Nuove realtà associative si stanno unendo per salvare il cinema, in ogni parte del mondo. Durante dei sopralluoghi in Tunisia, ho incontrato Amine Messedi, socio fondatore di ATAC (The Tunisian Association of Action for the Cinema) e direttore della fotografia tunisino, con lui sono nate discussioni sul ruolo del cinema oggi nel suo Paese. Ed è subito esploso il racconto di un collettivo unito per portare avanti la memoria del cinema, i suoi film e le sale (ormai quasi scomparse).
Che cos'è ATAC?
ATAC acrononimo di “The Tunisian Association of Action for the Cinema” è nata nel 2011 da CIAC – collectif independent d’action pour le cinema – creato nel 2009 dalla collaborazione di tredici professionisti del cinema tunisino, formatisi in vari istituti arabi ed europei. Ci accomunava oltre che la mera nazionalità, il desiderio di rinnovamento politico ed artistico e la volontà fortissima di continuare a far cinema in un Paese completamente immobile. L'associazione, nata da questi minimi comuni denominatori, ha deciso di fornirsi per statuto di principi che difendono il cinema indipendente tunisino e il suo sviluppo, contrastando ogni tipo di censura diretta o indiretta. Atac, per statuto e per passione civile, desidera infatti un cinema libero materialmente e intellettualmente. La nostra associazione tenta di costruire un ponte tra la popolazione e i professionisti del settore, tra il cinema in Tunisia e il cinema nel mondo. Ha tra le finalità programmatiche la promozione del cinema tra la popolazione, la creazione di un'osservatorio attivo sullo stato del cinema tunisino, lo sviluppo di un legame tra il cinema tunisino e le nuove tecnologie e l'organizzazione di attività che contribuiscano a portare il cinema alle comunità meno abbienti in tutta la Tunisia.
Quale è stata la vostra prima azione dopo la fondazione dell'associazione?
Nel 2009, ancora sotto il regime di Ben Ali in Tunisia, si erano prodotti centinaia di film, tra corti e lungometraggi. Grazie alle nuove tecnologie e all'avvento del digitale a basso costo, alcuni giovani registi tunisini erano riusciti a superare le maglie della censura e a
immettere le proprie opere e la propria professionalità sul panorama cinematografico tunisino ed internazionale. Il governo, sotto le prime spinte rivoluzionarie che avrebbero trovato il proprio acme nella Rivoluzione del Gelsomino, aveva istituito una Commissione per la Riflessione e la Riforma del Settore Cinematografico, con l'intento di creare una sorta di Centro Nazionale per l'Immagine – alla stregua del CNC francese – distaccato dal Ministero della Cultura e quindi più libero dalle influenze governative – e quindi dalla censura. A questo tavolo avrebbero dovuto sedere i più influenti e riconosciuti registi, produttori e distributori tunisini.
Inizialmente con CIAC – e in quanto associazione giovanile – ci siamo presentati per poter partecipare al tavolo di riflessione, affinché fossimo noi a decidere del futuro, più nostro che loro. Il nostro apporto quell'anno non è poi stato preso in considerazione e per questo motivo abbiamo deciso di creare una sorta di commissione informale che coinvolgesse i giovani professionisti del settore di tutta la nazione. In circa due mesi e mezzi di intensissimo lavoro, dibattito e riscrittura il nostro gruppo stabile di tredici persone – con l'apporto più che fondamentale di altri cento professionisti – ha prodotto un corposo dossier contenente le linee guida da noi dibattute per la gestione e lo sviluppo del cinema indipendente tunisino.
Quando siamo tornati a bussare alle loro porte perché lo leggessero, inizialmente non siamo stati accettati, nonostante quello stesso gruppo creato ad hoc per produrre un dossier interno alla Commissione per la Riflessione e la Riforma del Settore Cinematografico, non fosse arrivato a nessun tipo di deliberazione e prodotto. In un secondo momento però il Ministero, di fronte alla nostra dettagliatissima riflessione e di fronte allo stallo della Commissione, ha voluto includerci al tavolo di discussione.
Che tipo di azioni avete finora portato avanti?
Oltre ad una capillare presentazione della nostra associazione sul territorio, le nostre azioni hanno lo scopo di creare partecipazione attorno al processo di produzione, distribuzione e alla fruizione del prodotto cinematografico.
La nostra prima azione ufficiale è stata quella di invitare ad una tavola rotonda varie figure professionali del settore cinematografico, affinché potessero discutere leproprie difficoltà professionali e attraverso il confronto con altri professionisti e con il pubblico. La seconda azione è stata quella di creare un atelier itinerante di cinema d'animazione per bambini, affinchè potessero apprendere gratuitamente teoria e tecnica di questo genere di cinema. La terza azione è stata quella di girare per scuole e villaggi disagiati tunisini portando in visione i classici del cinema, tentando di mantenere la cadenze di queste visite a cadenza settimanale con un sistema di volontariato e di auto-sovvenzione in parte interno e un finanziamento esterno all'associazione di AFAC ARAB FUND FOR ART AND CULTURE AU LIBAN.
La nostra quarta attività “Mon Cinéma à Moi”, un'azione cittadina di sensibilizzazione di fronte alla scomparsa dei cinema in Tunisia, ha una fisionomia ibrida, tra l'azione politica e l'azione di arte pubblica. Abbiamo infatti chiesto ai cittadini tunisini – tramite i social network, i nostri contatti associazionistici e municipali – di fotografare le sale cinematografiche o l'esterno dei cinema che in passato avevano frequentato e che attualmente erano stato abbandonati, trasformati in negozi, ristoranti o altro. All'azione hanno partecipato moltissimi cittadini in prima persona. A Tunisi, nella nostra sede, sono infatti arrivate bellissime foto, di grande impatto emozionale. Le stesse sono state esposte nella via principale di Tunisi, Habib Bourguiba Avenue, durante le Giornate del Cinema di Cartagine accompagnate dalle riflessioni dei singoli cittadini. Lo scopo era quello per noi di tradurre in azioni e immagini la relazione tra i cittadini tunisini e il cinema, permettendo a essi stessi di diventare attori attivi nella difesa dei diritti civili e culturali negati dalla dittatura e dalla crisi del sistema cinematografico tunisino. Ciò che ora desideriamo di più è che questa passione civile rimanga viva e naturalmente che le uniche tredici sale tunisine rimaste aperte dagli anni Settanta diventino centinaia, o migliaia.