Tre storie parallele finiscono per trovare la più insolita delle intersezioni. Un’analista finanziaria costretta a piazzare titoli ad alto rischio ai suoi clienti, un gangster da strapazzo che cerca di pagare una cauzione e un poliziotto alle prese con gli esosi prezzi degli immobili di Hong Kong (per approfondimenti rivolgersi a Dream Home di Pang Ho-cheung) ballano un valzer di soldi e morte che lentamente accomuna i differenti punti di vista.
Bastano poche sequenze per comprendere quanto sia profonda la volontà di cambiamento in Johnnie To. Stanco della dicotomia gangster movie-commedia romantica che ormai caratterizza la sua esemplare carriera da quasi vent’anni (con la sola eccezione di Linger, non a caso il suo film peggiore), per To – dopo il testamento del crepuscolare Vendicami, che suggella una lunga epopea con l’omaggio a Melville e alla tradizione del polar francese – è venuto il momento di tentare una nuova via, non meno ambiziosa, che si proponga di uscire dagli schemi di genere per provare ad attraversarne gli steccati, in nome della trasversalità e della contaminazione. Riproponendo, in fondo, lo spirito originario del cinema di Hong Kong, che dei generi era solito servirsi per mescolare le carte, anziché vederli come un limite invalicabile. Proprio in quanto esperimento, Life Without Principle è tutt’altro che esente da difetti, a partire dalla verbosità, per di più tecnicistica, di una prima parte troppo ostica, per arrivare all’eccesso caricaturale del personaggio di Lau Ching-wan ancora una volta irresistibile istrione; ma non è nelle incertezze che affiorano a tratti che deve concentrarsi lo sguardo, bensì sul coraggio di un indiscusso punto di riferimento che, al quarantasettesimo film, trova ancora la forza di rimettersi in gioco.
I dialoghi, parola di To, crescono dall’ordine del centinaio di battute a un migliaio circa, alterando nella sostanza un cinema costruito sulla laconicità dei gangster e sull’estetica dei piani sequenza di shootout interminabili. L’elemento gangsteristico, che non a caso si serve di Lau Ching-wan e rappresenta la continuità Milkyway, per il momento si rivela ancora imprescindibile, ma potrebbe essere solo questione di una transizione in fase di completamento. Mai così vicino all’attualità, il To di Life Without Principle individua in un sistema bancario profondamente malato il più temibile e implacabile dei villain, tanto da costringere ad analoghi sacrifici i poliziotti come le triadi. Anziché un’analisi sulla naturale inclinazione al male dell’essere umano, l’amara constatazione della fragilità dei migliori intenti di fronte alla dipendenza, sempre più grave, dal dio denaro e dalle sue innumerevoli quanto imprevedibili oscillazioni.