In Alpis è fondamentale il discorso sulla messa in scena, il confine tra realtà e rappresentazione è labile. Qual è davvero la realtà?
Penso che niente nei film sia davvero reale; voglio dire, i film sono finzione, e considero perfino i documentari come una forma di fiction perché, nel momento in cui inizi a filmare qualcosa, diventa qualcosa di diverso e ci sono molte scelte: che cosa filmi, come lo monti. Penso che per quanto tu faccia qualcosa di realistico non sarà mai reale, non c’è realtà quando stai guardando un film. Abbiamo cercato di rendere questo aspetto abbastanza chiaro nella nostra storia. Vedi la storia di una infermiera e di suo padre, e questi personaggi coinvolti in situazioni con altre persone, e anche questo è reale, anche quando lei finge di essere qualcun altro. Poi lei inizia a perder la sua realtà, ma è lei che perde la sua realtà, non la nostra.
Nel film ci sono innumerevoli riferimenti alla finzione, le persone fanno la lista dei loro attori preferiti per esempio, c’è un richiamo al mondo delle celebrità. Come mai?
Non è esattamente il mondo delle celebrità. Si parla spesso di attori ma è solo un aspetto di questo gioco che ti capita di fare, magari quando sei uno studente, o comunque un ragazzo: dire qual è il tuo attore preferito, o il tuo cantante, cibo o colore preferito, e credo che si faccia riferimento a tutte queste preferenze nel film. Sono divertenti per me, perché non definiscono affatto quello che sei, ed è per questo che li uso. Forse gli attori saltano fuori più spesso perché sono più famosi e si sa chi sono in qualsiasi parte del mondo, Brad Pitt è un riferimento comune in paesi e culture diverse.
Come sviluppa questo tipo di storie?
Di solito partiamo da un’idea che ho (i film precedenti erano mie idee e poi ho trovato qualcuno assieme a cui scriverle), e questa volta ho lavorato con lo stesso sceneggiatore di Kynodontas, Efthymis Filippou. Stavamo discutendo su cosa fare come prossimo film, e lui ha avuto quest’idea che riguardava persone che scrivevano lettere e che dovevano sembrare lettere di persone morte scritte a chi hanno lasciato indietro, per mantenere una specie di contatto o per far sentire invece il vuoto lasciato da chi è morto, magari facendo chiamate al telefono o cose del genere. L’idea mi piaceva, ma non mi sembrava molto cinematografica, così mi è venuta in mente la storia di qualcuno che offrisse un servizio per cui fingeva di essere qualcun altro: un’infermiera, ad esempio, lavorando in un ospedale, ha più facilità a trovare una persona che abbia perso qualcuno di recente. Siamo partiti da questo e abbiamo usato lo stesso procedimento degli altri film, sviluppando le scene.
E per i dialoghi come avete lavorato?
Efthymis ha scritto la maggior parte dei dialoghi, ma abbiamo anche provato a improvvisare sul set. Di solito, dopo avere finito le scene previste per la giornata, ne giravamo un’altra che avevamo in mente in quel momento, scrivevamo qualcosa velocemente o comunque giravamo qualcosa che non era in programma e se la cosa funzionava la mettevamo nel film, mentre abbiamo tagliato in fase di montaggio altre scene. Il film è stato qualcosa in continua evoluzione.
Lei è anche un regista di teatro sperimentale ad Atene. Ha portato qualcosa di questa sua attività nel suo cinema?
Quello che prendo dal teatro è semplicemente il modo di lavorare con gli attori, non seguo la stessa filosofia quando faccio un dramma per il teatro e quando faccio un film, sono due cose molto diverse, ma quello che il teatro mi ha dato è stata la possibilità di sperimentare nel lavoro con gli attori. Non so nemmeno se il teatro che faccio è veramente sperimentale. Il teatro mi lascia molto tempo con gli attori, per trovare dei metodi di lavoro, per raggiungere risultati dei quali possa essere soddisfatto. Tendo a mantenere una sorta di distanza con quello che racconto, sia al cinema che in teatro.
Lei usa molto il fuori campo e il fuori fuoco, sembra che la macchina da presa non sia mai dove dovrebbe essere. Come focalizza il centro dell’azione?
Lo faccio perché vorrei che lo spettatore si dedicasse maggiormente al film, e si sforzasse di dedurre ciò che non si vede: in questo modo si trova più ‘dentro’ al film. Per me è importante essere molto concentrato sulle scene, e non mostrare tutto, perché ciò, invece di chiarire la situazione, la rende solo più confusa. Concedere del tempo agli spettatori, seguire un personaggio con quanto gli sta attorno è qualcosa di più profondo che mostrare ogni cosa. Per esempio in questo film ho sentito il bisogno di focalizzarmi sull’infermiera e di seguire la storia attraverso di lei. Se mi fossi concentrato troppo su altri personaggi sarebbe diventata la storia di queste altre persone, ma non avevo bisogno di sviluppare allo stesso livello tutti i personaggi, non mi sembrava giusto.
