In un documentario del 1982 dall’infernale titolo Room 666, Wim Wenders riprendeva con la camera fissa una serie di registi intenti a profetizzare il futuro del cinema. Alle spalle una televisione proiettava immagini che non sembravano recare alcun fastidio all’interlocutore, a parte uno spiccato interesse dimostrato da Godard per un match di tennis.
A 30 anni di distanza, consapevoli del fatto che la televisione non sia riuscita a divorarsi il cinema, Side By Side, diretto da Chris Kenneally e intelligentemente prodotto e condotto da Keanu Reeves, si interroga sul futuro del cinema: il digitale. Entro il 2014 tutte le sale cinematografiche proietteranno in digitale, dall’altro lato della filiera i registi stanno assistendo a un’evoluzione incredibile del potenziale offerto dalle nuove tecnologie e si interrogano su come poterli utilizzare, piloti inconsapevoli di investimenti plurimilionari delle multinazionali.
Il documentario, anche se può sembrare il solito lavoro per tecnici del settore, mette in luce sfaccettature molto interessanti sull’impatto che il digitale sta avendo nel mondo economico e nel modo di pensare delle grandi case di produzione. Se nel numero 3 ci siamo soffermati sull’impatto che il digitale sta avendo in particolare su esercizio, distribuzione e conservazione filmica, il lavoro di Kenneally impone una riflessione sul modo di produrre i film oggi e come registi e direttori della fotografia stiano rivoluzionando il modo di progettare la regia di un film.
Side by Side consacra il lato artigianale del cinema, quello fatto di persone che con ingegno e fantasia arrivano a creare un prodotto atto a soddisfare le proprie esigenze per girare determinate sequenze e involontariamente ideano un nuovo marchingegno pronto a essere perfezionato per il mercato di massa. Gli stessi step sono stati intrapresi in campo fotografico: negli anni novanta, giganti come Canon e Nikon non avrebbero immaginato che il mercato di macchine semiprofessionali avrebbe sfondato dopo dieci anni. La rapida connessione al mondo di internet e la possibilità di condividere immaterialmente ricordi ed esperienze ha portato milioni di utenti a possedere strumenti la cui fruibilità è direttamente proporzionale al loro basso costo. Forse se nel 1998 Vintenberg, seguendo gli ovvi limiti imposti dal manifesto Dogma 95, non avesse usato una telecamera digitale per girare Festen vincendo la Palma d’oro a Cannes, la Sony non avrebbe cominciato a pensare che questi strumenti avrebbero potuto avere un futuro, sia nel campo professionale che in quello amatoriale, democratizzando la possibilità di fare cinema.
Ma, aldilà della presunta maggiore libertà (ancora tutta da verificare), cosa comporta questo cambiamento nel modo di produrre e realizzare i film?
Dal punto di vista economico si tratta di un grande risparmio in termini di pellicola e continuità nelle riprese (una bobina di 35 mm era sufficiente solo per 10 minuti); i costi di postproduzione però sono enormemente aumentati a scapito di quelli relativi al costo delle tecnologie, sempre più light, ma sempre più sofisticate. Inoltre la leggerezza e l’agilità delle telecamere digitali non tiene il confronto con le pachidermiche cineprese a 35 millimetri, il cui utilizzo per la camera a mano ha sempre imposto notevoli limiti. A livello registico, le riprese in un ghetto di Bombay, come quelle di The Millionaire non si sarebbero mai potute realizzare con le macchine classiche, ma sono state rese possibili grazie ad operatori/runner che alimentavano la batteria delle compatte digitali con computer protetti negli zaini.
Ma il versante più curioso, su cui il documentario si sofferma, è la collaborazione tra multinazionali e settore artistico che si sta rafforzando in maniera decisiva: non è raro, come nel caso di David Fincher, ottenere un modello di camera personalizzato per girare determinate sequenze. In The Social Network, il regista si rese conto che nella scena della gara di canottaggio tra Harvard e Cambridge il peso di 5 chili della Red avrebbe sbilanciato pericolosamente le sottili imbarcazioni. La Red ovviò al problema costruendo un modello dall’anima in carbonio del peso di soli 2 chili appositamente per il film. Ma ci si può spingere oltre, direttori della fotografia come Philippe Ros modificano di continuo i loro strumenti tecnici per adattarli a situazioni non sempre comuni. Recentemente Ros ha tenuto una serie di conferenze sullo sviluppo del digitale alla Cinématheque di Parigi, puntando l'attenzione su come i direttori della fotografia siano alla continua ricerca di come poter migliorare le prestazioni della macchina in condizioni ambientali nuove. Il caso delle riprese subacquee di Oceans è emblematico. L’intera squadra di direttori e operatori alla fotografie hanno portato alla creazione di vere e proprie camere con specifiche tecniche simili a quelle utilizzate a bordo dei sottomarini militari.
Tornando a Side by Side, si avvicendano le testimonianze degli entusiasti del digitale: le nuove strumentazioni danno più flessibilità e creatività a livello registico, permettendo di fare movimenti prima nemmeno immaginabili, per non parlare dell’istantaneità dell’immagine ripresa. Un tempo c’era, parole di Scorsese, un terribile periodo di sedimentazione tra un girato e l’altro: i daily dovevano essere sviluppati per essere visionati e le notti attanagliavano i registi nel timore di aver sbagliato una luce retroproiettata o una messa a fuoco. Il giorno dopo era troppo tardi, a meno di non sforare dal piano di produzione. Le potenzialità del digitale sono poter catturare tutto e subito, offrendo la possibilità di correggere fuochi e luci appena terminata la ripresa: pratiche che i nativi digitali ritengono ormai naturali ma i padri del cinema considerano come una vera e propria rivoluzione.
Godard in Room 666 afferma che il compito del cinema è quello di ricreare mondi immaginari. La differenza tra un teatro di posa totalmente ricostruito e un render su pc è inesistente a livello teorico; in entrambi i casi si tratta di materiale non reale; appositamente ideato che ricostruire il mondo reale. Però se chiedete ad un pittore di iniziare a dipingere con l’ultima versione di illustrator la sua tavola, rinunciando ai pennelli ad olio, rimarrebbe alquanto inorridito all’idea. Il cinema dalla sua nascita è corrisposto al suo supporto, la pellicola. Ora siamo giunti, nelle parole di Keanu Reeves, a un momento in cui il divario qualitativo tra digitale e 35mm si è praticamente colmato e Side by Side vuole essere la testimonianza di un momento di transizione storica importante per il futuro del cinema e i modelli economici dominanti a Hollywood. Resta una domanda: l’abitudine appiattirà lo sguardo degli spettatori cancellando la consapevolezza che un giorno guardavano un altro tipo di immagini?