. I suoi film sono ben fatti ma senza cuore. Non inventano niente. Lui e altri hanno la fortuna di avere dei produttori alle spalle che li sostengono… Ci sono registi migliori che invece non trovano spazio. Quanto ad Alex de la Iglesia, i suoi primi due film, Action mutante e El dia de la bestia, sono interessanti ma ho trovato gli ultimi molto deludenti. Il problema suo e di tutti i nuovi registi spagnoli è che hanno la vita troppo facile! La contraddizione maggiore del cinema spagnolo di oggi è che ci sono più possibilità di prima ma meno libertà. La cosa riguarda in generale lo stato del cinema attuale. Il cinema francese è in piena decadenza, così come quello italiano e tedesco. A Hollywood si fanno film freddi, tutti effetti speciali, e non ci sono più buoni attori. Prendi Angelina Jolie, o Ben Affleck. Non sono attori, sono pupazzi.
Ma ci sarà qualche regista americano che le piace…
Clint Eastwood. Million Dollar Baby è un capolavoro.
Arriviamo a lei. Come viene considerato in Spagna?
Non vengo considerato. Se vai in una videoteca di New York trovi decine e decine dei miei film. In Spagna ne circolano appena 5 o 6. Me ne sono andato dalla Spagna perché sotto la dittatura non era possibile lavorare. Quando è terminata la dittatura sono tornato e le commissioni di censura erano formate dalle stesse persone!
Come in Italia alla fine del fascismo. Allora cosa ha fatto?
Me ne sono andato di nuovo!
Ci sono altri registi spagnoli che stima, tra quelli al lavoro oggi?
Non saprei. I primi film di Aranda erano molto interessanti. Un abito da sposa macchiato di sangue, Las crueles… Fata Morgana è molto bello. Poi si è venduto. È entrato a far parte del sistema. Come Saura. I suoi primi film erano belli, poi…
Come si entra a far parte del sistema? Secondo lei è un meccanismo cui si partecipa inconsapevolmente? Qualcosa di cui non ci si rende conto finché a un certo punto ci si ritrova dentro?
Altroché se ce ne si rende conto! (Sfrega indice e pollice, ndr): i soldi. Bunuel è uno che non è mai voluto entrare a far parte del sistema. Si è sempre imposto con i produttori, specie nella parte finale della sua carriera. Impediva loro persino di andare sul set e si faceva finanziare senza nemmeno aver fatto leggere il soggetto o il copione.
L’ha mai conosciuto?
Sì. È stato lui a volermi incontrare. L’Osservatore Romano aveva stilato una lista dei registi più pericolosi del mondo e tra i nomi figuravano sia il mio che il suo. Non sapeva chi fossi e non aveva mai visto i miei film, per questo volle incontrarmi.
È il più grande regista spagnolo?
Uno dei più grandi. Il più grande di sempre è Luis Garcia Berlanga.
Parliamo di Orson Welles. Che persona era?
Geniale. La persona più intelligente e acuta che abbia mai conosciuto. Era capace di capire che tipo di persona eri e sapere cosa stavi pensando solo con uno sguardo. Ricordo che una volta si dovevano scegliere i figuranti per una scena e c’erano tutti gli attori in fila e tra questi ce n’erano due che avevano lavorato con me, due imbecilli. Orson li guardò in faccia uno per uno e scelse quelli che voleva prendere senza nemmeno sentir loro dire “buongiorno”. Quei due, naturalmente, li scartò.
E con gli attori come si comportava?
Era imprevedibile, come per qualsiasi altra cosa. Se gli andava di girare una scena in un dato momento lo faceva e si arrabbiava con l’attore se non era pronto.
Quanto sono durate le riprese di Falstaff?
In totale, con tutte le interruzioni, almeno otto mesi. Ma se contiamo solo il girato credo dodici, quattordici settimane.
Le interruzioni a cosa erano dovute?
Principalmente al fatto che Orson intendeva girare due film contemporaneamente: Falstaff e L’isola del tesoro!
Non doveva essere lei il regista de L’isola del tesoro?
Sì dovevo essere io. Orson sarebbe stato il protagonista e il produttore. Gli piaceva moltissimo l’idea di fare Long John Silver ma in testa aveva solo il Falstaff.
Capisco. Comunque si tratta di un film meraviglioso, forse il suo capolavoro.
Sono d’accordo. Ed è anche il miglior adattamento cinematografico di Shakespeare! Inoltre ha una fotografia magnifica.
Chi era il direttore della fotografia?
Orson! È stato accreditato qualcun altro, un francese, Edmond Richard, ma le luci le faceva sempre Orson. Nessuno dei grandi distributori voleva avere a che fare con lui. Per fortuna era molto amico di un ricco nobile italiano, Alessandro Tasca. È stato lui a fare da produttore esecutivo. Aveva molti contatti nel campo delle assicurazioni e ha organizzato ogni cosa. Ha anche una parte nel film, è uno dei giudici della corte di Riccardo III, alto e magro.
Si ricorda quali scene ha girato lei per il film?
Parecchie. Ho persino fatto il conto delle inquadrature del film girate da me!
Ah, quante sono?
Più di cento. Centodieci, centoundici.
Dove l’avete girato?
In molti luoghi diversi. L’incoronazione l’abbiamo girata a Girona, la morte di Falstaff ad Avila, a 80 chilometri da Madrid, altre scene in Navarra, a Lesaca a Soria, dove si trova una splendida cattedrale.
In studio non è stato girato niente?
Non avevamo uno studio vero e proprio. Soltanto un posto che era stato allestito in qualche modo come uno studio, dove abbiamo girato gli interni. Ma sono le cose meno belle del film, secondo me. Una delle sue doti più grandi come regista era quella di saper sfruttare al meglio gli spazi. Una volta ci trovammo in una chiesa diroccata e lui mi disse: “gireremo qui la scena dell’incoronazione”. Io mi guardai intorno e mi chiesi come sarebbe stato possibile, visto che c’erano tre pareti fatiscenti e mancava il soffitto. Ma lui ci riuscì e la scena è straordinaria.
Quale pensa che sia il miglior film di Welles?
Il processo. Lo trovo un film eccezionale. Il romanzo di Kafka è assai difficile da adattare e lui l’ha fatto con estrema naturalezza. Quarto potere è un grandissimo film, ma per certi versi immaturo, preferisco quelli successivi. In ogni caso posso raccontarti una cosa che secondo me illustra bene la sua figura di artista. Una volta gli chiesi se, in assoluto, preferisse girare un buon film da regista o interpretare un grande ruolo d’attore. Mi rispose che era lo stesso. Capisci? Per metà era un regista e per metà attore, non dava più importanza al fatto di dirigere un film… E a recitare si divertiva moltissimo.
Che altro gli piaceva?
Mangiare.
Mangiava molto?
Moltissimo. Il primo giorno che ci trovammo sul set mi chiese se il giorno dopo volessi fare colazione con lui e io naturalmente risposi che mi avrebbe fatto molto piacere. La mattina seguente rimasi scioccato. Vuoi sapere cosa mangiava a colazione, ogni mattina? Formaggio intinto nell’olio e vino rosso caldo! Gli dissi che se avessi mangiato formaggio e vino per la “prima colazione” – lui la chiamava così – dopo avrei fatto meglio a tornare a letto! Di certo non sarei stato in grado di lavorare! Ma lui era così: mangiava tanto e dormiva poco.
Quanto dormiva?
Non più di quattro ore a notte, quando lo conobbi.
Qualche altro aneddoto culinario?
Beh, all’epoca gli avevo parlato molto bene della paella ma gli avevo detto che solo quella che fanno a Valencia è buona, perché ci vuole l’acqua di Valencia e il riso giusto. Lui era molto curioso di assaggiarla e quando andammo a Valencia disse: “Ora finalmente posso mangiare la famosa paella di cui mi hai parlato”. Ci sedemmo al tavolo di un ristorante e la ordinammo. Quando il cameriere arrivò con la paella, Orson lo fermò e prima che poggiasse il piatto sul tavolo ne prese una cucchiaiata. Dopo averla assaporata disse “Altre quattro!”. E ne mangiò cinque, una dietro l’altra!
Le dispiace non aver completato le riprese de L’isola del tesoro?
Certo, ma in ogni caso sarebbe stato impossibile: il ragazzo che faceva il protagonista dopo otto mesi era cresciuto di cinquanta centimetri! Nemmeno Orson, con tutta la sua genialità, avrebbe potuto risolvere questo problema.
Quali sono i registi americani che ama di più oltre Welles?
Non saprei… tanti. Fritz Lang, naturalmente. John Ford. Furore è uno dei miei film preferiti in assoluto. Hawks per i noir e i western.
Non per le commedie?
Le sue commedie mi piacciono meno. Preferisco Billy Wilder, soprattutto per i film in cui ha lavorato con Charlie Brackett, lo sceneggiatore. Adoro La fiamma del peccato e Giorni perduti.
So che ama molto anche Siodmak.
I gangsters, Lo specchio scuro, La donna fantasma e La scala a chiocciola sono capolavori assoluti, inavvicinabili. Ci vorrebbe un altro Hitler perché Hollywood tornasse a essere quella che era negli anni ’40 e ’50!
