Durante le recenti ere democratiche, Hollywood ha trovato nello spazio e in un generico terrore dell’altrove lo spazio per le tensioni che un paese fondamentalmente guerrafondaio non può che covare imperterrito, tensioni dilaganti invece in ere repubblicane. Giungendo ad un tempo vicino a noi, la differenza non da poco, tra gli anni ’90 di Clinton (in cui il campione rappresentativo Independence Day di Roland Emmerich e il suo “non vedo l’ora di spaccare il culo a ET”), e l’oggi è che in mezzo c’è stato l’11/9 con otto imperdonabili anni di era Bush. Bisogna anche dire che in World Invasion si sente francamente più Bush che Obama, a partire dalla palpabile sensazione che la quotidianità sia costantemente sul filo dell’emergenza. Nel film, quella che i media spacciano inizialmente per una tempesta di meteoriti in arrivo improvviso sul pianeta è in realtà un’invasione su scala massiccia di creature extraterrestri tecnologicamente avanzate e pronte a massacrare la popolazione degli Stati Uniti per depredare l’acqua degli oceani. Attenzione al punto di vista adottato però: quello di una squadra di marines, sparpagliati per Los Angeles in missione di salvataggio, alla ricerca di un gruppo di civili che potrebbero rimanere uccisi da un attacco aereo purificatore, in grado di sventare la minaccia. Etica e morale dei militari influenzano pesantemente gli stessi civili: tradotto in parole povere, World Invasion è un film di propaganda bellica bella e buona, che nell’ultima mezz’ora straripa di un’intollerabile retorica patriottica.
Attenzione anche ai cattivi e a come sono etichettati: l’invasione aliena in atto è immediatamente individuata come “attacco terroristico”. Le forme di vita non vogliono assolutamente comunicare in nessun modo che non comporti l’imbracciare un’arma e distruggere, non hanno richieste, non hanno rivendicazioni di alcun tipo. E il terrore, che viene dall’alto, si impianta nelle città, nel sottosuolo, e si mimetizza con l’arredo urbano dato alle fiamme. Le premesse non sono spiacevoli e inizialmente la presentazione dei numerosi personaggi, tutti assolutamente anonimi (compreso il sergente Nantz/Aaron Eckhart), contribuisce a creare l’attesa di una svolta narrativa determinante quanto imminente. Dopo un’oretta di film, però, appare chiaro che tale svolta non arriverà affatto: ciò che prevale è invece una sequela di scene d’azione corrette ma irrimediabilmente esangui che vanno a rimpolpare una serie di siparietti filomilitaristi via via sempre meno digeribili. Chi, dopo l’incipit, sperava in una sorta di “Aliens sulla Terra” (inteso, ovviamente, nel senso cameroniano del termine) trova solamente un action che spreca ciò che c’è di originale nelle sue premesse, perdendosi dietro a dialoghi tronfi e a goffi tentativi di dare dimensione a personaggi di nessun interesse. Jonathan Liebesman ha diretto un interessante prequel Non aprite quella porta nel 2006, ma i vizi di World Invasion ricordano piuttosto il suo sciatto Al calare delle tenebre: routine che non sa bene dove andare a parare, sicuramente non abbastanza scaltra da giocare a dovere con i meccanismi di un genere.
Rimane, di partenza, un impianto visivo maestoso e fin troppo accattivante, che sfrutta l’ossessione per la camera a mano dei film d’azione contemporanei. Se in Hurt Locker di Bigelow era segno distintivo e veicolo di tensione, qui, svuotata di senso, è ridotta a puro strumento di confusione. E fa riflettere, in un contesto che mira al realismo e a inserirsi nella quotidianità, la mancanza totale di curiosità, non si dice intellettuale, per forme di vita sconosciute. Forse il modo migliore per guardare World Invasion è farlo seguire back-to-back da Paul di Greg Mottola, per pensare a come, ai nostri giorni, è cambiato il modo di pensare lo sconosciuto.
World Invasion (Battle: Los Angeles), regia di Jonathan Liebesman, Usa 2011, 116’