All’interno dei dibattiti sulla cinefilia che hanno animato e animano Filmidee, vale la pena riflettere su quanto accaduto nell’ultima edizione del Cinema Ritrovato, uno egli appuntamenti centrali per comprendere le mutazioni dello sguardo sulla storia del cinema. Chi segue questo appuntamento estivo a Bologna, ogni anno, conosce piuttosto bene le trasformazioni che ha subito. Prima era un luogo fortemente caratterizzato dalla presenza di archivisti, docenti e storici del cinema (con l’aggiunta non particolarmente cospicua degli studenti Dams), dove – frase ascoltata dal sottoscritto in diretta – l’allora direttore della Cineteca di Bologna Vittorio Boarini dichiarava che l’intento del festival era quello di “presentare copie, non film in senso stretto”. Programma del tutto legittimo, su cui peraltro la filologia del cinema – all’epoca molto più centrale e motivata di quanto non sia ora – discuteva con passione.
Da quando alla direzione del festival è stato chiamato un curatore cinefilo e onnivoro come Peter Von Bagh – già “autore” del Midnight Sun Film Festival, ultramilitante, e sodale dei fratelli Kaurismäki, suoi connazionali – le cose hanno cominciato a cambiare. A fianco delle proposte più istituzionalizzate, gestite con il consueto scrupolo dal direttore della Cineteca succeduto a Boarini, Gianluca Farinelli, e dal vivacissimo factotum Guy Borlée, si sono fatte largo retrospettive non legate per forza a singoli restauri. Quest’anno per esempio si è visto l’Howard Hawks a cavallo tra muto e sonoro con qualche scappatella nel periodo d’oro del cineasta americano; l’anno prima stesso trattamento per John Ford. Poi non sono mancati approfondimenti su temi storici, la bella idea del “Cent’anni prima”, le personali dedicate al cinema italiano (Luigi Zampa, sezione ottimamente curata da Alberto Pezzotta con interventi di Tatti Sanguineti), il Rohmer documentarista, il leit-motiv del socialismo sullo schermo, e molto altro ancora.
Il Cinema Ritrovato, con quattro sale sempre al lavoro, due salette per seminari e il gigantesco schermo serale in Piazza Maggiore, è divenuto – quest’anno più che mai – il luogo di attrazione cinefila più potente d’Italia. Quel che davvero si propone allo spettatore è dunque una vetrina di storia del cinema, profilata secondo alcune idee-perno pienamente novecentesche, e sempre meno legate al feticismo della copia. Il feticismo, cioè, si trasferisce alla sala, e nemmeno alla sala in sé, ma sulla fruizione collettiva. Si dirà: bella scoperta, tutti i festival ormai funzionano attraverso questa ritualità della sala, assai indebolita se viene spalmata su tutto l’anno.
Vero. Con una differenza importante. Buona parte delle copie restaurate o annunciate come importanti dal Cinema Ritrovato sono state proposte in digitale. Ciò non (solo) per abbattere i costi della pellicola, bensì per garantire una sorta di proiezione “corretta” di pellicole riportate a nuova luce attraverso procedimenti informatici. L’idea di riversare nuovamente il restauro digitale su pellicola per la proiezione pubblica sta lasciando spazio sempre più al concetto di “edizione digitale”, senza tornare al fotochimico. E la Cineteca di Bologna nel frattempo si è fatta carico di aprire un’etichetta editoriale e una collana di DVD contenente film e materiali restaurati dal Laboratorio L’Immagine Ritrovata, ormai al centro di una vastissima rete di nuove edizioni della storia del cinema.
Che cosa significa tutto questo? La cinefilia – in particolare la fetta della cinefilia interessata più che altro alla memoria cinematografica e un po’ meno al cinema contemporaneo – si trasforma anch’essa in cinefilia digitale. Ciò che un tempo avrebbe dato vita a spossanti dibattiti sul concetto di “copia originale” nella teoria del restauro cinematografico, oggi è molto più laicamente accolta come nuova forma di esibizione pubblica. Hai un bel da dire che, a questo punto, la proiezione cinematografica non possiede più caratteristiche tecniche dissimili dalla fruizione casalinga e che dunque si può stare a casa propria. Il discorso non vale per almeno tre motivi:
1 – la rappresentazione in sala con i proiettori adatti garantisce tuttora un’aura di tutto rispetto (chi era presente al cinema Jolly di Bologna per vedere la copia digitale restaurata di La caduta degli dei ha vissuto una esperienza tecnica superba).
2 – una larga maggioranza di film presenti al Cinema Ritrovato non è (ancora) disponibile su supporto digitale casalingo.
3 – quand’anche fosse, il festival offre un discorso, come ha ben intuito Andrea Bellavita che se ne occupa da qualche tempo, cioè costruisce una mappa, garantisce un contesto di legittimazione estetica, crea una comunità sia pure di breve termine, manifesta una personalità, estrae ed affianca film tra di loro lontanissimi ma – sotto la sanzione istituzionale della Cineteca di Bologna – non mescola a caso sacro e profano, e pone un argine alla proliferazione cinefila incontrollata di altre forme di cinefilia (Fuori Orario, per esempio, o I Mille Occhi di Sergio Grmek Germani, peraltro esperienze straordinarie, a parere di chi scrive).
Questa cinefilia ben temperata si rivolge in maniera intelligente al nuovo corso dell’epoca digitale e costruisce un primo, lungimirante discorso che contiene in sé gli strumenti per sopravvivere all’attacco dei new media, anzi si allea ad essi, grazie alle edizioni digitali e a una comunicazione che sfrutta abbastanza bene, e modestamente, la dimensione web. Non è un caso che, all’interno delle sezioni, si combinino personalità curatoriali tra loro differenti, come i già nominati Von Bagh, Pezzotta, Sanguineti ma anche Goffredo Fofi, Mariann Lewinsky (che capitalizza un’area femminista della ricerca filologica), Laurent Garreau o la cinefilia americana di un Foster Hirsch, e altri nomi che sembrerebbero inconciliabili ma che in tal caso trovano un reticolo culturale in grado di valorizzarli vicendevolmente.
Più che chiedersi, dunque, se Il Cinema Ritrovato 2011 abbia funzionato o meno, è necessario identificare gli spazi di manovra della cinefilia storica nei confronti del presente digitale.