Ha mai incontrato Siodmak?
Certo! Abbiamo anche lavorato insieme per uno dei suoi ultimi film, Custer eroe del West.
Non abbiamo ancora parlato dei suoi film…
Sono quasi tutti orrendi.
Non sono d’accordo. Cominciamo da uno di quelli che preferisco in assoluto, I desideri erotici di Christine, anche se il titolo italiano non gli rende merito.
Io preferisco sempre chiamarlo con il titolo dell’edizione francese, La notte delle stelle cadenti.
Dove l’avete girato?
In Portogallo, in una località meravigliosa chiamata Sintra, nei pressi di Lisbona. È caratterizzata da uno stile architettonico affascinante, tra il gotico europeo e l’orientale, come altre colonie portoghesi.
La sua presenza, nel ruolo del servitore ritardato Basilio, è piuttosto inquietante. Questo tipo di caratterizzazioni da lei interpretate ricorre spesso. Come mai?
Perché mi divertivo molto a interpretare ruoli del genere.
Invece la scena della veglia funebre, con Britt Nicols che si pittura le unghie dei piedi mentre Vernon suona il piano, è una delle più surreali della sua intera filmografia. La litania che recitano/cantano è in latino ma non mi pare molto “sacra”…
Non è affatto sacra! E non è nemmeno in latino. È una presa in giro del latino e del sacro.
A un certo punto Christine e il ragazzo che incontra nei boschi si imbattono in un uomo che dice loro: “Questo posto sa di morte. Voi siete giovani, non potete restare qui. La morte finirà per impadronirsi di voi come una malattia. Salvatevi, fuggite”. Intende dire che per vivere la propria vita e realizzare i propri sogni un giovane deve liberarsi dalle presenze ingombranti di genitori e familiari, ho capito bene? È quello che pensa anche lei?
Hai compreso benissimo. È esattamente così.
Christine è un essere puro in una famiglia di viziosi. Rifugge tutte le tentazioni. Ritiene che l’unica maniera per restare puri sia quella di sottrarsi alle tentazioni o che esista una purezza che si ottiene anche alla fine di un percorso, dopo la caduta?
Non lo so. Ogni essere umano reagisce a modo suo. È una domanda molto teorica, comunque, e la vita è qualcosa di pratico. Nel mio caso è stata la vita a scegliere per me.
Il finale è forse il più bello in assoluto all’interno della sua filmografia. Non voglio chiederle di spiegarlo, ma alla fine la protagonista muore o è stato tutto solo un sogno?
Muore. Quando nei miei film alla fine si scopre che la protagonista ha solo sognato è perché la censura ha imposto così. Come nel caso di Eugenie… The Story of Her Journey into Perversion: non è affatto un sogno quello che è accaduto alla protagonista.
Trovo che Christina Von Blanc sia molto brava, forse tra la migliore tra le più giovani che hanno lavorato con lei. Quanti anni aveva?
Mi pare che avesse 17 anni. Il suo vero nome è Christina Betner. Dopo il mio film ha continuato a lavorare in Germania, ma credo abbia fatto poco altro. Era molto capace e molto intelligente.
Nel finale Vernon dice “La vita conduce alla morte. Ci immergiamo nelle acque dello Stige ma non arriviamo mai all’altra riva”. Che rapporto ha lei con la morte? La ritiene qualcosa di naturale?
Certo. Come nascere. L’idea della morte non mi crea nessun problema.
Cosa ne pensa del rimontaggio che hanno operato sul film?
Lasciamo perdere.
In quel film c’era un’altra bellissima attrice, Britt Nichols.
Il suo vero nome è Carmen Zé, è portoghese. Era un’attrice di teatro – in Portogallo c’è un’ottima scuola teatrale – e me la presentarono. Era una bellissima ragazza, alta, imponente. L’ho avuta in diversi film, Le demone, La figlia di Dracula… La voleva anche Polanski.
Per quale film?
Quello con Sydne Rome (Che?, ndr). Mi telefonò dicendo che era molto interessato ad averla nel suo film e mi chiese se potevo dargli il suo numero di telefono. Glielo diedi ma gli dissi anche che era fidanzata a un uomo molto geloso, un giocatore di calcio argentino (Héctor Yazalde, detto Chirola, ndr), e che forse avrebbe incontrato qualche difficoltà a farla lavorare fuori dalla Spagna.
E come andò a finire?
Beh, lei nel film non c’è, no? Non ne seppi più niente finché un giorno non incontrai Polanski di persona e gli chiesi se poi era riuscito a contattarla. Mi rispose che era andata proprio come avevo detto io: il fidanzato non aveva voluto. Peccato che non abbia proseguito la sua carriera. Non era una grande attrice, ma molto espressiva. Anche se secondo me Polanski la voleva per un altro motivo. Credo che gli ricordasse la moglie, Sharon Tate.
Trovo che le scene tra Britt Nichols e Karin Field in Le demone siano tra le più erotiche che ha girato. Come era il rapporto tra le due sul set?
Ottimo, si sono trovate benissimo entrambe. Con Britt Nichols tutto era sempre molto semplice e così anche queste scene non rappresentarono alcun problema. E sono d’accordo con te sul fatto che siano molto erotiche.
Il “bacio della morte” l’ha inventato lei o ne ha letto da qualche parte?
L’ho inventato io.
Karin Field ha fatto solo questo film con lei. Che donna era?
Era un’attrice molto brava e una persona molto gentile. Abbiamo fatto insieme solo questo film perché era sempre troppo impegnata, lavorava molto a teatro.
Chi è Ricardo Franco, accreditato come assistente alla regia?
Non sai chi è Ricardo Franco?!! Era un giovane regista, mio nipote. Era il figlio di mio fratello, un ragazzo dotato di un grandissimo talento, ha fatto anche diversi film premiati a Cannes, come Pascual Duarte (1976) e La buena estrella (1997). Il suo ultimo film è Lagrimas negras (1998). È morto l’anno dopo questo film, piuttosto giovane.
Cosa ne pensa delle musiche del film? Molti le hanno criticate.
Le ho criticate anch’io! Erano orribili. La colonna sonora doveva comporla Bruno Nicolai ma al momento di inserire le musiche nel film io stavo girando qualcos’altro e De Nesle, il produttore, fece questa cosa alle mie spalle.
È per questo che qualche anno fa è uscita in dvd una versione “director’s cut”, più breve e con altre musiche?
Sì. Ho fatto qualche modifica, ma soprattutto ci tenevo a far scomparire quelle musiche orrende.
Quale altro film modificherebbe, se potesse?
Tutti. Come ti ho detto non sono molti i film che mi piacciono, tra quelli che ho fatto.
Il primo film in cui compare Britt Nichols è Jungfrauen Report. Immagino che il film le sia stato proposto. Da chi?
Dal produttore, Brauner. In realtà nemmeno lui ci teneva a farlo ma si era trovato in qualche modo obbligato, e la stessa cosa valeva per me, dovevo farlo per contratto.
Aveva visto i film della serie Schulmadchen Report?
Sì ma non mi sono mai piaciuti. Quello del falso documentario è un genere che non mi ha mai detto niente.
I giovani e le altre persone intervistate nel film sono attori o gente presa per strada?
No, a parte un paio erano tutti tecnici o figuranti.
L’avete davvero girato in 5 continenti diversi come dice la didascalia in apertura?
Macché. È girato quasi tutto in Portogallo. Le scene con i giovani in discoteca sono state girate a Berlino. Ma tutti gli ambienti esotici, ad esempio, sono girati in Portogallo.
Si è documentato su riti e credenze riguardo verginità e deflorazione?
Certo, mi sono documentato molto.
La parte girata in bianco e nero come fosse un film muto è molto divertente, e Vernon è bravissimo.
Sono d’accordo. Ma Vernon è sempre stato bravissimo.
Anche Christina Von Blanc ha una piccola parte, verso la fine. L’ha scoperta lei?
Non era il primo film che faceva con me, aveva già avuto un piccolo ruolo in Akasawa (Una vergine senza nome per l’ispettore Forrester, 1971). Prima aveva solo fatto delle particine.
Dal film si evince che ci sono dei parallelismi tra riti antichi e abitudini attuali. Era questo che voleva dire con il film?
Sì, è l’unico messaggio che si può trarre da quel film!
Pensa che la nostra società abbia fatto molti passi avanti nel rapporto con la sessualità o che siamo ancora alienati, da questo punto di vista?
Penso che siamo più liberi di prima ma che, allo stesso tempo, non siamo ancora liberi. Io ho cercato di fare un cinema il più libero possibile eppure non sempre mi è stato possibile farlo. Una volta che finisci di girare un film, questo resta nelle mani di gente incompetente e anche le persone più stupide possono permettersi di dire la loro, prendere decisioni e modificare qualcosa. A quel punto l’unica arma che rimane al regista è quella di togliere il proprio nome dai titoli. Che versione hai visto di questo film?
La versione uscita in dvd, in tedesco con i sottotitoli inglesi.
Quanto dura?
70 minuti circa.
