Il cinema di Mia Hansen-Love non è un cinema pop e non lo sarà mai. I suoi film sono etichettati facilmente dai critici come cinema al femminile, sensibile e raffinato ma pur sempre segnato da un’estetica “da brava ragazza”. Nonostante questo, Un amore di gioventù, terzo film della giovane regista francese, è l’opera di una vera cineasta: uno sguardo fine, profondo e aperto al mondo che stupisce per la capacità di fare dialogare spazi interiori con paesaggi e architetture del mondo estero, a volte come se fossero riflessi, altre volte catalizzatori delle vite sentimentali. In fondo il tema centrale è proprio lo spazio dell’amore: quello che occupa nella vita e quello occupato in una relazione. “Per me l’amore è tutto, l’unica ragione di vivere” dice Camille. “Ti amo Camille, ma tu vorresti essere tutto per me, non è possibile” dichiara il suo compagno. Da questa tensione fra i due amanti inizia la difficile educazione sentimentale della giovane Camille, una cronaca intima che la regista rintraccia con grande pazienza e delicatezza, senza compiacimento cerebrale e narcisista. Un percorso le cui tappe, invero molto canoniche, sono il superamento del primo amore, la costruzione di una nuova relazione con un altro uomo e il lento (ri)-crearsi di un equilibrio interiore. Anche se la storia raccontata è in fondo abbastanza semplice, la regista dimostra una grande maestria nella narrazione. Possiede un senso del romanzesco che le permette di lasciarsi andare a digressioni narrative che magicamente intensificano gli altri momenti del racconto e che danno l’impressione di osservare una vita, e non soltanto una storia.
Camille ha 15 anni e vive un amore pieno, passionale, con il diciannovenne Sullivan. Quando lui decide di partire per l’America del Sud per dieci mesi, Camille soffre intensamente, tanto che quando dopo qualche tempo riceve la sua lettera di rottura, la ragazza disperata commette un tentativo di suicidio. Uscita dall’ospedale, Camille cambia: comincia a studiare architettura e lentamente a vivere, ma continua a rifuggire la relazione con un altro ragazzo. È solo l’incontro con il professore Lorenz, un uomo cinquantenne, che le permette di ritrovare una forza interiore e aprirsi verso il nuovo amore. La loro relazione sembra stabile e armoniosa quando, d’improvviso, Camille incrocia Sullivan: l’amore passato risorge dal profondo e la ragazza si trova di nuovo dipendente dalla relazione con Sullivan, ma lui fugge lasciandola, ormai adulta, a riattraversare i luoghi del loro amore con Lorenz.
Fin dall’inizio Camille e Sullivan sono opposti nella concezione dell’amore e della reciproca dipendenza. “Mi piacerebbe che riuscissimo a non dipendere troppo l’uno dall’altro. Ho paura divenga troppo difficile dopo… Non ti rendi conto di quanto sia difficile addormentarmi senza di te, svegliarmi senza vedere il tuo viso” dice Sullivan, che attraversa lo spazio cittadino in bici o in moto, sempre in movimento, come se faticasse a fermarsi. Attaccato alla libertà e ai progetti personali, il ragazzo è convinto di dover partire per “ fare qualcosa di costruttivo, per lavorare, per imparare qualcosa di nuovo, per diventare una persona vera”. È molto critico verso Camille, verso la sua visione dell’amore: “Non puoi riversare tutto su di me. Bisogna che tu viva la tua vita. Bisogna che ognuno faccia delle esperienze da poter condividere”.
Queste diverse architetture dell’amore continuano a esistere e si radicalizzano quando Sullivan è in viaggio e si racconta nelle sue lettere a Camille: “Come posso condividere le mie esperienze con te, come posso raccontarti i miei viaggi se ogni dettaglio ti ferisce, se tu pendi tutto come un insulto? Si direbbe che ogni cosa che io viva, la stia vivendo contro di te”.
Le sequenze di montaggio che raccontano la loro corrispondenza epistolare risultano molto discrete e raffinate. Momenti della vita quotidiana al liceo di Camille sfilano sotto la voce fuori campo di Sullivan, le cui parole possiedono l’eleganza romantica delle lettere garrelliane. Tra immagine e testo si creano suggestivi rimandi: Camille è nella casa in campagna, dove ha vissuto i più bei momenti della sua storia con Sullivan, quando legge una delle sue lettere più intense. Camille vaga nel paesaggio invernale, freddo e triste, mentre la lettera di Sullivan racconta come lui stia vivendo una sensazione di pienezza in un rifugio nel mezzo di una meravigliosa foresta selvaggia. Si crea così uno strano connubio di passato e presente, distanza e falsa prossimità, aridità e profondità tra un paesaggio vissuto e uno raccontato.
