Una fabbrica è un luogo dove ci si urta dolorosamente, duramente,
ma tuttavia gioiosamente, con la vita vera.Simone Weil, La condizione operaiaIl cinema è il bisogno di comunicare con persone che non vedo.Una bobina di pellicola o un nastro magnetico o un’onda hertz è un pezzo di un essere umano,in un certo senso.Jean-Luc Godard, Les années vidéo
Combattenti è la parola appropriata per accostarsi ai filmmaker di fine anni settanta, sia quelli che avevano frequentato il grande cinema per poi scegliere di scendere in campo e dare vita a movimenti collettivi, sia chi non ha mai voluto confrontarsi con un sistema codificato e ha imbracciato le telecamere come estremo gesto politico. Dalle esperienze dei primi anni video, ci restano le cassette più estemporanee e sorprendenti: piccoli film a dimostrazione che il cinema era finalmente nelle mani di tutti e poteva durare l’arco di una giornata o prendere magicamente una forma in grado di permanere come preziosa testimonianza.
I ricordi più cari a due cineasti del reale come i fratelli Dardenne risalgono proprio a questo periodo, di estrema militanza, in cui hanno vissuto le occupazioni delle industrie della Vallonia girando video che venivano proiettati la sera stessa, portando i problemi di un singolo lavoratore di fronte alla comunità, che si riuniva per discutere dopo la visione. Un gesto politico, che i due registi belgi avevano imparato da un grande maestro, Armand Gatti (che fuoriuscito da Parigi dopo il ’68, era diventato occasionalmente professore di Jean-Pierre Dardenne), che li ha accolti per discutere, filmare e portare avanti una lotta dialettica – e mai scontata – sul ruolo della classe operaia, sull’importanza della memoria, sulla resistenza dell’umano in una società in piena trasformazione.
Le Lion, sa cage et ses ailes, regia di Armand Gatti, Hélène Chatelain e Stephane Gatti, Francia 1977, Edition Montparnasse.