La versione originale dura 85, 86 minuti. Hanno fatto tantissimi tagli, ad esempio in tutta la parte con Ingeborg Steinbach, che a me piaceva molto.
La costumista del film è Nicola Franco [Nicole Guettard]. Era la sua compagna all’epoca, giusto? Come l’ha conosciuta?
Non era la mia compagna, era mia moglie! Siamo stati sposati per dodici, tredici anni. È stato molto tempo fa.
Ci tengo molto a parlare di Soledad Miranda, la sua prima musa. Che persona era?
Una bambina. Sempre allegra e pronta a divertirsi. Sul set faceva scherzi a tutti. Aveva una personalità molto diversa rispetto ai ruoli cha ha interpretato nei mei film.
Come l’ha incontrata?
L’ho conosciuta quando era appena arrivata a Madrid. Viveva nel quartiere gitano e voleva entrare a far parte del mondo dello spettacolo. Non aveva fatto studi particolari e non aveva nessun tipo di preparazione ma possedeva un gran fascino.
L’ho sempre trovata di una bellezza sconvolgente. E soprattutto magnetica, carismatica.
Hai ragione. Non era bellissima ma appena entrava in un ristorante o in un teatro tutti si giravano a guardarla. Possedeva una grazia e un fascino incredibili.
Ha avuto prima una piccola parte in La reina del tabarin e poi il ruolo di Lucy ne Il conte Dracula.
Sì, ma Christopher Lee non la voleva. Diceva che non andava bene per il ruolo, perché Lucy doveva essere bionda, tutt’altro tipo di ragazza. Allora gli ho detto “Va bene. Facciamole provare una scena e se mi dici che non la trovi adatta la cambiamo”. Quando la vide in azione cambiò subito idea.
Tra i film che ha fatto con lei ce n’è qualcuno che preferisce?
Sono quasi tutte produzioni tedesche. Il produttore si chiamava Artur Brauner, e all’epoca era un nome. Era convinto che Soledad fosse la scoperta più rilevante del cinema di allora. Voleva proporle un contratto molto importante, per fare diversi film, ma lei era sulla costa nei pressi di Lisbona in compagnia del marito, così io e il direttore di produzione siamo partiti da Berlino per raggiungerla e farle firmare il contratto. Avevamo un appuntamento al nostro albergo per la mattina dopo alle dodici. Ma lei non è mai arrivata. Ha avuto un incidente mortale lungo la strada.
Cos’è successo esattamente?
Si sono scontrati con una macchina ferma in mezzo alla strada per Estoril.
So che il marito era un pilota automobilistico. E’ stata colpa sua?
No! Non ha potuto fare niente! Se l’è trovata davanti e non è riuscito a evitarla. Nessuno avrebbe potuto.
Che tipo di attrice era?
Molto intuitiva. Magnetica, come hai detto tu. Un volto assolutamente cinematografico.
In Nightmares Come at Night la sua parte sembra avulsa dal resto, come se facesse parte di un altro film…
In realtà è stata girata un mese dopo, a Parigi, mentre il resto del film l’abbiamo girato a Barcellona. Mi serviva un’attrice che facesse solo quella piccola parte ma nessuna di quelle a cui l’avevo chiesto ha accettato. Così l’ho chiesto a lei e mi ha detto che non c’era problema.
Non ho mai visto Sex Charade. Che film è?
Dovrebbe uscire tra poco in dvd. I diritti li ha William Lustig, il regista della serie Maniac Cop. Sex Charade è un film particolare, strutturato in maniera circolare. L’inizio e la fine sono gli stessi. Ma non te lo posso raccontare.
Ho letto che l’ultimo film che stava girando con Soledad era Juliette, di cui esistono 40 minuti di girato.
Non stavamo girando alcun film quando è morta.
Come ha incontrato sua moglie Lina [Romay], invece?
In ascensore. Era la ragazza di un fotografo che lavorava con me.
Sul set di quale film?
El mistero del castillo rojo.
Come mai è rimasto incompleto?
Non è incompleto!
Ah, no? Allora come mai non è mai stato distribuito?
Per problemi con la produzione e di censura. Stiamo cercando di farlo uscire direttamente in dvd.
Lina faceva già l’attrice, all’epoca?
No. Ma le ho chiesto se le interessava farlo e lei ha detto di sì.
Il primo film che avete fatto insieme è La maldicion de Frankenstein?
No. In molti credono che sia quello, ma le parti con Lina sono state girate e aggiunte in seguito.
Allora qual è il suo primo film con lei? Plaisir a trois?
Relax Baby.
È uno dei due film che Joe D’Amato ha rimontato in Lady Justine.
Sì, l’altro è Midnight Party.
Cosa ne pensa del rimontaggio, immagino detesti anche questo.
No, penso che abbia fatto un ottimo lavoro. Il film che ha realizzato è migliore dei miei due!
Come mai, a un certo punto, ha deciso di fare film hard?
Mi incuriosiva l’idea. Semplicemente volevo provarci.
E come giudica la sua esperienza in questo settore?
Deludente.
Come mai?
Perché fare l’amore è una cosa molto bella, ma guardare altri che lo fanno o filmarlo non è altrettanto bello. Almeno dal mio punto di vista.
Non crede che il cinema hard dovrebbe o potrebbe essere il più libero in assoluto e invece finisce per essere quello più regolato.
Sì, è così noioso il porno di oggi! I film hard sono tutti uguali.
Mi risulta che la protagonista di Tender and Perverse Emanuelle, Norma Castell, dopo non abbia più fatto altro.
Ah, che titolo orribile hanno dato a quel film. Sai qual era il titolo originale?
Non mi ricordo…
Camino solitario.
Ah, ma poi l’ha utilizzato in seguito… E comunque il titolo italiano di quel film non era molto meglio: Sicarius – Febbre di sesso…
Tremendo!
Le chiedevo di Norma Castell…
Era principalmente un’attrice di teatro ma non riusciva a lavorare granché. Fu il marito a propormela e io accettai. Era un’ottima pianista. Tutti i pezzi di piano del film li suona lei veramente.
Le chiedo di alcune attrici che hanno lavorato con lei. Cominciamo da Romina Power…
Era una ragazza molto stupida. Ma d’altra parte era la figlia di un cowboy. Farle capire le cose che andavano fatte era un’impresa impossibile. Abbiamo lottato tutti per ottenere qualcosa di decente da lei, non solo io ma anche Mercedes McCambridge e gli altri attori che lavoravano sul set di Justine.
È andata meglio con Marie Lilljedal, l’attrice di Eugenie?
Sì, decisamente. Aveva fatto Inga che all’epoca aveva avuto molto successo. È stato il produttore americano a propormela. Era perfetta per la parte, l’ho trovata molto fresca e, a differenza di Romina Power, non ha creato alcun tipo di problemi.
Ha fatto solo una manciata di film, oltre il suo…
Sì, perché dopo Eugenie ha terminato gli studi ed è tornata in Svezia dove è diventata un architetto molto importante.
Cosa mi può dire di Kali Hansa e Montserrat Prous, che compaiono insieme in alcuni dei suoi film?
Kali Hansa era cubana, si chiamava Marisol Hernandez, ed era andata via da Cuba per motivi politici, mentre Montserrat Prous è di Barcellona. Mi avevano parlato di lei, che all’epoca aveva fatto solo piccole parti e credo che con me abbia fatto 6 o 7 film. Poi è tornata al suo primo amore, il teatro. Ho saputo che ha fatto una bella carriera con una compagnia che recita esclusivamente in catalano. Era una donna molto colta, intellettuale.
Come ha conosciuto Janine Reynaud?
Attraverso il marito, Michel Lemoine, che conoscevo bene. Eravamo a Roma, in una trattoria, e lui è arrivato con questa bellissima donna, molto affascinante, così gli ho chiesto chi fosse, e lui mi ha detto che era sua moglie! E che faceva l’attrice! Anche se fino a quel momento aveva fatto solo qualche piccola parte in film di spionaggio.
Quindi fu lei a darle per la prima volta una parte da protagonista?
Sì, in Necronomicon.
È uno dei film più importanti della prima parte della sua carriera…
Sì, è un film che ho potuto realizzare in piena libertà, ma inizialmente ci furono molti problemi, perché in origine si trattava di una coproduzione ispano-tedesca. La commissione di censura spagnola lesse la sceneggiatura e disse che non andava bene. Volevano censurarlo ancora prima che venisse girato! Per fortuna il produttore disse “facciamo tutto da soli”. E così fu.
Come mai scelse quel titolo? Il film non ha a che fare con Lovecraft.
L’ho scelto perché ho letto il libro.
Che libro?
Il Necronomicon!
Come sarebbe? Il Necronomicon non esiste!
Certo che esiste! O perlomeno, ne esiste una parte: il libro venne messo al rogo dall’Inquisizione spagnola e quello che rimane è conservato presso la biblioteca dell’Università di Vienna.
Dunque il libro non è un invenzione?!
No! E’ un’invenzione che non esista! Lovecraft lo disse facendo credere di avere inventato tutto lui, ma il libro esisteva eccome. E ci sono parti del film che ho preso parola per parola dal testo che ho letto.
