Ho cominciato a insegnare nel 2002 e in dieci anni sono cambiate tantissime cose: all’inizio tenevo corsi sui generi cinematografici, con una base teorica forte, che oggi sarebbero impensabili. Ora sono costretto a inventare qualcosa di divertente ogni quarto d’ora per alleggerire il ritmo, altrimenti gli studenti non riescono a tenere l’attenzione.
La frammentazione portata dai nuovi media ha ridotto notevolmente la soglia di attenzione dei ragazzi che si annoiano quando l’audiovisivo dura più di 5-6 minuti: il formato dominante è quello frammentario della pillola. La cosa più sorprendente, poi, è che per loro guardare un film intero è faticoso, soprattutto se non rientra nei parametri di divertimento cui sono abituati. Durante le proiezioni i ragazzi si alzano in continuazione, escono almeno un paio di volte dalla sala. La stessa cosa vale per le lezioni: non riescono a stare seduti per un’ora e mezza di fila.
Per prepararsi all’esame guardano i film a pezzi su Youtube e non puoi nemmeno sapere che versione hanno visto, perché non hai il minimo controllo delle fonti. Questo, e non tanto il fatto che ricorrano a Youtube, è il vero problema: la vastità delle fonti non è corrispondente alle loro capacità di utilizzarle. Dicono spesso – e io credo che lo facciano in buona fede – che non sono riusciti a scaricare il film, perché non sanno cercare tra le informazioni in rete e perché nessuno ha mai insegnato loro come si fa. Si dà spesso per scontato che questo orizzonte infinito rappresentato dalla rete contenga già delle regole d’uso, invece non è così. Utilizzano molto Youtube, quindi, perché è il modo più facile per trovare quello che cercano e devono solo cliccare su un link per vedere uno spezzone di film (come se non bastasse, poi, utilizzano a scopo critico i commenti che trovano lì per farsi un’idea del film). Anche perché quando i film li scaricano non sempre il file è quello giusto ma loro non sanno come riconoscerlo, e si arriva al caso limite dello studente che nell’elenco di film portati all’esame mette Citizen Kane Incomplete pensando che sia il titolo del film di Welles senza rendersi conto che “incomplete” fa riferimento allo stato del download. Capisci che non ha visto tutto il film perché mancava la parte finale e quindi viene all’esame senza sapere nemmeno come si risolve il mistero di Rosebud!
L’altra cosa legata al cattivo uso di internet è che per loro è tutto sullo stesso piano, non ci sono gerarchie. Quando insegnavo a Varese facevo portare all’esame l’analisi di un film, ma poi ho smesso perché avevo un’assistente molto brava che controllava su google mettendo in ricerca frasi di queste analisi e almeno due terzi dei testi erano copiati. Il problema è che i ragazzi non posseggono neanche questo livello basilare: la capacità di distinguere all’interno della produzione spontanea e, di conseguenza, gerarchizzare le fonti. Insomma, prima di tutto, bisognerebbe insegnare loro come si utilizzano internet e le risorse della rete. Nei miei primi anni di insegnamento spiegavo come servirsi delle fonti bibliografiche; adesso sono costretto a insegnare come si fa a distinguere, all’interno di una ricerca effettuata su google, quali siano i risultati utili.
Poi c’è un altro problema, più generale, legato a una questione di legittimazione culturale: la critica per loro non ha più valore, hanno come riferimento quella “semaforica” imperante ovunque e, come traguardo, la visibilità televisiva e un linguaggio che non è tanto critico quanto giornalistico, per cui il lavoro certosino e colto del critico sconosciuto non ha alcun valore in confronto al riconoscimento di una personalità forte che ha il suo spazio in tv e che parla di cinema sul piccolo schermo.
Per quanto possano accedere allo scibile umano con una facilità molto maggiore di quella che potevamo avere noi alla loro età, hanno una conoscenza del cinema che è molto più ridotta non solo rispetto alla nostra ma anche rispetto agli appartenenti alla generazione precedente. Prima noi avevamo pochi canali (la programmazione di Fuori orario, ad esempio) loro ne hanno troppi e allo stesso tempo non sono in grado di scegliere, né di identificare un canale cinefilo rispetto a un altro – anche se ormai si sono imbarbariti tutti e anche i canali più cinefili sono diventati delle schifezze. In generale la semantica è diventata più generosa e la cinefilia è oggi qualcosa di molto diverso rispetto a come la concepiamo noi.
Se la loro guida deve essere la prima serata di Sky capisci che la loro idea cinema è davvero ristretta e rispecchia pedissequamente la distribuzione cinematografica media; non esiste uno scarto, neppure minimo, rispetto all’attualità mainstream. Non ci sono più i maestri impliciti, c’è un problema di guide e direttive e quindi arrivano all’università senza saper gerarchizzare le cose.
In questo riflettono una situazione culturale più ampia, perché c’è un problema più generale legato alla legittimità culturale dell’istituzione universitaria: il tracollo, ovviamente, è dovuto anche alla riforma di cui stiamo raccogliendo i frutti. Oggi le storie del cinema sono diventate tutte tra le 300 e le 400 pagine, perché devono stare nelle linee guida del Ministero che impone una corrispondenza tra il numero di ore di lezione frontale e il numero di pagine da studiare, calcolato in base a un principio di tempo per pagina. Nel mio corso allo IULM di 24 ore, quindi, sono costretto ad assegnare un numero di pagine non superiore alle 150. Dopo la riforma, per forza di cose, c’è stata questa fioritura di manuali che condensavano in meno di 400 pagine tutta la storia del cinema e gli studenti scontano questo tipo di imbarbarimento. Per corsi brevi non è più possibile adottare la Storia del cinema e dei film di Bordwell e Thompson e, in ogni caso, il principio per cui meno pagine vuol dire “più facile” è sbagliato. Fanno sicuramente prima a leggere il libro ma poi fanno più fatica a creare connessioni e a capire.
Inoltre, non c’è più nessuno che vive l’università come momento di formazione per poi restare al suo interno – il dottorato e l’assistentato non li considera più nessuno come inerenti il proprio futuro. Anche se c’è una quota minima di chi vorrebbe occuparsi di critica (direi il 2%, non di più), i pochi cinefili che ci sono amano molto l’horror, in maniera ossessiva, oppure il cinema orientale e il postmoderno di Tarantino. Raramente sono curiosi, scelgono sempre di occuparsi delle cose più semplici e di ciò che già conoscono. Il cinema, in ogni caso, gli interessa poco anche a livello professionale, perché la vera sirena è rappresentata da Mtv e dai reality. La televisione è l’audiovisivo a cui ambiscono: le redazioni delle trasmissioni televisive – per lo meno a Milano.
Come se non bastasse c’è ormai la costante necessità di trovare un’utilità in quello che si fa a lezione. Ogni cosa deve essere utile principalmente a professionalizzare, a creare aperture nei confronti del mondo del lavoro. Allora un insegnamento come quello di estetica o di storia della critica – in generale la cultura per la cultura – non interessa a nessuno. Anche l’insegnamento diventa qualcosa di servizio. Guardare un film per la gratuità dell’atto in sé, per il piacere di farlo, non esiste più.