Il secondo film di un autore, un po’ come il secondo album di un gruppo, rappresenta un momento cruciale nella carriera di un’artista. Se si ha avuto la fortuna (e la bravura) di stupire il pubblico con un autentico gioiello, tutti penseranno di aver scoperto un nuovo messia da idolatrare e da seguire con ceca devozione. Ma se il risultato non fosse all’altezza delle aspettative?
Source Code è il nuovo film di Duncan Jones, figlio del Duca Bianco e regista del pluri celebrato Moon (2009). A soli due anni di distanza, arriva sullo schermo un nuovo film di fantascienza imparentato al precedente solo per l’appartenenza al genere. Se Moon era un’opera d’autore low budget che utilizzava i codici della fantascienza per compiere una riflessione su identità, distanza e sfruttamento, avendo come fonti d’ispirazione Kubrick e Tarkovski, Source Code è un classico blockbuster made in Usa che punta a riempire le sale e ad avere un ancor più fortuna su pay tv e nel mercato dell’home video. Da non demonizzare per la sua essenza di mercato: il film è un prodotto medio – ciò che rende granitica l’economia cinematografica americana e che da noi manca completamente – girato con professionalità e con ritmo, che convince più di tanti film ben più reclamizzati (Pandorum e Codice genesi, per citarne due recenti).
La trama non spicca per originalità e richiama alla memoria tanti film che hanno attraversato e segnato, con maggior o minor intensità, la storia della fantascienza e del cinema in generale. In particolare non si può non pensare al celebre cortometraggio di Chris Marker, La jetée – e al lungometraggio che ha in seguito ispirato, L’esercito delle dodici scimmie di Terry Gilliam – e a Ricomincio da capo di Harold Ramis. Jake Gyllenhaal è una cavia da laboratorio sfruttata per un bene superiore; è imprigionato nel corpo, ma libero di viaggiare a più riprese nel tempo per rivivere gli stessi identici 8 minuti prima della deflagrazione di una bomba.
Il film non aggiunge nulla di più alla riflessione sull’incapacità umana di rassegnarsi all’irreversibilità del tempo e all’accettazione degli errori commessi. Anzi, il tutto è affrontato con un approccio molto più vicino a quello del mondo dei videogiochi, piuttosto che a quello dei film (e del resto i videogames sono stati il primo step di Duncan, prima della pubblicità e del cinema tout court). Hai 8 minuti di tempo per trovare l’ordigno, scoprire chi l’ha posizionato sul treno, arrestarlo e salvare l’umanità. Se non ci riesci: game over! Il gioco si riavvia e hai un’altra possibilità. Se non ci riesci, ne avrai un’altra. E poi un’altra ancora. E così di seguito. Esattamente come nei giochi per console, non esistono sottotesti: il conflitto afgano e l’ormai quasi immancabile spettro dell’11/9/2001 cercano di nobilitare una vicenda che intrattiene e appassiona, ma di certo non invita a riflettere.
Del resto il 90% della fantascienza è, ed è sempre stata, puro intrattenimento, capace di raggiungere vette altissime solo occasionalmente. Duncan Jones ha girato un buon action movie, più riuscito della media dei film che siamo costretti a subire generalmente nelle sale, e questo può bastare (con buona pace di chi pensava di aver scoperto il nuovo Kubrick). È solo di un action movie che si sta parlando e se ne vedono tutti i limiti in un finale davvero deludente: la promessa di un roseo domani per il nostro eroe e lo svelamento del marcio che corrompe dall’interno le “forze del bene”, non fanno che distogliere l’attenzione dello spettatore dalla vera fine del film: il fermo immagine della gente sorridente sul treno. Vero momento clou del film, contiene la riflessione più sofferta e cruda sul nostro mondo: finché ci sarà un comico a farci divertire (e per i più fortunati, una ragazza da baciare) viaggeremo comodi, anche su un treno diretto verso l’apocalisse.
In attesa di sapere in che direzione procederà la carriera di Duncan Jones – al momento in bilico tra film d’autore e blockbuster, come conferma anche il suo cortometraggio, Whistle (2002), che si colloca esattamente a metà strada tra i due lunghi – ci piace pensare che sia solo incappato in un lavoro su commissione, mentre si continua a sognare “la luna”.
Source Code, regia di Duncan Jones, Usa/Francia 2011, 93′