So che questo film ha avuto ammiratori di riguardo.
È vero. Al termine della proiezione di Delirium [Necronomicon] al Festival di Berlino mi si avvicina questo signore di una certa età e mi fa i complimenti per il film. Mi dice che solitamente non gli piacciono i film erotici ma che questo l’ha trovato molto interessante e mi lascia il suo biglietto da visita dicendomi di chiamarlo. Nella calca io non faccio nemmeno in tempo a leggere cosa c’era scritto sopra e lo metto in tasca. Tornato in albergo svuoto le tasche e trovo il biglietto, e leggo: “Fritz Lang”. L’ho chiamato immediatamente, anche se era tardi, e abbiamo parlato al telefono. Poi non l’ho mai più rivisto.
Parlando di Soledad Miranda abbiamo citato Il conte Dracula, con Christopher Lee. So che non gli andava più di tanto di essere identificato con il personaggio di Dracula.
Infatti. Era molto frustrato, da questo punto di vista. Era uno che voleva fare Shakespeare a teatro e invece non faceva altro che Dracula, la Mummia o il mostro di Frankenstein nei film di Terence Fisher e altri.
Però fece Dracula anche con lei.
Sì, lo convinsi che sarebbe stato un Dracula diverso, più simile a quello del romanzo di Stoker. Cambiò atteggiamento qualche tempo dopo, dopo essere stato in America e aver fatto altri film. Divenne più rilassato. Ad ogni modo, durante il monologo di Dracula nel mio film ho avuto per la prima volta nei miei film l’impressione di trovarmi davanti a un grande attore.
Dove è stato girato il film e in quanto tempo?
L’abbiamo girato in sette settimane, negli stabilimenti di Tirrenia, a Barcellona e in piccola parte in Francia, diciamo le scene di seconda unità. L’interno del castello, invece, è girato a Barcellona, in un palazzo che ora è il palazzo del governo!
Cosa ne pensa della colonna sonora?
Penso che sia splendida, Bruno Nicolai era un maestro.
C’è grande attenzione, oltre che alla musica, anche agli effetti sonori…
Sì, perché avevo alle spalle una buona produzione e c’era qualche soldo in più, così potevamo permetterci di curare anche i dettagli.
Gli effetti di chi sono, invece?
Di un irlandese, Stuart Freeborn, che ha vinto anche diversi Oscar. Yoda e Chewbacca in Guerre Stellari sono sue creazioni! Era anche un ottimo truccatore, velocissimo, con me ha lavorato in 4 o 5 film, i Fu Manchu e Sumuru, ad esempio. La trasformazione di Dracula morto che ha realizzato nel film è splendida.
Si ricorda chi interpretava le tre vampire, le succubi di Dracula?
Certo. Erano Emma Cohen, una bravissima attrice che ha lavorato con me anche in Al otro lado del espejo (Lo specchio del piacere, 1973) e che in seguito ha anche vinto un premio come miglior attrice spagnola dell’anno, poi ci sono Jeannine Mestre, un attrice di teatro molto conosciuta, e una bellissima italiana, Serena Vergano, che con me ha fatto anche Justine e Il trono di fuoco.
Una delle scene del film che preferisco dal punto di vista visivo è quella in cui Dracula compare alle spalle di Mina all’interno del palco del teatro, rivelato dal movimento della macchina da presa e con solo il volto illuminato… Lei come giudica il film?
Penso che sia abbastanza buono, l’unico veramente fedele al romanzo di Bran Stoker. È quello che ha detto anche Coppola molti anni dopo quando ha girato la sua versione, ma come può essere fedele un film in cui Dracula si innamora di una ragazzetta e gli passa la voglia di mordere e succhiare sangue!!? Caso mai, quando si innamora vuole più sangue!
Che opinione ha del Dracula di Coppola?
Troppo fastoso.
Che parte avete girato negli stabilimenti di Tirrernia?
Quella con Klaus Kinski. Il resto è girato quasi tutto a Barcellona.
Non aveva mai lavorato prima con Kinski: era davvero difficile avere a che fare con lui, come sostengono in tanti?
Affatto. Mai avuto problemi. Siamo diventati amici subito. Aveva insistito che se doveva fare Renfield l’avrebbe fatto solo all’interno di un vero manicomio. Io gli dissi che per me non c’era problema, ma i produttori temevano che una volta fatto entrare in un posto come quello non l’avrebbero più fatto uscire!
Poi ha voluto di nuovo Kinski come protagonista per Erotico profondo.
Che film è?
Il suo! Jack the Ripper!
In Italia l’hanno chiamato Erotico profondo?! Pazzesco. Sai come hanno intitolato Bloody Moon in Spagna?
No.
Colegialas violadas. È stato un flop. In Italia come l’hanno chiamato?
Profonde tenebre.
Ah! Roba da matti!
Torniamo a Kinski: ha pensato subito a lui per il ruolo del protagonista in Jack The Ripper?
Certo, quando sono andato a proporlo a Dietrich (il produttore, ndr) gli ho detto subito che avremmo dovuto farlo con lui.
Come lavoravate insieme?
Non c’era bisogno di spiegargli le cose, ma quando non era convinto o la scena era particolarmente difficile era capace di farti 10 versioni diverse dell’interpretazione. Tanto per farti capire le sue enormi potenzialità espressive.
Nell’intervista presente sul dvd del film Dietrich dice che nonostante dovesse lavorare anche 15 ore al giorno Kinski fu molto cooperativo. Che poteva benissimo chiedere denaro in più ma non lo fece…
Sì, è vero. L’ultima volta che l’ho incontrato, a Roma, stava per partire per Hollywood e mi ha detto: “ora mi pagano dieci volte tanto quello che prendevo con te ma se tu vuoi lavorare di nuovo con me mi sta bene essere pagato come prima”.
Ho letto che dopo Jack the Ripper doveva fare un altro film con Kinski, L’homme de la Guyana. È vero? Come mai non si fece?
Sì, è vero, era uno script molto bello, firmato da me e Jean Claude Carriere, ma all’ultimo momento abbiamo dovuto rimandare perché Kinski doveva andare in America a girare con Coppola e poi è morto… Doveva esserci anche Orson Welles, credo che sarebbe stato un ottimo film…
So che per il film ha ricreato Londra a Zurigo.
In realtà abbiamo girato parte del film a Londra.
Non è quello che dice Dietrich nell’intervista presente sul dvd...
Lui non lo può dire, perché abbiamo girato a Londra senza avere il permesso! Il film ebbe grossi problemi di censura, tanto che censurarono anche le foto di scena e i poster… Ma andò comunque molto bene, venne venduto in 30 paesi.
Di chi sono gli effetti speciali?
Di uno spagnolo, lo stesso che ha lavorato con me in Bloody Moon.
Ho notato che la vittima sulle cui sevizie si sofferma di più è proprio la sua compagna, Lina Romay…
Sì, ma è un caso. Semplicemente, era quello che richiedeva il ruolo e lei mi era sembrata molto adatta.
Cosa mi può dire di Geraldine Chaplin?
Che era una donna bellissima e molto intelligente, una “fuori serie”. Ha lavorato con me anche molti anni dopo, in Downtown Heat (in realtà nel film c’è Josephine Chaplin, ndr).
Qui, come in altri film del periodo lei lavora con i fratelli Baumgartner, Peter e Walter, uno direttore della fotografia, l’altro compositore. Cosa mi può dire di loro?
Che non sono fratelli, uno era lo zio dell’altro. Li ho conosciuti attraverso Dietrich, Walter, il giovane, era un buon musicista, l’avevo sentito suonare dal vivo diverse volte, Peter era quello più anziano, un po’ un rompiscatole…
Come mai?
Perché era vecchio, anche nel modo di lavorare, molto preciso, fin troppo. Ci metteva tantissimo tempo a illuminare una scena. L’altro era più veloce, ma non altrettanto dotato.
Ha citato Bloody Moon. È stata sua l’idea di girare il film o gliel’hanno proposto?
No, è stato il produttore, un tedesco, Spitz, quello della Lisa Films.
Lo sceneggiatore Rayo Casablanca: è un altro dei suoi pseudonimi?
È uno pseudonimo ma non mio, lo ha usato lo sceneggiatore tedesco.
Dov‘è stato girato?
Nella zona di Alicante.
C’è una location particolarmente bella: la villa bianca con il colonnato nel giardino interno dove passa la vecchia in sedia a rotelle…
Ah, sì, era un palazzo privato di una famiglia di San Juan, da quelle parti.
Bloody Moon è uno dei suoi film più splatter. Cosa ne pensa dello splatter?
Come genere non mi piace granché, ma mi interessava l’idea di provare a fare qualcosa in quel campo, tutto qua.
Gli effetti, però, sono piuttosto buoni.
Li ha fatti uno specialista spagnolo, Juan Ramon Molina, ha vinto anche degli Oscar. Ha lavorato in parecchi film di guerra, come Patton.
Il cast l’ha scelto lei?
L’abbiamo scelto insieme io e il produttore tedesco. Olivia Pascal, ad esempio, ho insistito io per averla perché l’avevo vista in diversi film sexy tedeschi e mi piaceva molto. È una donna di classe, molto elegante, è molto capace anche come attrice.