Per quanto riguarda la scelta delle musiche, è singolare che il film inizi con i Carmina Burana e termini con la musica pop elettronica, Popcorn, di Gershon Kingsley. Come mai questo abbinamento?
Mi piaceva la contraddizione, e la connessione con la storia della ginnasta; questi due pezzi sono entrambi esattamente quello che dicono e sono spesso usati per la ginnastica ritmica, suonavano bene e il contrasto tra i due è ottimo: è bello che siano all’inizio e alla fine del film.
Il film tratta il tema della ribellione. È un riferimento alla situazione della Grecia?
Mi sono chiesto se il film suggerisce che la ribellione oggi non serve a niente… Non posso dirti quanto questo aspetto sia legato al film, dipende dal modo di pensare di ognuno: cerco di fare quello che è giusto per il film e la sua storia specifica e spero che le persone, secondo le loro esperienze, possano trarre le loro conclusioni e vedere come queste cose siano collegate. Credo che se avessi deciso un’interpretazione prima, quando stavo lavorando al film, se avessi pensato che avrebbe dovuto parlare della ribellione dei personaggi e di come è legata alla situazione sociale, ora il film sarebbe un casino. Tento di concentrarmi solamente sulla storia e di costruirla in modo da permettere alle persone di pensare in questo modo, senza imporlo come una specie di allegoria. Penso che qualsiasi forma artistica sia influenzata in qualche modo dalla situazione che la circonda.
I personaggi principali di solito sono donne, mentre quelli che detengono il potere di solito sono uomini dominanti, come mai?
Mi piacciono i personaggi femminili, penso che in generale siano più complessi e intelligenti. Trovo più naturale per me avere una donna come eroina contro la stupidità degli uomini piuttosto che il contrario, ma forse la prossima volta farò qualcosa di diverso. Abbiamo semplicemente cercato di costruire questo mondo, che avrebbe dovuto essere molto duro. Ci piace portare all’estremo quello che facciamo in modo da potere verificare in che punto si rompe, perché è questo che trovo interessante, investigare le situazioni e vedere a che punto si guastano; e bisogna essere molto rigorosi nella loro costruzione, per registrarne i risultati e perché le persone vi possano riflettere.
Cosa ci può dire delle famiglie disfunzionali? Succede così perché la famiglia viene distrutta dalla morte dei suoi componenti e chi li sostituisce sta solo fingendo?
Rappresento famiglie problematiche perché in qualche modo è la mia visione delle famiglie, molte famiglie sono disfunzionali in un modo o nell’altro. Non per forza deve essere qualcosa di così estremo, la situazione è stata estremizzata per i motivi di cui abbiamo discusso prima, perché mi piace investigare le situazioni portate agli estremi. Non avrebbe senso per me mostrare una famiglia felice dove tutti sono felici, non voglio fare un film di puro intrattenimento (a dire la verità per me il film è abbastanza di intrattenimento a tratti, ma non era questo il mio scopo). Penso che ogni aspetto del film riguardi qualcosa di problematico, e questo è il motivo per cui l’ho fatto, perché sono interessato a esplorare, non a mostrare cose che funzionano perfettamente.
Si sente influenzato da qualche grande regista?
Non so se è un’influenza diretta, ma sono sempre stato colpito dai film di Cassavetes, Bresson e Buñuel, e penso che siano i miei registi preferiti; sono i film che più mi piace guardare e che più mi emozionano.
E Ulrich Seidl?
Sì ho visto alcuni dei suoi film, e devo dire che mi piacciono, in particolare il suo documentario Tierische Liebe.
Nel film ci sono anche situazioni divertenti, mentre in altri casi mi era sembrato volesse sperimentare i limiti estremi della cupezza prima che l’essere umano collassi.
A noi viene naturale fare così; voglio dire che io e Efthymis abbiamo un senso dell’umorismo simile e non credo che potremmo affrontare le cose solo dal loro lato tragico. E credo che questa contraddizione tra il lato tragico e quello che non lo è ti faccia esplorare i sentimenti con maggiore profondità. Se sei solo tragico risulti finto, e se sei solo divertente fai semplice intrattenimento. Quando raggiungi un tono per il quale gli spettatori potrebbero ridere, ma allo stesso tempo si sentono a disagio, perché in realtà la situazione è tragica, per esempio nell’episodio della pallina da tennis, penso che questo sia il massimo di profondità che si possa raggiungere. Penso che le persone siano più coinvolte quando il tono è complesso e anche la fruizione del film risulta più complessa.
