Venezia 2012, ultimi giorni di programmazione. Sala grande: Bellas Mariposas. Eccitazione. Nell’attesa si discute dei film italiani di Orizzonti (Di Costanzo, Mereu, Di Matteo).
Alice Rohrwacher si lancia: non si può più parlare di “politica degli autori”, di film che vivono del nome dei loro “autori” (uno per tutti, Marco Bellocchio), e nemmeno più della “politica delle opere” (una per tutte, l'impari This Must Be the Place di Paolo Sorrentino). Bisognerebbe tornare a ragionare in termini di metodo, di “politica del metodo”, criterio potenzialmente rivelatore almeno per quanto riguarda il cinema italiano.
Non chi è, non cosa ha fatto, ma come lo ha fatto. Certo, non tutti i metodi sono uguali e quelli rivelatori possiedono presupposti specifici. Ma quali? Quando ci si riferisce al metodo in termini di “politica”, vuol dire che si sta parlando di quel complesso, inesplorato, pioneristico modello produttivo e creativo che incrocia vie diverse, spesso molto personali.
Ognuno di questi autori per compiere la propria opera s’è inventato un metodo.
Non parliamo, per intenderci, del metodo produttivo/creativo più o meno classico, come quello – per rimanere a Venezia – messo in atto per Gli equilibristi. Come facciamo a saperlo? Basta vedere il film, tragicamente vecchio nella forma e nei modi. Il nostro è un criterio induttivo, e quindi discrezionale (e quindi fallace). Si deve partire dalle opere, e solo da quelle che giungono diverse e nuove, per scendere nel loro meccanismo e riemergere con una diversa e nuova teoria, legata al fare.
D’altronde, come è noto, i registi, quelli che maggiormente amiamo, sono più intelligenti dei critici.
E così, Leonardo Di Costando, per L’intervallo, ha impiegato 10 mesi di prove e di ricerche prima di girare un solo fotogramma, dopo aver scritto una quantità infinita di versioni per una sceneggiatura che è diventata “carta straccia” nella bocca dei suoi giovani attori, realizzando allo stesso tempo un film che sembra un atto unico teatrale per quanto è calibrato e preciso nella scansione drammatica.
Salvatore Mereu si è trasformato produttore di se stesso per adattare un romanzo impossibile come quello di Atzeni (soliloquio unico, e poetico, di una ragazzina sboccata). Anche lui arrivando a girare dopo un percorso lunghissimo, partito dai laboratori di cinema con gli adolescenti di Cagliari, passando per un film intermedio e di grande fascino come Tajabone e per arrivare alla libertà d’invenzione di Bellas Mariposas (insomma forse Mereu non avrebbe raggiunto la libertà espressiva e la capacità di intendere il gesto degli adolescenti se non avesse girato Tajabone).
Lo ribadiamo: i film italiani che più di altri hanno dimostrato capacità e invenzione, rinnovando stili e storie, sono quelli che hanno saputo definire percorsi e metodi originali, spesso fuori dalle solite dinamiche produttive, altre volte – più raramente – dentro di esse.
Di Costanzo, Mereu, Comodin, Maderna, Marcello, Rosi, Frammartino, Marazzi, Rorhwacher… Sono questi gli autori che hanno imposto un altro cinema perché forti di un loro metodo produttivo e quindi creativo. Non si pensi, a scanso di equivoci, che le loro opere, pur mosse da uno spirito autarchico, non siano state definite da progetti produttivi importanti, anche quando a basso budget. L'intervallo di Leonardo Di Costanzo, ad esempio, è un film molto prodotto, e il suo artefice, Carlo Cresto-Dina è tra quei pochi che hanno un progetto che va al di là delle opere stesse, teorizzando proprio la supremazia del metodo.
Anche dal punto di vista critico (e c’è chi lo fa da lungo tempo), il criterio e lo studio del metodo può portare alla definizione di una teoria del cinema altro, dell’Altro Cinema. Molti sono gli spunti, da cercare anche dentro sistemi complessi e oliati ma pieni di margini. Ad esempio, non c’è niente di più eccitante, per capire il cinema di Matteo Garrone, che studiarne il metodo, così calibrato sulle sue esigenze (si tratta di uno dei pochi registi che ottiene di tornare a girare a metà montaggio, a set chiuso, seguendo una pratica quasi da romanziere).
Sembrerà banale, eppure crediamo che solo fondando un nuovo immaginario e una nuova politica legata al metodo si possa arrivare a un rinnovamento per il cinema italiano.
In questa sezione troverete due approfondite conversazioni con Di Costanzo e Mereu, e una tavola rotonda con una serie di autori “corsari” alle prese con istanze di indipendenza produttiva. Da queste pagine esce già qualche indicazione precisa, per chi la volesse cogliere.