Sa che si vede un pezzo di questo suo film in Matador di Almodovar?
Sì! All’inizio, quando il ragazzo è solo in casa e sta guardando una videocassetta!
Immagino che la spinta per fare il film sia stata data dal successo degli slasher americani in voga all’epoca, ma mi pare che lei si rifaccia più a modelli italiani, come Bava, Argento e Fulci.
Senza dubbio. Il filone americano non mi interessava granché. Mentre Mario Bava è un vero maestro.
In una scena, quella con il cadavere di delle ragazze appese dentro un sacco di plastica cita esplicitamente 5 bambole per la luna d’agosto…
Infatti.
Dei tre film girati per Lisa Film, insieme a Bloody Moon e The Story of Linda/Orgia de Ninfomanas, il più noto è Sadomania. E’ vero che si tratta di uno script concepito per essere un nuovo film di Ilsa/Greta?
No, non è vero.
Come ha scelto Ajita Wilson? L’aveva già vista in altri film?
Certo, l’avevo vista in diversi film. Era una persona splendida, molto gentile e sensibile. Una persona adorabile. Per entrambi i film mi aveva chiesto di recitare la sua parte in italiano, perché era la lingua con cui si trovava più a suo agio.
Trovo che fosse molto bella. Nei primi piani si vede che ha una pelle levigata, quasi da bambola…
Era molto bella, infatti. E credo che ci sia ancora un mistero riguardo alla sua identità…
Per quanto ne so io è nata uomo, con il nome di George Wilson a New York nel 1950 e poi, intorno ai 20 anni, si è sottoposta a un’operazione per cambiare sesso in Europa.
Se ha fatto un’operazione devo dire che è stata perfetta perché non ce n’era traccia!
Ursula Buchfellner invece aveva già lavorato con lei…
Si ha fatto altri tre film con me, Elles font tout, Sexo Canibal e Linda. Una ragazza molto simpatica e una seria professionista, conosceva sempre alla perfezione tutti i suoi dialoghi. Molto bella, anche: è stata Miss Playboy in Germania.
La scena della lotta tra le due donne ripresa in controluce è notevole…
Quella scena è stata girata all’alba ed è stata piuttosto rischiosa… Perché le due ragazze hanno insistito per non avere controfigure.
Il suo personaggio, Lucas, è molto divertente. È vero che nella scena in cui lei si fa prendere da dietro dal giovane di colore, in realtà si tratta sempre della Wilson ma senza la parrucca e con i baffi finti?
No, non è Ajita. È un’altra delle ragazze del film. Per cui non è un uomo, ma non è nemmeno Ajita.
Le musiche le ha composte lei? Tra tutti i soundtrack che ha composto quali preferisce?
Quelle di Sadomania non sono male ma forse quelle che preferisco in assoluto sono quelle di La notte delle stelle cadenti. Le ho composte insieme a Bruno Nicolai. Come ti ho detto, il film è girato in Portogallo ma il montaggio l’abbiamo fatto a Roma e lì io e Bruno abbiamo improvvisato nel suo studio con soltanto un pianoforte e un sintetizzatore, sovraincidendo la musica con versi di animali selvaggi.
Dove è stato girato Sadomania?
Nei pressi del Mare Minor, a Murcia. Era una località splendida.
Perché “era”? Non esiste più?
Esiste ma con il passare degli anni è stata rovinata. Imprenditori senza scrupoli hanno edificato costruzioni orrende lungo la costa, deturpando il paesaggio. Tanto che all’epoca si mangiava un pesce buonissimo che si trovava solo da quelle parti, il mujol, e ora credo che non esista più.
L’ha utilizzata solo in quel film come location?
No! Almeno una decina di volte. La prima in Eugenie.
È vero che la Guardia Civile venne sul set e dovette interrompere le riprese?
Sì ma non fu il caso più tragico. In seguito altre due volte siamo stati costretti a fermarci per colpa loro.
Di che film si tratta?
Furia en el tropico e il primo dei due cannibalici [La dea cannibale, ndr].
Ma il regime franchista non era terminato?
Sì ma eravamo in una fase di transizione, la gente ancora non si rendeva conto che eravamo finalmente liberi.
Come mai il film è stato bandito in alcuni Paesi? Non mi sembra più violento o esplicito di altri che ha fatto…
Sono d’accordo. Credo che sia stato per colpa dei tedeschi che ne hanno fatto un caso ancora prima che uscisse, creando un enorme scandalo.
A differenza di Greta, qui il finale è aperto…
Sì, ma anche se non viene mostrato si capisce che le prigioniere si vendicano e l’aguzzina farà una brutta fine.
Il secondo film con la Wilson, Macumba Sexual, è molto più onirico...
Sì, è di tutt’altro tipo.
E’ stato girato sempre da quelle parti?
No, alle Gran Canarie.
Quando la Wilson dice “Io non sono reale, sono un sogno inconfessabile. Sono tutto ciò che è proibito, una donna nera di sessualità indefinibile…” sembra che quelle parole la definiscano alla perfezione…
Sì, sono il suo ritratto perfetto.
Anche in questo film lei si è riservato una parte molto divertente… Io ho visto il film in spagnolo e la voce mi è sembrata la sua. Si è doppiato da sé?
Tutte le volte che potevo, che avevo tempo, mi doppiavo da me. E non solo in spagnolo, ma anche nelle altre lingue, italiano, inglese, francese…
Quale preferisce tra i due film con i cannibali?
Senz’altro il primo, quello girato in Portogallo (La dea cannibale, ndr). L’altro (Il cacciatore di uomini) è un film piuttosto scadente. Il problema è che era fatto con pochi soldi e il produttore tedesco – si trattava di una coproduzione con l’Italia e la Spagna – era davvero uno stronzo. Un mangia-salsicce di Monaco che era un produttore come io sono il direttore di un supermercato. Era sempre in ritardo con i pagamenti e, come se non bastasse, il direttore di produzione, uno spagnolo, era un cretino e a un certo punto l’ho mandato via, perché preferisco fare io due lavori piuttosto che avere accanto una persona che fa male il suo o, peggio ancora, non fa niente di quello che dovrebbe. A quel punto, Antonio Mayans che era uno degli attori del film, si è offerto di aiutarmi, dicendo che non potevo fare tutto da solo, e ho accettato anche se non conosceva più di tanto quel tipo di occupazione.
I due film sono stati girati insieme?
No, più o meno a distanza di un mese l’uno dall’altro.
Li ha scritti lei entrambi?
No, solo il secondo, quello che mi piace di meno! L’altro l’ho scritto insieme a Julian Esteban, un produttore che scriveva. Sostanzialmente la sceneggiatura era sua ma prima di cominciare a girare ho cambiato diverse cose che non mi piacevano.
Gran parte della troupe del secondo film era italiana. Tra gli attori c’era anche Al Cliver (Pierluigi Conti).
Era molto simpatico, non un grandissimo attore ma senz’altro una bella persona e un buon professionista.
E Sabrina Siani?
Lei era molto stupida. Ma ancora più stupida era la madre, che era sul set perché la figlia era molto giovane. Divenne lo zimbello della troupe perché non faceva altro che ripetere a tutti “non trovate che la mia ragazza sia proprio bellina?”. A un certo punto non ce l’ho fatta più e quando mi ha detto “non trova, dottore, che abbia davvero un bel corpicino?”, ho risposto – ammetto di essere stato un po’ maleducato – “sì, sua figlia ha davvero un bel sederino”, e lei se l’è presa a morte!
I direttori della fotografia di questi due film sono Luis Colombo e Juan Soler, cosa mi può dire di loro?
Che erano molto diversi. Juan Soler era bravissimo e molto svelto, l’altro, un catalano che avevo conosciuto in Portogallo, no. Soler aveva cominciato come fotografo di scena sul set di un altro mio film, Confessioni proibite di una monaca portoghese, e poi era passato alla seconda unità e alla fine a fare il direttore della fotografia. Abbiamo fatto molti film insieme.
Nel secondo film il cannibale è uno solo, una specie di zombi. Aveva visto i film italiani del periodo? Cannibal Holocaust o quelli di Fulci…
Sì li ho visti e Cannibal Holocaust è certamente il migliore ma si tratta comunque di film rivoltanti.
Chi è Burt Altman che interpreta lo zombie? Immagino che non sia il suo vero nome…
No, era un portoghese originario dell’Angola, un ottimo calciatore, tra l’altro. È stato il produttore bavarese a propormelo e anche se all’inizio non ero molto interessato al progetto poi ho cambiato idea, ho pensato che sarebbe potuto essere divertente e l’idea di lavorare con quest’attore mi piaceva. Dopo il secondo ho cambiato idea nuovamente e ho deciso che non ne avrei fatto più!
Come art director è accreditato Pierre Chevalier: è il regista?
Si è lui ma non ha lavorato in quel film. Figura tra i tecnici solo perché era molto amico del produttore. Era anche molto amico mio, peraltro, un ottimo sceneggiatore e, come saprai, è stato primo aiuto di Clouzot e Cocteau… Quando l’ho conosciuto era già vecchio, abbiamo lavorato insieme in 6 o 7 film. Era una persona molto colta, intelligente.
