La sensazione è che la portata dei mutamenti indotti dal web, e dalle nuove tecnologie in generale, sia sottostimata. È necessario, infatti, eludere la dialettica tra entusiasti della rivoluzione informatica e tradizionalisti della carta e della pellicola. Vi sono molte questioni in gioco, e molte di esse cadono in un terreno improprio, ignorato da entrambe le fazioni. Tra queste, vanno citati i problemi sociali (lavorativi, per esempio), culturali, estetici, percettivi.
Non è questa la sede per una disamina così estesa. Diciamo che ciò che più interessa è che le modificazioni cui è sottoposto il cinema nell’era del virtuale – per citare David Rodowick – sono ancora tutte da saggiare. Il 3D – per il tempo che durerà – sta per esempio imponendo alla percezione spettatoriale una rimessa in questione della figura umana e delle proporzioni spaziali al cinema quale non la si vedeva probabilmente dal cinema primitivo, secondo le ben note intuizioni di Noel Burch. Così come la digitalizzazione della sale cinematografiche sta modificando l’estetica degli spazi del cinema americano in maniera incontrovertibile – provate a vedere Il Grinta dei fratelli Coen prima in versione pellicola poi in proiezione 2K e scoprite una totale ridefinizione della profondità di campo (e dunque dello stile del film e dunque del trattamento dell’iconografia del western).
Ancora: chi sfogliando un I-Pad utilizza le proprie dita e i gesti della mano per navigare tattilmente su Google Earth e Google Maps, lavora all’interno di un linguaggio – fatto di zoom, carrellate, movimenti di macchina e di sguardo – che il cinema americano spesso cerca di imitare (l’utilizzo adrenalinico dei movimenti virtuali di macchina per andare a isolare porzioni del totale o immagini dall’alto nei film d’azione tecnologica e d’avventura spionistica, per esempio). Non parliamo poi – e infine – dello sconquasso che Youtube reca alle soglie di attenzione e scelta dello spettatore nei confronti dei materiali audiovisivi, dove ci pare che la novità più sensibile sia data dalla possibilità di “antologizzazione” e “catalogazione” continue di momenti salienti, scene-culto, estratti significativi. La storia del cinema, e il cinema recente, divengono dunque un serbatoio di scene-madri o sequenze di riferimento, e tutto il resto una sorta di scarto narrativo che non accede alla selezione.
Bene, di tutto questo la critica si sta accorgendo? A dire la verità, non tanto. Gli strumenti della critica cinematografica, almeno di quella non saggistica, di quella che si esprime soprattutto attraverso la forma-recensione, rimangono molto simili al passato. Appare curioso che la critica online esprima le forme più conservatrici in assoluto. La dimensione della recensione, le categorie estetiche messe in campo, le operazioni interpretative prescelte appaiono assai tradizionali, al contrario di quanto ci si aspetterebbe da soggetti editoriali “consustanziali” alle nuove tecnologie. Esistono poi già riviste cinematografiche pensate esclusivamente per l’I-Pad – a pagamento – su cui varrebbe la pena riflettere (è la nuova frontiera dei nostalgici della carta? La lettura su tablet appare più vicina alla fruizione tradizionale di un giornale rispetto al web?). Tuttavia, è un dato di fatto che – oltre alla scarsa preparazione dei critici, spesso precari e precarissimi, che scrivono sul web – riviste e portali online conducano una prassi di valutazione, merito e lettura delle prime visioni davvero conformiste.
Appare in certo qual modo più viva la scena della cosiddetta “fan critic”, erede indiretta della cinefilia anni Sessanta, per lo più oggi orientata alla serialità televisiva, dove – con forme rozze, spesso euforiche, talvolta eccessive – si commentano, si riassumono e si interpretano migliaia di prodotti audiovisivi narrativi, senza preoccupazione di lavorare all’interno di un genere codificato qual è la critica cinematografica. Vi sono testate in cui si recensisce ogni singolo episodio di quasi ogni singola serie tv in onda in America e Italia, per non parlare di film, clip, videogame, etc. Perché – almeno per chi scrive – la fan critic diviene interessante? Perché appare l’unica, almeno al momento, ad avere una vera e propria comunità di lettori di riferimento, una platea anche molto ampia, ed esigente, e stimolante. D’accordo, la scrittura è quella che è (ma sarà poi vero? e nella critica tradizionale, le decine di recensori dei portali web sono tutti umanisti raffinati?), e le categorie sono estremamente soggettive, tuttavia questa forma di critica mette spalle al muro la recensione filmica tradizionale, che un pubblico – al momento – non ce lo ha più.
Per chi scrive la critica online? Forse è questa la vera domanda da porsi.