Dopo il tentativo di suicidio, Camille è cambiata: ha i capelli tagliati, frequenta l’università a cui alterna lavoretti da hostess per i quali si trasforma, involgarendosi. L’isolamento emotivo di Camille si proietta nelle sue architetture, come nota un professore commentando un suo esercizio: “La tua residenza è più adatta a una vita solitaria che ad accogliere una comunità. Quello che hai immaginato è un monastero”.
Il pregio della scelta di fare studiare architettura a Camille è evidente: permette di mettere in relazione elementi della teoria dell’abitabilità con la psicologia umana. La questione di come si deve costruire una casa si sovrappone con la ricostruzione interiore della giovane di fronte al trauma. È qui che agisce Lorenz: “bisogna riprendere tutto dall’inizio e ripensare l’edificio dall’interno, dall’oscurità, come se partiste da una massa d’ombra”. Critica i progetti dei suoi allievi perché considerano scontata la luce: “vi avvicinate alla luce in una maniera troppo scontata… è il luogo dell’espressione di un dubbio”. Le scene d’insegnamento manifestano un certo gusto di Hansen-Løve per la dizione stilizzata, una dizione più interessata all’estetica sonora di un ragionamento che al naturalismo dell’espressione, mentre il resto film si dedica a filmare gesti e sentimenti con un grande realismo.
Lorenz non sembra avere un immediato impatto emotivo immediato su Camille. Il personaggio si introduce con grande autonomia, svincolato dal punto di vista della ragazza: solo durante il corso di un viaggio di studio all’estero, Camille conosce veramente il professore che poi riempirà il vuoto lasciato da Sullivan e diventerà un maestro di vita. Anche se lui sta divorziando, non condivide l’atteggiamento rancoroso di Camille di fronte al passato: “aspetto solo l’avvenire. Per me questi ultimi anni, prima del nostro incontro, non sono niente”. Lorenz la invita a pensare in un altro modo: “Ma la vita non sarà mai come la immagini. Solo tu puoi trasformarlo, facendolo diventare qualcosa di profondo, di vero… Solo così diventerai te stessa”. Un dialogo esistenziale detto nel traffico di Place de la Concorde, uno dei punti nevralgici della città, un luogo pubblico allo stesso tempo maestoso e caotico. Secondo passo verso un’apertura di Camille già insita nel loro primo incontro durante l’escursione al sito balneare danese (il famoso Kastrup Sea Bath): sul mare, in un luogo solare e pieno di vita, che preannuncia il movimento di estroversione più generale, caratteristica della seconda parte del film.
Quando Sullivan risorge, Camille gli descrive il suo rapporto con Lorenz come qualcosa che l’ha trasformata e le ha dato forza, però si trova presto a ricadere nell’amore, nella pienezza e la dipendenza assoluta. Finché arriva una nuova lettera di Sullivan: “Ti lascio perchè è troopo tardi o forse troppo presto per ricominciare… Ti lascio perchè non so come vivere con questo amore che non so gestire… “.
Un’ellissi riporta alla casa di campagna di Camille per un finale, che – nella sua mancanza di definizione – trova la sua forza. È estate: la ragazza è in vacanza con Lorenz, la loro relazione sembra armoniosa, Camille appare diversa, più forte. Il suo cappello vola via, ma non le importa, alla fine lo lascerà fuggire sull’acqua del fiume. Il resto è suggerito dalla musica che parte in quel momento, la canzone The Water di Johnny Flynn che canta insieme a Laura Marling. Una musica luminosa e serena come quella giornata: “All that I have is a river / The river is always my home…The water sustains me without even trying / The water can’t drown me, I’m done / With my dying.”
La canzone è rappresentativa della grande leggerezza e serenità con cui il film rintraccia percorsi sentimentali nell’arco di un decennio. Solo raramente si cade nel cliché o nel kitsch (si pensi per esempio alla scena della coppia che monta il cavallo insieme in campagna: la rappresentazione della forza del loro amore, non aveva bisogno di questa visione idillica in chiave pony). Comunque, se la qualità della scrittura e della messa in scena è grande, bisogna attribuire il giusto merito all’attrice che interpreta Camille, Lola Créton, capace di rendere le varie stagioni descritte nel film con una grande credibilità. È raro vedere un’attrice giovane con un viso in grado di raccontare un paesaggio interiore così mutevole e vario. Lola Créton ci riesce con grazia e facilità. Il suo volto da solo crea mondi possibili. Sicuramente una nuova speranza per il cinema francese di cui aspettiamo con curiosità le nuove prove.
Un amore di gioventù (Un amour de jeunesse), regia di Mia Hansen-Løve, Francia/Germania 2011, 110′