Facciamo un passo indietro. Nel 1972 ha girato una decina di film e tra questi ci sono alcuni tra quelli che preferisco in assoluto come Christine, che abbiamo già citato, e Dracula contra Frankenstein. Dove sono stati girati e in che ordine?
In varie località della Spagna e del Portogallo, Alicante, Murcia, Barcellona, Lisbona… Il primo è Dracula contra Frankenstein, poi c’è La fille de Dracula, quindi La maldicion de Frankenstein e infine Christine.
Trovo che la prima mezz’ora di Dracula contra Frankenstein, quasi priva di dialoghi, sia straordinaria. Cosa ne pensa?
Sì, è abbastanza buona.
È stata una scelta voluta dall’inizio, prima di cominciare le riprese, o concepita in fase di montaggio?
No, era una cosa che avevo pensato di fare fin dall’inizio. Anzi, la mia idea era quella di girare quasi tutto il film in quel modo, con pochissimi dialoghi, ma poi non è stato possibile.
Per alcuni, lo stile di quel film anticipa Herzog e il suo Nosferatu…
Non saprei. Conosco Herzog personalmente e credo che abbia fatto qualche buon film, Aguirre e L’enigma di Kaspar Hauser, ma il resto non mi piace granché. Il suo Nosferatu non mi piace affatto. Non aveva senso rifare il film di Murnau, che è un film meraviglioso, un capolavoro assoluto. Parlavo spesso di lui con Klaus Kinski che, come sai, è suo amico e mi diceva sempre che era pazzo, stupido e pretenzioso. Ma naturalmente anche Kinski è pazzo. Completamente.
Tra questo film e il successivo alcuni ruoli cambiano – Howard Vernon da Cagliostro diventa Dracula, Barboo diventa Morpho. Altri restano uguali: Dennis Price fa sempre il dottor Frankenstein e Fernando Bilbao la creatura. Mi dica qualcosa di Bilbao. Era la prima volta che lavorava con lui?
No, aveva già lavorato spesso per me. Era un ottimo cascatore, una vera forza della natura. Come attore non era granché, credo di essere stato io a offrirgli i primi ruoli.
Chi è, invece, Mary Francis, che interpreta una delle spose di Dracula?
È un’attrice spagnola. Lavora ancora oggi, con il suo vero nome, Paca Gabaldon. Ha fatto moltissimi film, in seguito, e anche tanto teatro.
Trovo molto efficace, a livello visivo, la prima apparizione di Britt Nichols, quando esce fuori dalla bara. Prima è ripresa in un fascio di luce, poi, quando si alza, è completamente in ombra. Il direttore della fotografia era José Climent. Cosa mi può dire di lui?
Che in quel film non era il direttore della fotografia, era solo l’operatore. Il direttore della fotografia era Raul Artigot ma in realtà le luci le ho quasi sempre fatte io, anche perché pochi tra i direttori della fotografia con cui ho lavorato avevano uno spirito creativo. Angelo Lotti era così, sempre pieno di idee e proposte, ma Artigot era un esecutore.
Lotti non è stato l’unico direttore della fotografia italiano con cui ha lavorato, vero?
Lui era bravissimo, l’ho avuto in Venus in Furs. In Italia lavorava poco perché era comunista. Poi Fulvio Testi, che ha lavorato molto in Spagna.
Anche in Dracula contra Frankenstein, come nel Conte Dracula, c’è la presenza degli zingari. Tra l’altro: mi è sembrato di riconoscerla in uno di loro. È possibile?
Sì, è vero.
Con l’entrata in scena nel finale dell’Uomo lupo è ancora più chiaro che si tratta di un omaggio ai film di Erle C. Kenton che chiusero il ciclo della Universal.
Sì, adoro quei film. Erle C. Kenton è un regista molto sottovalutato. L’ho scoperto con i film di Abbott e Costello, solo in seguito ho visto House of Dracula e House of Frankenstein. Era dotato di un’immaginazione straordinaria e non ha mai avuto il riconoscimento critico che avrebbe meritato. Così come Rowland V. Lee, William Whitney e John English, quelli del Misterioso Dottor Satana e della serie di Fu Manchu. Per me non esiste un cinema di “serie b”. Esiste un cinema di idee e un cinema senza idee. A meno che per cinema di “serie b” non si voglia intendere un cinema fatto con mezzi più ristretti o che tratta temi che il cinema di “serie a”. Ma sia un tipo di cinema che l’altro possono essere di qualità, o fare schifo.
In La maldicion de Frankenstein le parti con Esmeralda (Lina Romay) vennero girate in seguito, giusto?
Sì, qualche mese dopo. C’erano stati problemi con la censura, come al solito, e abbiamo dovuto aggiungere nuove scene al posto di quelle tagliate per raggiungere il minutaggio previsto.
Del film esistono due versioni differenti, una molto più esplicita in fatto di nudità. Ha girato le scene due volte? Perché?
Non le ho girate due volte. Ho quasi sempre girato solo versioni esplicite. Poi la censura cambiava le cose.
Alberto Prous, che figura come operatore, è parente di Montserrat?
È suo fratello. Ma con me lavorava anche un altro fratello, Juan, che faceva l’operatore e l’aiuto regista.
Sostanzialmente La fille de Dracula è un remake di La mano de un hombre muerto con in più i vampiri…
Sì, direi di sì.
Il personaggio interpretato da lei nel film sostiene che “il soprannaturale esiste. Non lo si può ignorare né prendersi gioco di esso”. La pensa davvero così?
Assolutamente. Il soprannaturale fa parte della vita di tutti i giorni.
E alla fine è proprio il suo personaggio a trovare la cripta con le bare dei vampiri…
Infatti.
Come mai il vampiro interpretato da Vernon viene ucciso con un paletto conficcato nella fronte anziché nel petto?
Volevo fare qualcosa di diverso! Tutto qua.
Ho letto da qualche parte che anche Dalbes era interessato all’esoterismo…
Sì, ma in maniera molto superficiale. Era un uomo intelligente, ma non colto.
Conosce i fumetti sexy-horror italiani come “Sukia” e “Jacula”? L’hanno influenzata?
Assolutamente. Mi piacevano tantissimo. In Spagna, naturalmente, erano proibiti.
Alcune fonti riportano un certo René Sylviano come autore delle musiche insieme a Daniel White. Chi è?
Un compositore francese, di Nizza, per la precisione. Ma il suo contributo è stato molto ridotto. Non era certo un musicista della caratura di Bruno [Nicolai, ndr] o di Daniel White.
Il film si rifà alla lontana a Carmilla e al filone delle vampire lesbiche. Cosa ne pensa degli altri film dello stesso filone? Il sangue e la rosa di Vadim, ad esempio.
Non è un brutto film, ma lo trovo troppo freddo, come tutti i film di Vadim che era un regista molto snob.
Il film non andò molto bene. Come mai?
Non ne ho idea, pensavo che avere nello stesso film Dracula e Frankenstein costituisse di per sé un ottima garanzia!
Tra il personaggio di Dracula e quello di Frankenstein quale preferisce?
Quello di Dracula! È molto più profondo, possiede una qualità letteraria altissima. Frankenstein, il Barone, non è che una vittima.
Anche in un film di fine anni ’80, Revenge in the House of Usher, ha mescolato personaggi eterogenei. Di questo film esistono due versioni, una spagnola e una francese…
Sì, ma io riconosco come mia solo quella spagnola.
Quella uscita in dvd purtroppo è l’altra, con estratti da Il diabolico Dott. Satana, in funzione di flashback…
Non c’entrano niente con il resto del film. È stato il produttore francese a volerli, perché riteneva che il film fosse troppo intellettuale, troppo interiorizzato e che mancasse d’azione. Io ci tenevo a restare il più vicino possibile al racconto di Poe, anche nei dettagli, con il trucco e i costumi.
Dal punto di vista tecnico, la messa in scena è molto teatrale. A parte alcuni momenti, è girato per intero all’interno del castello, per mezzo di lunghe riprese senza stacchi.
Sì, volevo che avesse un aspetto da film espressionista.
Lei dice che ha cercato di attenersi il più possibile al testo dello scrittore ma mette insieme Roderick Usher, Alan Arker e il dottor Seward.
Sono solo nomi, perché a me piace fare omaggi, ma i personaggi sono quelli del racconto.
Ha anche dedicato due film al personaggio di Fu Manchu, che insieme a Sumuru sono i primi film che ha girato per Harry Alan Towers. In un’intervista l’hai definito “un uomo intraprendente e pieno di idee ma anche incosciente”. Perché?
Perché era incosciente! E lo è stato tutta la vita. Sul piano professionale aveva tutta una serie di difetti, non era puntuale, pagava in ritardo. Certe volte non è stato nemmeno corretto con le persone con cui lavorava. Il problema era anche che faceva tante cose tutte insieme, troppe. Se Massimo Dallamano fosse vivo credo che avrebbe parecchie cose da raccontarti al riguardo, hanno fatto insieme Il Dio chiamato Dorian e altri film.
