La polemica è esplosa subito sul web da quando si è saputo che i due film evento della stagione cinematografica estiva non verranno distribuiti in Italia con le stesse tempistiche della release americana. Dopo alcuni anni in cui ci eravamo abituati alle distribuzioni internazionali (più o meno) sincronizzate, tutto va alle ortiche con i due film più attesi dell’estate: Prometheus, uscito sugli schermi americani dall’otto giugno, e The Dark Knight Rises la cui distribuzione partirà il venti luglio. Il nuovo e attesissimo film di Ridley Scott arriverà nel Bel Paese con ben quattro mesi di ritardo, pare a causa della campagna promozionale che prevede lo sbarco in Italia della pellicola accompagnata dallo stesso Scott alle prese con un fittissimo tour internazionale. Il terzo capitolo della trilogia di Batman, invece, approderà nelle nostre multisale il 29 agosto, con un ritardo di più di un mese rispetto al resto del mondo.
I motivi di queste dilazioni non sono chiari e le due case di distribuzioni hanno scelto di non rispondere alle richieste dei fan che a suon di petizioni online e di rimproveri sulle rispettive pagine Facebook chiedono all’unisono un aggiustamento anticipato delle uscite italiane. Nel frattempo, si insinua il fantasma della pirateria. Molti hanno giustamente osservato che il rinvio alimenterà il reperimento dei film su canali illegali. Altri, invece, cercando di comprendere le scelte di Fox e Warner, hanno suggerito l’ipotesi di una preoccupazione tutto sommato trascurabile per la pirateria italiana: la distribuzione differita denota una certa cecità e un atteggiamento vecchio stile nella gestione delle release che rispecchierebbe una presunta vecchiezza delle spettatore medio, tecnologicamente poco alfabetizzato e disinteressato a ciò che succede sugli schermi dall’altra parte dell’oceano.
Ora, sarebbe fin troppo facile confutare queste ipotesi; invece, è più interessante indagare una prospettiva capace di mettere a confronto le dinamiche piratesche e il risultato di un prodotto cinematografico. Sebbene non ci sia una posizione univoca e definitiva sugli effetti della pirateria sul prodotto cinematografico, soprattutto se si cerca un raffronto tra le ricerche indipendenti e quelle commissionate da MPAA, FAPAV e Univideo (che spesso non condividono metodologie e basi di dati), la letteratura specialistica in materia di pirateria, da alcuni anni a questa parte, ha sollevato la necessità di riformulare le ipotesi di un effetto sostanziale del file sharing nell’abbattimento dei consumi culturali.
In generale le ricerche più interessanti sono quelle che, tutto sommato, raccontano l’evidenza: in primo luogo, la pirateria regna sovrana là dove le industrie culturali non sono presenti con una proposta distributiva legale e competitiva. In seconda istanza, i prezzi eccessivi per l’accesso ai contenuti sono un ulteriore stimolatore di illegalità, in particolare nelle aree geografiche dove le condizioni sociali ed economiche restrittive impedirebbero l’accesso anche alla distribuzione legale. Da ultimo, le limitazioni regionali annullano le dinamiche di network effect e spostano consistenti fette di pubblico verso canali pirata.
Bisogna inoltre considerare che l’effetto replacement (cioè il livello di sostituzione che la pirateria causerebbe deragliando audience dai canali “regolari”) è da mitigare e bilanciare con l’effetto sampling, ovvero la possibilità di saggiare un prodotto culturale per vie irregolari e poi acquistarlo per vie legali. Nel caso del prodotto cinematografico, l’effetto di sostituzione sembrerebbe verificarsi, sebbene in modo contenuto, per il mercato del noleggio, mentre la pirateria sembra in grado di stimolare l’acquisto di film su supporti digitali e di prodotti derivati e non piratabili.
Insomma, le cose sembrerebbero ben più articolate di una semplice opposizione tra legale/illegale. La pirateria non è semplicemente un potenziale nemico, ma può essere, a seconda dei casi, una valida e remunerativa alternativa ai canali tradizionali, un alleato promozionale o una ripiego inevitabile.
Un recente studio, condotto da un gruppo di ricercatori dell’università del Minnesota, dimostra che la pirateria ha degli effetti negativi sul box office internazionali; tuttavia la diminuzione degli introiti è strettamente legata al ritardo distributivo sui mercati esteri. Bisogna anche ricordare che non è detto che esistano relazioni dirette tra andamento del box office e file sharing. Se si consultano i dati raccolti da TorrentFreak sui film più scaricati di ogni anno, ci si rende subito conto che le pellicole più piratate sono le stesse che raggiungono i risultati più significativa al botteghino.
In un mercato come quello Europeo, invece, in cui è forte la presenza dei finanziamenti pubblici alle produzioni cinematografiche, ma dove la visibilità dei film è spesso circoscritta e sostenuta da campagne promozionali carenti, i network P2P sono lo strumento di maggiore visibilità dei film che non trovano circuitazione nelle sale. Si tratta di capire come far fruttare questa circolazione illegale, come raggiungere una massa critica e trovare un modello di business sostenibile. A Nollywood e in Brazile ci hanno provato e ci stanno riuscendo. Forse si può fare pure in Europa, perfino in Italia, e fare in modo che oltre a Prometheus e The Dark Knight Rises ci sia visibilità anche per i film invisibili.