L’ascesa, il percorso di redenzione e purificazione per sfidare Dio, le sue leggi e il suo sapere, crolla, si disfa, diventando la cronaca, gli appunti frammentari di un viaggio.
Nell’umidità, distratto da spifferi, cigolii e sguardi indiscreti, il mito del Faust tenta malamente di trovare la propria strada. Giunto all’ultimo di tutti i saperi – la convinzione che ogni percorso di conoscenza porta al nulla e che dietro le apparenze del creato, come dietro a uno specchio (come quello che si intravede all’inizio del film, tra le nuvole) non si nasconde nessuna ulteriore verità –, Faust tiene lo sguardo lontano dal cielo per rivolgerlo verso il basso, tra i demoni della terra.
Il non-senso, noioso e alienante, viene avviluppato in un manto malato di desideri, di trasalimenti, la perdizione rimessa dal diavolo sulle tracce di una strada. Ma si tratta di un diavolo buffo che non sa che farsene della sua pietra filosofale, e che fa scoprire a Faust le cosce e le tette della grazia. L’eroe, da becchino di idee si trasforma in un corpo trascinato nella polvere, tra odori pestilenziali, in una lotta perpetua di cose lontane dalla forza e dalla dignità, riconciliato con la meccanica di manichini mossi dal bacio della disgrazia, liberati in un ballo assurdo diretto dalle note atone del niente. Un demonio cialtrone e sgrammaticato insegna coscienziosamente a Faust le Vere bugie della vita, dissuadendolo dalla coerenza di una mente ideale. Faust, ubriacato dal filo giocoso delle parole, viene trascinato tra i vapori della voluttà, in acque pulite da panni e dall’ingrediente femmineo (nuovo elemento del sistema periodico, il solo in grado di riprendere i fili sciolti del discorso). Andando presso la gonnella, il filosofo si macchia della colpa della passione: il rosso del vino finisce sul corpo del fratello di Margherita, e l’azione porta la firma innocente del suo nome.
Da lì in poi, proseguendo la sua discesa, si rivelerà vanesio, mentre i morsi della fame e delle voluttà risultavano in precedenza essere episodi di un percorso sfiduciato, ma coerente. Il suo sguardo si volge lontano dalle costellazioni luminose del creato, verso gli anfratti, i sotterfugi progettati per adescare l’attenzione, il volto che dischiude la frivolezza e la bellezza del respiro della specie. La solennità del funerale del fratello di Margherita viene così disdetta, violata la sacralità del confessionale. E tutto ciò per abbordare diabolicamente l’attenzione della ragazza. Un’attenzione scossa all’istante, quando di fronte alla carcassa del fratello morto il suo sguardo viene trasfigurato alchemicamente da una leggera carezza. Al tutto manca solo il registro finale, la firma sul contratto che certifichi lo sprofondare del desiderio nella sua promessa. Per farlo, bisogna abbattere l’ultimo ostacolo (la madre di lei), bisogna bagnarsi ancora nel corpo di un morto per poter attingere finalmente alla fontana della vita.
Tra i peli pubici sembra nascondersi l’ultimo miracolo: la fonte tanto cercata dall’eroe esausto è assaporata, spremuta fino al prosciugamento, fino al punto di ridurla in fasce, allo stato di bambina inoffensiva e sognante in un mondo di morti viventi, lasciati entrare alla chetichella, dalla finestra, da un demonio dispettoso. Il mondo sparisce, alterato per sempre. Si lascia la terra e si entra negli inferi, alla sorgente vitale del nulla. Tra i dannati che hanno sacrificato la propria anima per inseguire la melodia di un argomento. Faust però non ci sta. La firma nel suo caso non può aver nessun valore, il contratto non è valido, manca il soggetto della trattazione. E poi, il diavolo che lo ha portato fino a lì è certamente potente, ma è troppo goffo, meschino, umano, per ricreare il timore, la devozione di un essere superiore. Faust alla fine non può lapidare veramente il Diavolo, ma solo un usuraio di anime scadute che, lamentoso, gli continua a rimembrare il fatidico accordo. Di tutto ciò Faust sembra però infischiarsene dirigendo il suo sguardo verso sentieri ancora oscuri e sicuramente diversi.
Faust è gia lontano a cercare vie, percorsi nuovi, come il Peter Schlemihl di Chiamisso corre solitario e indiavolato per il sentieri del mondo. Una sete vampiresca, la sua, che prosciuga ogni vita che incontra. Faust si lascia alle spalle i miti, cammina sulla propria tomba, fuggendo via come un pazzo insensato, Arlecchino crudele, senza padri né madri, senza centri ne periferie, insegue i misteri solo per ingannare il tempo. Un tempo di cataclismi di proporzioni così gravi, da innalzarsi paradossalmente alle maestosità di un mito. Il primo forse di un tempo nuovo, diverso. Quello nostro.