Maria Rohm era già la sua compagna quando l’ha conosciuto?
Sì. Poi si sono sposati e stanno ancora insieme.
Dove sono girati i due Fu Manchu?
In gran parte in Brasile, a Rio de Janeiro e in una località chiamata Toluca. Buona parte del secondo è girata a Istambul e solo alcune scene di raccordo in Spagna.
È sul set di questi due film che ha lavorato per la prima volta con Christopher Lee. Si ricorda il vostro primo incontro?
Certo. Io ero in Brasile già da qualche giorno, per preparare il film, stavo lavorando vicino a Capo Copacabana con il truccatore, Stuart Freeborn, che a un certo punto mi ha detto “ho visto arrivare Christopher Lee con una parrucca orribile”. E quando si è avvicinato per presentarsi gliel’ha fatto notare. Chris gli ha domandato come avesse fatto a capire che si trattava di una parrucca e ha sorriso nonostante si capisse che la cosa non gli faceva piacere.
C’era qualche differenza nel modo in cui Lee si comportava fuori e dentro dal set?
No. È sempre stato molto gentile e simpatico, però freddo, c’era sempre una certa distanza tra te e lui, come se non si volesse mai concedere del tutto. Ma questa è una cosa che riguarda tanti inglesi. Con il tempo è cambiato. Soprattutto dopo aver lavorato in America. Lì gli hanno offerto dei buoni ruoli, diversi dal solito, e quando molti anni dopo mi è capitato di lavorare nuovamente con lui, in Dark Mission, era una persona più socievole, più rilassata. Più umana. Quella distanza di cui ti ho parlato era sparita, non c’era più e di conseguenza anche il nostro rapporto è molto migliorato. Tutte le volte che mi è capitato di incontrarlo in seguito, a Londra o a Parigi, siamo stati benissimo. Adesso siamo ottimi amici.
Cosa gli piaceva fare quando non era impegnato sul set?
È un grande amante della musica, specie la lirica. E’ stata la musica a creare il primo contatto tra noi: io stavo suonando al piano – come sai l’ho studiato quando ero giovane – e lui mi si è avvicinato stupito, facendomi i complimenti per la maniera in cui suonavo. È stato così che ho scoperto che lui era anche un cantante d’opera, un ottimo basso. C’è un’aria del Falstaff che conosceva alla perfezione, immagino l’avesse fatta a teatro. Un’altra cosa che amava tantissimo era il golf. Poteva passare intere giornate a giocare a golf.
L’attore che interpretava Nayland Smith, la nemesi di Fu Manchu, in questi film era Richard Greene…
Un irlandese multi milionario. Qualche anno prima era stato il protagonista di una fortunatissima serie televisiva in cui interpretava Robin Hood (The Adventures of Robin Hood, dal 1955 al 1960, ndr). E dal momento che, in parte, di quella serie era anche produttore ha fatto tantissimi soldi. Miliardi, credo. Tanto che in seguito ha lavorato molto poco, si è ritirato e ha comprato una tenuta con tantissimi cavalli.
La figlia di Fu Manchu invece è interpretata da Tsai Chin.
Era un’attrice di Hong Kong, simpaticissima e molto intelligente. Dopo questi film ha deciso di trasferirsi a Londra, dove ha aperto un ristorante cinese. Ha continuato a lavorare in Inghilterra anche come attrice.
Si ricorda invece il nome dell’attrice che fa quel balletto sensuale in mezzo ai banditi ubriachi con indosso solo un velo trasparente?
No, ma era sicuramente una ragazza brasiliana.
Il capo dei banditi era Ricardo Palacios…
Sì, un attore con ambizioni di regista. All’epoca aveva fatto qualche film western con gli italiani. Io lo scelsi per il fisico, perché mi sembrava adatto per il ruolo. Poi credo che abbia davvero fatto il regista.
Tra i due film di Fu Manchu io preferisco il secondo. Mi sembra che ci sia una cura maggiore nella realizzazione, la fotografia è migliore. Lei cosa ne pensa?
Sono d’accordo con te, Castle of Fu Manchu è migliore, ma non credo si tratti di una questione di maggior cura. Il cast tecnico era lo stesso, il direttore della fotografia era lo stesso. In realtà non saprei dirti come mai è migliore del primo, forse perché i luoghi dove abbiamo girato erano più belli! Il palazzo dove abbiamo girato molte scene è proprietà dei Gaudì, un luogo meraviglioso che avevo già utilizzato prima e poi in Justine. Forse poi il fatto che Blood of Fu Manchu fosse il primo film con Towers implica che ancora l’ingranaggio lavorativo non era ben rodato, mentre quando abbiamo girato il secondo eravamo tutti più preparati al modo di lavorare e io mi sentivo più libero nelle scelte.
La scena iniziale del secondo film, con l’affondamento del transatlantico, è tratta da A Night to Remember di Roy Ward Baker. Di chi fu la scelta di includerla nel film?
Towers mi chiese di visionare tutta una serie di materiali di repertorio a Londra. Si trattava di una library immensa di materiali di scarto. Io e il mio montatore abbiamo passato al setaccio 5 o 6 ore di materiale e alla fine abbiamo scelto quella sequenza per l’inizio del film.
Anche il crollo della diga è materiale di repertorio, no?
Sì, anche quello. Faceva parte della stessa library ma non ti saprei dire da quale film provenisse.
C’è mai stata l’intenzione, durante la collaborazione con Towers, di girare un terzo Fu Manchu?
Non seriamente. Se ne è parlato ma poi io sono stato impegnato a fare altri film e anche se con Harry ci ripetevamo spesso che prima o poi avremmo fatto un terzo film su Fu Manchu, alla fine non l’abbiamo mai fatto. Diversi anni fa c’è stata la possibilità di girarlo, con una casa di produzione che diceva di avere i diritti per il personaggio ma io non gli ho dato retta più di tanto perché sapevo che li possedeva sempre Towers. Un giorno, poi, mi ha chiamato un produttore spagnolo dicendo che era intenzionato a girare un film sul personaggio con la regia di Alex de la Iglesia, chiedendomi se la cosa mi dava fastidio. Io naturalmente ho detto di no, che non era un problema, ma sapevo che alla fine non l’avrebbero fatto. Quando poi ho girato il film su Dr. Wong (ne ha girati due, La sombra del judoka contra el Dr. Wong e Dr. Wong’s Virtual Hell, ndr) è stato una sorta di omaggio a Fu Manchu, al terzo film che non ho mai fatto.
Sumuru è stato girato in contemporanea con uno dei due film?
No, solo la parte con Shirley Eaton. Le scene con lei sono state girate a Rio de Janeiro prima di Fu Manchu.
Che persona era?
Sul suo conto circolava una leggenda: correva voce che fosse una divoratrice di uomini, una bionda letale… Invece era tutto il contrario: una persona amabile, molto tranquilla, una borghese come tante altre, felicemente sposata, e una seria professionista.
E del protagonista maschile, Richard Wyler, cosa mi può dire?
Che all’epoca era un attore americano piuttosto celebre, veniva dal western. Era molto gentile e disponibile, un buon attore ma niente di più. Certamente non paragonabile a George Sanders…
Parliamo di lui…
Ah, un uomo meraviglioso. Lo conoscevo personalmente perché aveva da tempo una casa in Spagna e ci eravamo incontrati già diverse volte. Un attore eccellente, dotato di uno humour fantastico. Aveva alle spalle un passato misterioso e circolavano tante voci strane sul suo conto ma l’uomo che ho conosciuto io era amabilissimo e finemente educato.
Ha fatto una brutta fine, però…
Sì, si è ucciso qualche mese più tardi, in un albergo di Barcellona dove eravamo stati insieme. Non era qualcosa che lasciava vedere, né me ne aveva mai parlato – era molto riservato, al riguardo – ma dentro di sé era disperato. Aveva fatto i miliardi ma le mogli che aveva avuto, Zsa Zsa Gabor e le altre (Martha Gabor e Benita Hume, ndr) gli avevano portato via tutto quello che aveva.
Le musiche del film sono di Daniel White. Ha composto anche la canzone dei titoli di testa?
Quella l’abbiamo scritta insieme, con qualche piccolo apporto da parte mia. La voce era di Cleo Laine, invece, una cantante jazz che in seguito ha fatto anche piccole parti d’attrice.
So che la musica è un suo grande amore, tanto che spesso nei film compare proprio nelle veste di musicista.
Assolutamente. Sai chi è Don Wayans?
Un jazzista.
Sì, il sassofonista di Duke Ellington. E’ morto su un palco a Stoccolma, mentre faceva un assolo. Anche a me piacerebbe morire così: gridare “azione!” e poi crollare stecchito.
Molti degli pseudonimi che ha usato sono nomi di jazzisti celebri. Clifford Brown, Charlie Christian…
Sai quando ho usato uno pseudonimo per la prima volta?
No, quando?
Ero appena arrivato in Francia e Robert Hossein mi ha detto che chiamandomi Jesus di nome e Franco di cognome dovevo evidentemente rappresentare l’istituzione. E a me l’istituzione fa schifo! Così ho cominciato a firmare i film con Jess, anziché Jesus.
E gli altri?
