L'orrore che emerge nel quotidiano, che si insinua nelle pieghe della vita di tutti i giorni, negli anfratti degli ambienti domestici, che si annida tra le persone normali. Questo è stato l'assunto con cui Kurosawa Kiyoshi ha declinato il genere j-horror fino a confluire nel suo penultimo lavoro, un'opera di svolta e allo stesso tempo un approdo, Tokyo Sonata, dove gli elementi orrorifici non sono più di carattere soprannaturale ma vengono incarnati dalle piaghe della nostra società: le lunghe file agli uffici del lavoro, la guerra in Iraq che arriva nelle nostre case attraverso la televisione, la famiglia disfunzionale. Kurosawa ha fatto così quel salto tipico di molti registi che realizzano film di genere nella prima parte della loro carriera: come Brian De Palma, David Cronenberg, il regista giapponese arriva ad esprimere le proprie ossessioni uscendo dall'ambito delle convenzioni cinematografiche che ormai gli stavano strette.
Il passo successivo è rappresentato da questa serie tv, Shokuzai, per il Wowow Entertainment Channel, in cinque puntate andate in onda tra gennaio e febbraio 2012. Ancora il regista evita il thriller soprannaturale ma confeziona un giallo dal classico whodunit riassumibile nella formula “chi ha ucciso Emiri?”, generando un'attesa di puntata in puntata.
Le inquietudini kurosawiane albergano stavolta negli ambienti scolastici, tra i bambini, nelle aule e nelle palestre, nelle festicciole di compleanno, nella famiglia. E Kurosawa nell'incipit arriva a osare ben di più persino del Lynch di Twin Peaks, infrangendo un tabù, quello dell'infanticidio, e arrivando alla situazione aberrante in cui il cadavere della bimba brutalmente uccisa viene scoperto proprio dalle sue stesse amichette e compagne di gioco. Il primo episodio inizia con l'ingresso in un'aula delle scuole primarie di Emiri, una nuova arrivata in classe, proprio colei che a breve verrà assassinata. E la maestra invita i compagni ad accoglierla nella sua nuova città, Ueda, decantandone la qualità di vita, il verde e l'aria pulita. Ma Kurosawa in ogni panoramica della città mostra come questa sia sovrastata dall'imponente ciminiera di un inceneritore, un primo segno disturbante, il primo dei tanti sberleffi di cui è costellata l'opera.
Le amichette di Emiri sono testimoni oculari, avendo visto il volto dell'uomo che si è portato via Emiri, ma non riescono a fornire un identikit che possa far rintracciare il colpevole. E, trasgredendo una delle regole cardine della detective story cinematografica, la faccia dell'assassino è mostrata anche agli spettatori, pur fuggevolmente dopo una serie di inquadrature che lo ritraggono di spalle. L'assassino è una creatura evanescente, l'equivalente dei fantasmi del cinema precedente del regista. Kurosawa mette così il pubblico nella stessa situazione di impotenza delle bimbe, invitandolo a cercare invano di individuare quel volto tra i personaggi nei vari episodi. E alla fine Kurosawa gioca ancora con le aspettative spettatoriali eludendo i meccanismi di risoluzione deduttiva o induttiva dell'enigma del giallo classico. Il colpevole verrà identificato in modo puramente casuale attraverso il riconoscimento della sua voce, nemmeno quindi della faccia, da parte di una delle superstiti all'interno di una situazione palesemente inverosimile, ricordarsi una voce a distanza di quindici anni. Un meccanismo che ricorda il primissimo Dario Argento che faceva giungere all'assassino attraverso l'identificazione del verso dell'uccello dalle piume di cristallo.
Ogni episodio della serie quindi segue le tre ragazze superstiti dopo quindici anni. La vita di ognuna appare irrimediabilmente turbata dagli incubi del passato e ogni volta ricompare la madre di Emiri che le tampina nella speranza che, sbloccando il proprio rimosso, possano individuare finalmente il colpevole. Asako rimane giovane – ancora un elemento di palese inverosimiglianza –, mentre tutti gli altri personaggi sono cresciuti e invecchiati, è sempre la stessa persona di prima, come se preservasse le energie vitali per consumare la sua vendetta. E il film si costruisce su un continuo andirivieni temporale di quindici anni, tra passato e un futuro non certo brillante, dove, a ogni ritorno in flashback sul luogo del delitto, vengono svelati dettagli di quello che era successo.
Ogni episodio serve in realtà a Kurosawa a esplorare ulteriori elementi disturbanti all'interno del mondo scolastico, della famiglia, del matrimonio. L'orrore del primo matrimonio che diventa un incubo consumato nel feticismo, i figli illegittimi, i triangoli amorosi, la tendenza ninfomane della fiorista del quarto episodio che continua ad andare a letto con uomini sposati. E ancora, sberleffo supremo all'interno della messa in discussione dell'istituzione scolastica e dell'educazione, la scoperta che l'uomo che ha seviziato e ucciso la bambina è un fautore del metodo steineriano.
La famiglia è tema centrale nel cinema giapponese, partendo dal cinema classico di Ozu per arrivare alla disgregazione e alla distruzione di opere contemporanee come Visitor Q, Crazy Family o Cold Fish. Kurosawa conosce bene il cinema del grande maestro, essendo stato allievo di uno dei suoi più importanti esegeti, Hasumi Shigehiko (come dichiarato per esempio nell'intervista per asiaexpress), e incarna una sorta di Ozu sick e postmoderno di un Giappone alienato, ripercorrendone le tematiche, come il matrimonio combinato nel primo episodio, il declino del sistema patriarcale, il padre assente e la famiglia apparentemente tronca visto che fino alla fine il marito di Asako sembra inesistente.
Un film sulla vendetta che si perpetua, con echi della tragedia classica, dove Kurosawa realizza delle memorabili scene madri come quella dello sgozzamento, nel terzo episodio, con l'accompagnamento inusuale di cornamuse. Oppure, alla fine del primo episodio, l'incontro delle due signore in nero – la protagonista che ha appena ucciso il marito e la madre – che si stagliano sulle onde rilucenti della baia di Tokyo, luogo kurosawiano per eccellenza, già teatro del “passaggio di Caronte” di Retribution e di Tokyo Sonata, con l'oscillazione continua e destabilizzante della superficie del suo mare. L'acqua diventa elemento materico che torna anche nella scena della piscina, nel secondo episodio, in cui i ragazzi sono spettatori, a mollo, di un bizzarro duello e di un feroce accoltellamento: tutto torna nel finale in cui le atmosfere umide e brumose, che ammantano il luogo del delitto, rendono palpabile quella dimensione irreale in cui si muovono le esistenze fragili e le silhouette fantasmatiche del cinema di Kurosawa.