Come si può fare un cinema come il suo in un momento di crisi economica come quella che ha colpito la Grecia?
La verità, come sto dicendo da ormai diversi anni, è che era già molto difficile fare film in Grecia prima della crisi. Tutti i miei film sono stati fatti con un budget estremamente basso. I film in Grecia ottengono finanziamenti solo dal Greek Film Centre, un ente del governo. Non arrivano soldi dai privati nel cinema perché non ci sono incentivi per chi investe nel cinema, e non ci sono nemmeno sponsor perché mancano gli incentivi fiscali, per cui nessuno è interessato a mettere soldi nei film greci, quindi rimane solo il Greek Film Centre che comunque per molti anni ha dato soldi solo a certi registi, sempre i soliti, e niente ai registi emergenti, per cui chiunque voleva fare un film doveva farlo per suo conto. Dovevi raccogliere soldi dai tuoi amici, metterne di tasca tua e fare lavorare molte persone gratis, chiedendo favori a amici e conoscenti. Ed è ancora così per i registi giovani, la crisi non ha cambiato molto: io per esempio ho fatto il mio secondo film col supporto del governo, che però ha dato solo 250 000 euro e quei soldi sono comunque arrivati due anni dopo. Per cui ho dovuto chiedere collaborazioni di favore, cercare persone che lavorassero gratis con la possibilità di pagarne alcune due anni più tardi, forse. E nel caso di quest’ultimo, per via della crisi, la situazione è stata ancora peggiore, non abbiamo ricevuto nemmeno quei 250 000 euro dal Greek Film Centre, e ci siamo ritrovati di nuovo per conto nostro, a lavorare con amici, con molti coproduttori che ci hanno dato tipo 10 000, 20 000 euro a testa, mettendo soldi di tasca nostra, avendo persone che hanno lavorato gratis, come al solito. Solo ora il Greek Film Centre sta supportando il film e senza comunque prendere nessun rischio, quando il film è già a Venezia e a Toronto. È finito e siamo stati noi a prendere tutti i rischi. Ora ci stanno dando dei soldi così potremo almeno pagare qualcuno dei nostri collaboratori, ma a dir la verità stiamo ancora finanziando il film. Penso sia abbastanza imbarazzante che ci stiano supportando solo ora che il nostro è l’unico film greco che sta viaggiando per i festival nel mondo, dopo che abbiamo fatto noi tutti gli investimenti.
Non ha la possibilità di andare a girare in qualche altro paese?
Sì ho questa possibilità e la sfrutterò, non semplicemente per via della situazione attuale in Grecia, mi piacerebbe farlo comunque, perché trovo che le diverse culture e i diversi luoghi nel mondo abbiano molto da offrire. Credo che potrei fare i film che faccio ovunque nel mondo, e sarebbe qualcosa di diverso. Cerco sempre di incorporare nei film l’energia e le sensazioni che mi danno i luoghi, che cerco di mostrare per come sono, senza indurirli né abbellirli. Quando abbiamo scelto le location per questo film, dovevamo cercare posti che amici o conoscenti ci lasciassero usare gratis, e ho deciso che, qualsiasi posto si fosse trovato, l’avrei mostrato per come era e avrei fatto in modo che funzionasse nel film. Con questa idea nella mia mente sarebbe molto interessante per me andare in posti diversi e fare film in altre lingue, con altri paesaggi. Naturalmente considerando anche la situazione presente – ho già fatto tre film nelle condizioni più disagevoli possibili – mi piacerebbe fare qualcosa da un’altra parte, con un maggiore supporto. Ma poi mi piacerebbe sempre tornare a girare in Grecia. Abbiamo avuto la possibilità di girare questo film in un altro paese, ma abbiamo deciso di farlo in Grecia in queste condizioni.
Non ha avuto offerte da Hollywood dopo la nomination all’Oscar per Kynodontas?
Ho un agente là e sto leggendo degli script, potrebbe essere divertente, vedremo.
E le piacerebbe lavorare su una sceneggiatura di qualcun altro?
Sì, sto cercando di fare anche quello. Sto cercando qualcosa che mi interessi e vorrei fare cose diverse. Mi piace pensare che sarei anche capace di fare un film commerciale, sto studiando anche questa opzione, ma è più difficile di quanto sembri. Pensavo che potesse essere una cosa divertente, ma poi leggi lo script, parli coi produttori, ecc. e scopri quanto è difficile. È per questo che ci sono così pochi film commerciali interessanti, perché devono seguire tutti certe regole. Penso che sia per questo che a Hollywood trovino i miei film difficili: non sanno in che casella metterli.
Venezia, settembre 2011