Quando ero in Francia i sindacati avevano cominciato a fare storie perché giravo troppi film. Così anziché dirigere meno film ho cominciato a firmarli con tanti nomi diversi.
Torniamo un attimo a Sumuru: come giudica il film?
Non posso dire che sia un buon film ma credo che fosse piuttosto divertente. Ho accettato di farlo, oltre che per l’affetto che ho sempre nutrito nei confronti dei personaggi frutto della penna di Sax Rohmer, anche perché mi stimolava l’idea di filmare il carnevale di Rio, così libero e colorato. Tutte le cose che ho messo nel film, le maschere, i carri funebri, sono vere.
Come mai è finita la collaborazione con Harry Alan Towers?
Nessun motivo particolare. È finita come finiscono tante collaborazioni. Dal punto di vista umano siamo rimasti in buoni rapporti, quando ci vediamo ci diciamo sempre che faremo un altro film insieme, ma negli ultimi che abbiamo fatto insieme ci sono stati problemi dal punto di vista professionale che non mi facevano stare tranquillo, i ritardi nei pagamenti, ad esempio, questioni che mi impedivano di lavorare con tranquillità.
Nonostante lei abbia fatto oltre 200 film, mi sono reso conto che non ne ha mai fatto uno ispirato a un fatto storico. Come mai?
Perché la realtà non mi piace. Preferisco di gran lunga la fantasia. Ah, l’invenzione del cinema, Max Ophuls… Se mi fosse piaciuta la realtà avrei fatto dei documentari come quel cretino di americano (Michael Moore, ndr).
Né si è mai occupato di politica, nei suoi film…
Non ho mai voluto mischiare le mie idee politiche con il cinema. Sono un uomo di sinistra al 100%, un anarchico, ma ho sempre lasciato le mie idee fuori dai film che ho fatto. Sai cosa diceva Nicholas Ray al riguardo? Devi sapere che quando vivevo a Parigi lo incontravo spesso, eravamo buoni amici, e un giorno un giornalista si è avvicinato a lui mentre prendevamo un caffè e gli ha chiesto come mai non avesse mai fatto un film politico. Lui gli ha risposto “tutti i miei film sono politici. I film sono politici quando uno prende sul serio il suo mestiere”. Io sono completamente d’accordo con questa visione.
Che film ha fatto dopo Sumuru?
99 donne. Non avevo ancora finito di girare l’altro che il produttore mi disse “Domani bisogna andare in mezzo alla giungla per cominciare a girare il nuovo film”. “Benissimo!” dissi, io. Il giorno dopo eravamo in mezzo alla giungla a girare 99 donne!
Ma il produttore Harry Alan Towers racconta che lei ha finito di girare Sumuru in anticipo di una settimana e che le ha proposto di cominciare a girare 99 donne in quella settimana e che lei ha girato un terzo del film in sette giorni!
Non è affatto vero! E’ una bugia irlandese! A parte questo, avevamo alle spalle una produzione molto seria. Ho detto che se dovevo fare un film intitolato 99 donne me ne dovevano dare almeno 60. E loro me ne hanno procurato 90!
Devo ammettere che conosco poco i suoi WIP (“women in prison”), è un genere che amo poco, ma vorrei parlare di Los amantes de la isla del diablo: più che un film di donne in prigione è un melodramma…
Senza dubbio, è un melodramma. Adoro il melodramma, anche se non lo identifico tanto con i film di Douglas Sirk quanto con quelli di Jacques Tourneur e Max Ophuls. Nel mio film le scene di donne in prigione, con le inevitabili implicazioni sadomasochiste, occupano solo venti minuti, tutto il resto è al di fuori del genere.
Lei ha ambientato i suoi film di donne in prigione in Paesi sudamericani non meglio identificati. Eppure è impossibile non pensare che per lei fosse un modo di rappresentare il regime dittatoriale spagnolo.
Certo. La prova di questo è che 99 donne doveva essere non solo girato ma anche ambientato in Spagna, ma non fu possibile, la censura non ce lo permise. Alla fine dovemmo girarlo in Brasile.
Parliamo dei due protagonisti. Genevieve Deloir è molto bella, ha una piccola parte anche in Dracula contra Frankenstein. Come mai non l’ha più usata?
Perché era canadese ed era molto difficile averla a disposizione. In quell’occasione ci riuscimmo perché uno dei produttori era canadese.
Sa che è la moglie di Ivan Reitman, il regista di Ghostbusters?
No, non lo sapevo, ma non è che mi interessi molto di queste cose.
Cosa mi può dire, invece, di Andres Resino, il protagonista maschile?
È un attore spagnolo molto attivo ancora oggi, sia in teatro che in televisione. È il fratello di un celebre calciatore spagnolo dell’epoca.
Rosa Palomar era la secondina femminile. Che attrice era?
Un’ottima attrice di teatro.
Britt Nichols e Anne Libert hanno parti piuttosto piccole in questo film. Come mai?
Perché preferivo che avessero delle parti piccole ma belle, piuttosto che dei ruoli più importanti ma meno belli.
Le altre prigioniere, quelle più anziane, dove le ha prese?
Erano quasi tutte delle figuranti portoghesi.
Dove l’avete girato? Era una prigione davvero?
Un tempo lo era stata ma in quel momento era chiusa. Ora è un bellissimo albergo.
Il produttore era De Nesle. Che differenza c’è tra lui e Brauner?
Moltissima. Brauner era un vero produttore, lo è ancora, un uomo di cinema, appassionato e molto intelligente, che consoce benissimo il cinema; De Nesle un ignorante e uno stupido, credeva di essere furbo ma in realtà era un cretino, non capiva niente. Credo che avesse qualche disturbo mentale
Brauner è stato il produttore migliore con cui ha lavorato?
No, i migliori sono stati la Aip e Silberman, che con la Speva ha coprodotto Miss Muerte e Cartas boca arriba. È stato anche produttore di Bunuel.
Adesso sta lavorando a qualcosa?
Ho appena terminato di girare un film che si chiama Extraño interludio (diventato poi Snakewoman). Il titolo l’ho rubato all’opera teatrale di O’Neill. Si tratta di un film particolarmente malsano, un thriller parapsicologico. Poi sto per girare un horror intitolato La torre junto al cemeterio, ispirato a un racconto di Hawthorne.
Ripensando al passato ha qualche rimpianto?
No. Mi piace pensare sempre al domani, alle cose che ho ancora da fare. Sono una persona molto curiosa e ed è questa curiosità a tenermi in vita.
Ma c’è qualcosa che le sarebbe piaciuto fare e non ha mai fatto?
Sì. Girare un film con Peter Lorre.
Senta, lei ha ripetuto spesso di avere scarsa considerazione della propria opera, ma tra i tanti film che ha fatto, ce ne sarà qualcuno che le piace più di altri.
No. Ma ce n’è qualcuno che mi dispiace più di altri!
Nel senso che le dispiace di averlo fatto?
Nel senso che la lavorazione è stata troppo complicata. Più del dovuto.
Ad esempio?
Un paio di quelli fatti con Lesoeur, il produttore francese.
Quali?
Il sadico di notre dame e il secondo cannibalico.
E Oasis of the zombies? Come mai le due versioni? Le ha girate entrambe lei?
Sì, le ho girate entrambe io. Quella spagnola con Lina e Fajardo qualche mese dopo la prima, per motivi di coproduzione. È la migliore delle due.
Dei film di Romero cosa ne pensa?
I film di chi?
George Romero.
Mah. Non mi piacciono i morti viventi. Sono stupidi. Basta una spallata e cadono a terra.
Però anche lei ha fatto film di zombie.
Infatti sono brutti anche i miei!
Non ha mai girato un western, invece. Come mai?
Perché quelli mi piacciono!
Mettiamola così: ci dovrà pur essere qualche film tra quelli che ha fatto che disprezza meno degli altri.
Posso salvare due ore di girato in tutto quello che ho fatto. Non di più.
Crede che se avesse fatto meno film di quelli che ha fatto sarebbero stati film migliori?
No. Come sai, io mi considero un musicista di jazz che fa film. Dipende sempre da come ti senti, dall’umore, dall’ispirazione.
Quindi immagino che non le sarebbe piaciuto girare un film ogni cinque, dieci anni come Kubrick.
Per carità, no! Ho parlato spesso con Orson di questa cosa e la pensavamo tutti e due allo stesso modo. Anche lui girava tantissimo: la differenza è che poi lui buttava via quasi tutto e io non buttavo via quasi niente!
Si considera un regista maledetto?
Non mi considero in alcun modo. Detesto le etichette. In ogni caso preferisco pensarmi come un outsider o un marginale. La mia marginalità non mi ha mai pesato. È sempre meglio che essere il favorito del sistema. L’unica e sola morale è quella della tua coscienza, ed è quella che devi rispettare. Io la notte voglio dormire, non mi piace andare a letto con l’idea di essere un bastardo o un traditore.
Come le piacerebbe essere ricordato?
Non mi interessa essere ricordato.
(Un particolare ringraziamento a Francesco Cesari per la cura con cui ha riletto il testo e scovato errata, anche tra le “bugie” di Jess).